Il Patto Molotov-Ribbentrop è uno degli eventi che ha segnato più di altri la storia europea del ventesimo secolo. L’accordo che il 23 agosto 1939 venne concluso fra l’Unione Sovietica comunista e la Germania nazista aprì le porte alla Seconda guerra mondiale e portò a una spartizione dell’Europa centro-orientale, alterando radicalmente il destino dei popoli e degli stati dell’intera Europa.
Le ripercussioni furono immediate e coinvolsero tutti: il movimento comunista internazionale fu attraversato da lacerazioni (spesso coperte dall’obbedienza a Mosca), ma le ripercussioni si ebbero anche all’interno dell’Asse (si pensi alla posizione dell’Italia).
Ha osservato Luigi Vittorio Ferraris l’obbedienza manifestata dal movimento comunista internazionale, “quell’adesione obbligatoria doveva rafforzare la sottomissione dei partiti comunisti europei, che pure avevano coraggiosamente lottato contro il fascismo nelle sue varie incarnazioni. Una lezione di soggezione ben assimilata sino ad essere ripetuta da quegli stessi movimenti durante la guerra fredda quando nel negare la visione democratica dell’unità europea o le alleanze con gli Stati Uniti altro non facevano se non seguire le direttive sovietiche; questo sino alla vigilia della Primavera di Praga e in realtà anche dopo, persino in Italia”.
Nel 1939 il più grande partito comunista europeo era quello di un paese a noi vicino, la Francia. Il Patto deflagrò all’interno del PCF. Da una parte i militanti che non riuscivano a concepire l’accoglienza calorosa riservata a Ribbentrop a Mosca e la veloce conclusione dell’alleanza con il nemico nazista. Passarono dallo stupore all’incomprensione e poi al panico, mentre un comunicato del gruppo parlamentare del partito affermava che il Patto serviva agli interessi della pace.
Quando l’1 settembre la Germania attaccò la Polonia, la Francia dichiarò guerra all’aggressore tedesco e anche i comunisti votarono i crediti di guerra. Ma nel giro di qualche giorno da Mosca venne imposta una nuova linea politica, perché l’8 settembre la Terza internazionale abbandonò la scelta antifascista. Da Georgi Dimitrov venne l’ordine a vari partiti, fra cui quello francese, di correggere le scelte fatte: contro la linea del fronte popolare, contro la distinzione fra stati fascisti e democratici, contro la difesa della Polonia “fascista”, contro il voto dei crediti di guerra e via di seguito. Le reazione della società francese furono dure, accomunando l’intero spettro dell’opinione pubblica. A sua volta il governo decise lo scioglimento del partito e di tutte organizzazioni affiliate alla Terza internazionale. Seguiranno pagine cupe e vergognose di storia.
Quando nel dopoguerra negli archivi tedeschi gli Alleati trovano e poi pubblicano gli allegati segreti del Patto, da Mosca viene lanciata una delle più ampie campagne di mobilitazione politica del Novecento, mirante a manipolare la realtà recente mediante la denuncia dei cosiddetti “falsificatori della storia”.
A Mosca la verità storica verrà ristabilita solo quando l’Unione Sovietica si avvicina a concludere la sua esistenza: nel 1989 il Soviet Supremo pansovietico riconoscerà che l’allora ministro degli esteri Vyacheslav Molotov aveva effettivamente firmato i protocolli segreti del Patto e che con Berlino tra l’altro si era spartita la Polonia e gli stati del Baltico.
Ma il Patto continua a segnare la storia del nostro continente. La Russia di Vladimir Putin ha fatto marcia indietro nel riconoscimento della verità storica. La controversia era esplosa in occasione del settantesimo anniversario del Patto, nel 2009, quando la stampa e la televisione russa si impegnarono attivamente in una nuova manipolazione della vicenda storica, presentando quello scellerato accordo fra i due totalitarismi come fosse il logico proseguimento dei negoziati paneuropei del 1939. Una scelta naturale, mirante a rinviare la guerra con la Germania. Una manipolazione inaccettabile, soprattutto per quei paesi in cui il Patto segnò l’inizio di un cinquantennio di dominio sovietico.
La rinnovata manipolazione si avvantaggia del fatto che la popolazione conosce male la propria storia. Nel luglio del 2009 un sondaggio del Centro Levada rivelava che il 61% dei russi ignorava che le truppe sovietiche avessero invaso la Polonia orientale nel settembre 1939.
