di Eleonora Ambrosi
La storia del codice
Il proliferare delle organizzazioni criminali nell’est Europa è diretta conseguenza di alcuni fattori geopolitici: il crollo del muro di Berlino, il collasso dell’Unione Sovietica, la caduta del comunismo, il progressivo passaggio verso un’economia di mercato. Ed è proprio nel suddetto contesto che questo gruppo criminale si è consolidato guadagnandosi prestigio ed autorità. In seguito alla liberalizzazione dei prezzi ed alla selvaggia attività di privatizzazione, la criminalità russa faceva il salto di qualità: nel «mercato nero» ci si poteva rifornire, ad esempio, di medicinali, mentre il «mercato grigio» offriva beni e servizi in concorrenza con il mercato ufficiale comportando la corruzione dei funzionari pubblici. Molti esperti concordano nell’affermare che la Russia abbia avuto una transizione imperfetta verso l’ economia di mercato, tant’è che c’è chi individua la necessità della presenza delle cosche russe nella transizione dal socialismo al capitalismo. Scrive Misha Glenny nel suo libro McMafia: «Le bande russe garantivano addirittura una certa stabilità in quella fase di transizione economica. Naturalmente, secondo standard normali, uno potrebbe giudicare che l’estorsione, il rapimento e l’omicidio siano mezzi coercitivi piuttosto drastici; e quasi chiunque faticherebbe ad accettare il furto d’auto o il traffico di droga o il mercato sessuale come legittime attività imprenditoriali. Ma la Russia non era in una situazione normale». Fra i fattori che contribuivano al fallimento della nuova politica sovietica, oltre alle evidenti difficoltà economiche, vi erano il complesso militare industriale e la nomeklatura, la cui preoccupazione principale era quella di non perdere i privilegi precedentemente ottenuti, ed in un sistema centralizzato come quello sovietico era logico pensare che esistessero dei legami fra criminalità ed esponenti politici. Legame che si rafforzava sotto la presidenza Eltsin, in seguito a numerose privatizzazioni che facilitavano l’immissione di consistenti flussi di denaro. Inoltre, era molto diffuso il servizio di protezione privata fornito dalle imprese di sicurezza, garantito per alcuni da guardie private, per altri da protezioni mafiose. In seguito alla grande disoccupazione del periodo post- sovietico, alcune figure professionali trovavano lavoro nel KGB, nel servizio militare o fra gli atleti.
La criminalità russa si evolveva in 4 direzioni: l’elite criminale (i vory), la nomenklatura (persone che occupavano importanti posizioni lavorative), i gruppi etnici e le bande locali.
Sbaglia chi crede che la nascita di questa organizzazione criminale faccia parte della storia post- sovietica: dei Vory si inizia a parlare già negli anni Trenta quando si univano ad alcune frange della dissidenza politica. E’ nei gulag che nasceva questa confraternita. Si distinguevano poiché nei campi di lavoro si rifiutavano, per l’appunto, di lavorare. Ed è proprio questo il loro codice di comportamento: nati dallo scontro frazhigani, gang giovanili, e urki, i boss che si erano opposti alle regole dei zhigani, i Vorybene sono riusciti ad adattarsi ai cambiamenti nell’ex URSS. Disprezzano tutto ciò che si collega alla società, ecco spiegato come possano vivere solo dai profitti delle loro attività illecite. Di età media molto bassa, i membri di questa organizzazione sono per un 33% di origine russa o georgiana (31%), gli altri sono armeni, azeri, uzbechi, ucraini, kazachi e abkhazi. I georgiani sono specializzati nelle estorsioni, i ceceni nel campo della droga, i tagichi nelle rapine, mentre tutti nel settore bancario. Maximilien de Santerre, una spia franco- russa, era stato confinato nei gulag per circa 12 anni al fine di poter osservare i comportamenti peculiari di questa organizzazione. Egli descrive che: la loro vita seguiva rigide norme, parlavano un proprio linguaggio (fenya), avevano tatuaggi (considerati come un vero e proprio «biglietto da visita»). Qualche curiosità: il ragno significava un avanzamento di grado, il numero di torri di una chiesa indicava gli anni passati in prigione, mentre con delle stelle sulle ginocchia si affermava la volontà di non piegarsi davanti alle forze dell’ordine. I vory passano la maggior parte del loro tempo in carcere poiché come tatuato sulla loro pelle «tiur’ma – rodnoi dom», la prigione è la mia casa nativa.
Ma qual è il «credo» dei ladri?
- Tagliare i contatti con la famiglia di origine, non sposarsi e non avere figli, non lavorare e vivere grazie ai guadagni delle attività illegali.
- Aiutare gli altri membri dell’organizzazione versando dei soldi nella cassa comune, obshchak.
- Depistare le indagini, magari anche dichiarandosi colpevoli per aiutare qualche altro compagno.
- Mantenere il silenzio ed essere prudenti a dare informazioni.
- Consultare la shkodka (una sorta di Consiglio criminale) in caso di discordie.
- Essere pronti a giudicare un altro compagno.
- Eseguire qualsiasi punizione stabilita nei confronti di un traditore. (I vory hanno un loro tribunale).
- Conoscere il gergo, fenya.
- Non giocare a carte se non si è in grado di pagare possibili debiti. (Il fatto di saper giocare bene a carte è considerata dimostrazione di astuzia).
- Trasmettere ai giovani la cultura dei vory.
- Avere un aiutante fidato.
- Non pensare di arruolarsi nell’esercito.
- Rispettare sempre e comunque le regole del codice.
Con la progressiva apertura dei confini europei si sta assistendo ad una globalizzazione del crimine organizzato. La Russia è il punto nevralgico del crocevia di traffici di eroina ed in seguito alla sempre più intensa collaborazione con i Cartelli colombiani si sono studiati tragitti alternativi nel trasporto della cocaina. Frequenti sono anche le frodi commerciali e per il riciclaggio di denaro proveniente, ad esempio, da Casinò o racket, si creano agenzie assicurative o attività di agenzie di cambio.
I recenti fatti di cronaca
Seppur nei giornali italiani non si sia scritto nulla a riguardo, nelle riviste straniere si parla del recente attentato a Ded Hasan (nonno Hasan) in data 16 settembre. Aslan Usoyan, conosciuto appunto come Ded Hasan, uno fra i più potenti vory, è stato colpito allo stomaco da un proiettile proveniente da un Kalashinkov di produzione cinese sulla Tverskaya, Mosca, mentre si recava a far visita al figlio. Secondo le ipotesi del canale televisivo Vesti, l’attentato sarebbe il tentativo di rivendicare la morte di Vyacheslav Ivankov, conosciuto come il «giapponesino», morto in seguito ad una lite per il controllo del territorio che aveva visto protagonisti nonno Hasan e Tariel Oniani, ladro di origine georgiana. C’è chi prevede un forte scontro all’interno dei vory poichè Ded Hasan, rilasciato dall’ospedale il 27 settembre, avrebbe detto i nomi dei suoi possibili aggressori alla polizia. E questa è una delle ferree regole del codice: mai aiutare la milizia.
Sulla criminalità russa si è scritto e si scrive molto anche se pare necessaria una raccolta più organica di informazioni e dati riguardo la sua struttura, metodi di operare, attività svolte. Ciò di cui si è certi, però, è che il crimine russo si stia internazionalizzando, tanto da essere presente capillarmente in Europa e negli U.S.A. tanto per svolgere il proprio business quanto per collaborare con le mafie locali.
ben scritto e documentato!