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Cosa è stato il Patto Molotov-Ribbentrop e quali sono state le ripercussioni in Europa, dal momento della sua conclusione ad oggi, è il tema dell’incontro-dibattito che si terrà a Trento mercoledì 16 aprile, alle ore 17,30, nella Sala degli affreschi della Biblioteca comunale (Via Roma 55). L’incontro è organizzato dal Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale Con questo incontro prosegue il ciclo Gli spiriti della rivoluzione. La Russia e l’Europa. Il successivo incontro, L’Europa e la Russia: il limite e l’illimitato, si terrà mercoledì 30 aprile.
Nella fotografia: la firma del Patto, il 23 agosto 1939
Personalmente ho sempre ritenuto inspiegabile la canina aobbedienza agli ordini che arrivavano da Mosca da parte dei partiti comunisti europei. A chi fosse interessato consiglio la lettura di “Fils du peuple” del comunista francese Thorez
Sarebbe estremanente interessante che la rivista pubblicasse, sia pure in forma riassunta, le opinioni dei partecipanti all’incontro.
Ad una prima lettura superficiale ed ad juna ricostruzione fantasiosa della Storia si potrebbe desumere che Molotov e Ribbentrop fossere dei grandi compagnoni, degli amici di merenda!. Si dimentica però del fatto che la 2a guerra mondiale non inizia nel settembre del 1939, bensì a far data della rivolta dei genetralissimi spagnoli contro il leggittimo governo repubblicano di Spagna e l’intervento dell’Italia fascista e della Germania nazista nella guerra. A ciò a fatto seguito la politica dello struzzo da parte delle potenze europee quali la Francia e l’ Inghilterra. Gli estensori della rivista forse hanno lascito nel dimenticatoio quello che enunciava Hitler nel suo Main Kampf, di quello che è stato il Patto di Monaco dove il sigor Chamberlein accecato dall’anticomunisco “regalò” i Sudeti e poi l’intera Cecoslovakia ai nazisti. Non si fa cenno agli incontri tra i delegati di Benes e Stalin per portare aiuto anche militare alla Cecoslovakia impediti dalle resistenze del governo polacco. Fino al settembre del 1939 Molotov cercò in tutti i modi di addivenire ad un’accordo militare con le potenze occidentali, ma invano. L’unico modo per evitare una possibile aggressione tedesca, il Lebensraum ad est, fu il Patto Molotov-Ribbentrop
Santo cielo fortuna che c’è l’intervento di Maurizio, altrimenti mi sarei sentito parecchio solo!
No, non credo nessuno consideri Molotov e Ribbentrop (e dietro a loro Stalin e Hitler) dei candidi compagni di merenda: erano dei brutali squali che fecero il lavoro pulito per i loro padroni, che poi provvidero a fare il lavoro sporco con i carri armati.
La sua è la ricostruzione naive ed edulcorata tipica dell’epoca sovietica: il buon Padre della Patria che si deve sporcare le mani con il Diavolo per cercare di allontanare, almeno per il momento, la guerra. Se è vero che molti uomini politici in Francia e Gran Bretagna preferirono fino all’ultimo credere alla buona fede dell’imbianchino austriaco, Stalin alla fine della guerra non rinunciò ad un solo metro quadro di quello che graziosamente Hitler gli aveva regalato: metà della Polonia, la regione dei laghi finlandese e gli stati baltici. Di suo e di nuovo, sempre naturalmente nel più assoluto disinteresse, ci aggiunse la Rutenia subcarpatica dalla Repubblica Cecoslovacca (che aveva tanto amorevolmente cercato di soccorrere nel 1938) e la Moldavia. Senza naturalmente dimenticare la “liberazione” di un certo numero di stati balcanici e qualche altro ritaglio, tanto per gradire.
Quello che trovo strabiliante è che il revisionismo putiniano mieta così tante vittime. Capisco i nostalgici dell’Urss, ma che quello strano branco di leghisti, quietisti ad ogni costo, xenofobi, strabici interessati e antieuropeisti si chieda, farisaicamente allora come oggi, se è proprio necessario “Morire per Danzica”, è veramente sorprendente e deprimente.
Immagino che tutte queste VERITA’ STORICHE le abbia lette su qualche vecchio numero della Komsomol’skaja Pravda.
Mi urta particolarmente l’apodittica affermazione che “I Paesi Baltici si unirono spontaneamente all’URSS”.
Meno male che appena poterono, SPONTANEAMENTE se ne andarono dal paradiso sovietico.
Ovviamente per il resto, ognuno è libero di credere che gli asini hanno le ali e volano.
Immagino il suo rammarico per non poter essere anche lei festante in balli e rappresentazioni teatrali con i fratelli dell’Armata Rossa…. Confesso che non mi è chiaro questo gran affannarsi giustificazionista: avevo concluso dicendo che ognuno è libero di credere qualche che vuole. Per me il Patto Molotov-Ribbentrop era e rimane uno scellerato patto tra tagliagole.
Personalmente non mi sento minimamente colpito da una paginetta zuccherosa di una giornalista, considerata già ai tempi parziale (in buona fede, forse) e affascinata poi dal comunismo cinese. Circa poi Mission to Moscow e soprattutto il film che ne venne tratto, non è sicuramente un saggio scientifico, ma uno zibaldone di memorie, documenti, lettere e impressioni piuttosto discutibile e la cui attendibilità lascia alquanto desiderare; a titolo d’esempio, le purghe staliniane vengono descritte come il mezzo necessario per eliminare le quinte colonne naziste in URSS.
Se qualcosa si può imparare dalla descrizione citata dalla Strong, è la perfetta messa in scena del collaudato copione del colpo di stato eterodiretto : il governo del paese/vittima viene demonizzato e delegittimato (dittature semifasciste), ci sono le basi navali (vere e proprie teste di ponte), arrivano i carri armati fraterni (“tecnicamente alleati”), il governo russo non si immischia (“L’Armata Rossa non si mischiò alla politica, solo scambiò balli e rappresentazioni teatrali con l’esercito lituano su una base di “fraterna uguaglianza””), scappa il governo locale, vengono organizzate le elezioni (“ci fu un enorme plebiscito per andare alle urne”), si chiede palpitanti di ritornare alla Grande Patria (“la Lituania fece domanda di annessione all’U.R.S.S.) e tra tripudi e festeggiamenti finalmente “non ci sono più frontiere da Kaunas a Vladivostok, dal Baltico all’Oceano Pacifico”.
Stalin si che le cose le faceva bene, non questo Putin, che gli va bene con la Crimea, ma rischia di impantanarsi con l’Ucraina.
Le ripeto, ognuno può credere quello che meglio gli aggrada, può anche negare l’evidenza, finché lo fa tra se e se. Se però vuole o pensa di convincere qualcun altro, beh, credo che i suoi “argomenti” siano piuttosto debolucci. Quello a cui storicamente abbiamo assistito è stata implosione del sistema sovietico e del socialismo in un solo paese: dopo il 1960 il marxismo-leninismo nella vulgata staliniana mi sembra non abbia goduto grande seguito nemmeno in Russia, ne possa far paura o ancor meno delegittimare la “borghesia”.
E’ consequenziale la sua posizione negazionista circa il Genocidio Ucraino, che costò la vita a milioni di ucraini (dai 3,5 ai 5 milioni secondo le fonti senza contare un altro milione di deportati che non fecero ritorno): questi numeri all’epoca potevano rappresentare un terzo della popolazione totale ucraina.
La collettivizzazione e la “dekulakizzazione” furono scelte politiche del suo “grand uomo” e applicate in loco dal suo degno compare Vjačeslav Michajlovič Skrjabin già allora conosciuto con il nome di battaglia “Molotov”: il boia e il suo tirapiedi.
A differenza della precedente carestia del 1921-1923, causata dalla guerra civile in concomitanza delle requisizioni e della siccità, e di quella successiva del 1947, la carestia del 1932-1933 in Ucraina non fu causata da un collasso infrastrutturale, né fu un effetto a lunga distanza della prima guerra mondiale, ma fu un deliberato atto politico e una decisione amministrativa. Nobile gara fra Hitler e Stalin a chi ne ha fatti fuori di più!
Negare l’Holodomor o ridicolizzarlo per qualche fotografia mi sembra semplicemente squallido.
Questo mio intervento non intende esser una risposta o un commento al post precedente, ma ci tengo a puntualizzare alcuni fatti sul libro di Douglas Tottle “Fraud, Famine and Fascism, The Ukrainian Genocide Myth from Hiter to Harvard”. Tottle, un “trade union activist” canadese, ha pubblicato questo libro quasi in contemporanea con la pubblica ammissione del genocidio (dicembre 1987) da parte di Volodymyr Shcherbytsky allora leader del Partito Comunista Ucraino. Questo signore non risulta aver soggiornato in Russia, anzi di aver messo piede in Europa, non risulta altresì conoscere il russo o l’ucraino o altra lingua oltre l’inglese.
Questi fatti giustificherebbero la comune convinzione “that material included in his book could not have been available to a private person without official Soviet assistance”.
Tottle tranquillamente ammette che egli “does not attempt to study the famine in any detailed way” e di essere più interessato alle “Nazi and fascist connections” e alle “coverups of wartime collaboration”.
Sintetizzando egli afferma che le pretese che lo Holodomor sia stato un deliberato genocidio sono “fraudulent” e “a creation of Nazi propagandists”. Minimizza la responsabilità di quelli che lui chiama “mistakes” di Stalin e del “amateurish Soviet planning,” e che è tutta colpa dei sabotatori (ucraini) controrivoluzionari. Tottle nega con particolare veemenza l’attendibilità di molte delle fotografie illustranti la carestia, che ritiene essere artatamente alterate. Anzi indica nel magnate della stampa William Randolph Hearst e in un suo giornalista, Thomas Walker, gli autori materiali del falso scoop.
Nelle 160 pagine , o poco più, c’è di tutto: in alcuni punti, dati demografici alla mano, Tottle sembra negare completamente il genocidio, o le deportazioni di massa e la stessa carestia. In altre le ammette in minima parte come prodotti inintenzionale di errori di burocrati locali, oppure se le ammette su scala maggiore non possono che essere commessi da criptofascisti e ingigantite ad arte dalla propagande antisovietica.
Spero di non aver dimenticato niente.
Ognuno è libero di attribuire il grado di attendibilità che ritiene a questa opera, unica, di Tottle.
Avevo premesso che tutta questa sua vibrante e indignata faziosità con me è del tutto sprecata. Ne io ho alcuna ambizione di convertirla. Circa al “fascista anticomunista” attribuiti da uno come Lei suonano quasi titoli d’onore, ma non mi riconosco nel primo ed il secondo è diventato di una tale ovvia banalità che viene da piangere….
Vedo che si è messo assieme una bella biblioteca, le giro la sua esortazione: si informi, studi! Io da parte mia continuerò a farlo, indipendentemente dai suoi simpatici suggerimenti.
Due precisazioni, naturalmente non per Lei, ma per qualcuno che, vincendo la noia, si avventurasse a leggere i nostri interventi: ho citato il film ma ovviamente i riferimenti erano al libro di Devies (Simon & Schuster 1941), che non considero “inattendibile”, ma che riporta “fatti” e esprime giudizi non sempre condivisibili.
Per quanto riguarda Hearst e Parker, probabilmente hanno utilizzato “materiale eterogeneo” per il loro scoop, altro discorso è se nella sostanza c’è stato, o no, il Genocidio Ucraino e di chi è la responsabilità di quei milioni di morti.
Mi pareva strano che Lei non citasse il noto massacro nazista delle Foresta di Kaytin. Si dimentica i campi di prigionia di Kozelsk, Ostashkov e Starobelsk per un totale di 15,570 prigionieri: non mi sembra che si trovassero nel 1940 in zone occupate dai nazisti.
Il 5 marzo 1940, supportati da un memoriale di Beria, 4 membri del Politburo—Stalin, Vyacheslav Molotov, Kliment Voroshilov, and Anastas Mikoyan- firmarono l’ordine di eliminare militari polacchi prigionieri di guerra, boy scouts, avvocati, preti, proprietari terrieri, poliziotti….
Dal 3 aprile 1940 14,552 prigionieri di guerra e 7,305 internati in altri campi nelle SSR Bielorussa e Ucraina vennero giustiziati.
Mi consideri pure un caso disperato, buono da mettere al muro alla prima rivoluzione disponibile, ma per cortesia (soprattutto quando ci sono di mezzo migliaia di morti) le sue favolette le vada a raccontare a qualcun altro.
Caro Gian Angelo, mi dispice dirLe che per affrontare un argomento con cognizione di causa bisogna studiarlo bene. La presenza di popolazioni russe nei paesi baltici, in modo significativo, come di altre popolazioni si puà far risalire al ‘700. In Latvija vicino alla citta di Bauska c’è la cosidetta “villa di Rundale” fatta erigere, con l’apporto dell’arch italiano Rastrelli, da Caterina di Russia la grande per il suo amante. Le chiese ordodosse, l’archittetura sono a dimostrazione del passato storico. Tallinn fino al 1921 si chiamava Reval e la lingua ufficiale era quella tedesca. Nell’aprile del 1991 un referendum col 75% dei voti confermò il permanere dell’Unione Sovietica quale entità statuale. A questo referendum non parteciparono i tre stati baltici tra cui la Lettonia avente una popolazione all’epoca di 3.000.000 abitanti in maggioranza russi. Attualmente questo Paese è abitato da ca. 2.200.000 persone di cui il 40% russofone. Il sindaco di Riga Nils Usakov è espressione della minoranza russofona. Dal 1991 più di settecentomila russi sono andati nella federazione Russa e nei altri Paesi russofoni. Guardi che la Komsomolskaja Pravda è tuttora edita il Russia ed è un giornale interessante. E’ interessante guardare anche i tg satelllitari dove fanno vedere dal vivo i bombardamenti aerei sulla popolazione civile dell’Ukraina del sud-est e l’esodo di migliaia di persone verso la Russia……
Perché non cita l’Oblast’ di Kaliningrad? I russi sono la maggioranza assoluta, non ci sono minoranze significative, questo exclave è un fulgido esempio di purezza etnica, di compattezza ideologica, di assoluta fedeltà alla Causa Russa!
A Königsberg e nella Prussia Orientale, il “Grand Uomo” aveva le mani libere: via i tedeschi dentro i russi e il gioco è fatto.
Negli anni dell’occupazione sovietica (1940-1941 e 1944-1991) fu praticata nelle 3 repubbliche baltiche un’intensa politica di “russificazione”, con l’obbligo di imparare la storia e la lingua russa, il cui uso venne imposto dai sovietici nelle scuole e nei documenti ufficiali. Non pochi baltici vennero deportati, ancora di più dopo il 1945 con l’accusa di aver collaborato con i nazisti. Al rientro, dopo anni, a molte delle famiglie dei deportati fu vietato di ritornare nelle proprie case, occupate dai russi. Si voleva cancellare la lingua e la cultura nazionali.
In molte città insieme alla costruzione di impianti industriali furono costruite aree residenziali nelle quali si stabilirono un gran numero di immigrati russi in un deliberato sforzo di annacquare la composizione demografica originale.
Credo che sia abbastanza comprensibile che Estoni, Lettoni e Lituani vedano nella minoranza russa una quinta colonna del Cremlino.
Mi fa piacere che la Komsomol’skaja Pravda sia ancora pubblicata: ai tempi della Kommunističeskij Sojuz Molodëži era considerata una noia mortale, evidentemente diventando un giornale indipendente dal partito è riuscita a trovare nuovi argomenti per nuovi lettori…
Circa i canali russi satellitari o non e quello che trasmettono, uno di questi, in occasione delle recenti elezioni presidenziali, mantenne per qualche ora come notizia di apertura, un exit pool che dava il candidato del partito Svoboda in netto vantaggio…. Oltre il 40%. Sommati insieme i voti ottenuti da Svoboda e Pravii Sektor superano di poco il 2%.
Signor GianAngelo una cosa sono le elezioni Presidenziali una sono le elezioni Politiche. Il partito social-nazionale “Svoboda” amministra città fondamentali nell’ovest dell’Ukrajna, gli oblast della Halicja e della Volinia, Lvov, Ternopil. ed ha un ruolo fondamentale nel governo di Kiev. Nel loro “Pantheon” non vi sono gli Altiero Spinelli, Maurice Shumann, Adenauer, bensi i Petljura, i Bandera, il generale Lebed, “autentici democratici Europei”. Nella città di Lvov la vecchia piazza “Mir” troppo sovietica è stata recentemente intitolata “Battalion Nachtgale” soldati ucraini associati alle SS tedesche complici dei pogrom antiebraici ed antipolacchi in Halicja. Lvov prima della 2a guerra mondiale era Repubblica di Polonia ed ancor prima Regno Austro-Ungarico. A mio modesto parere Lei confonde l’Unione Sovietica di ieri con la Russia di oggi. In Russia oggi comanda la Politica diversamente da quanto accadde in Ukrajna dove comandano gli oligarchi. Al sottoscritto a scuola hanno insegnato che per la democrazia “una testa” vale un voto. Così non è in Lettonia, ed anche in Estonia. In Lettonia più di 300.000 persone che da decine di anni sono presenti, o sono nate, hanno lavorato e vissuto lì, sono “non-cittadini” aliens. Le sembra un buon comportamento democratico? Il partito Saskanas centrs che amministra Riga (Centro dell’Armonia, della Concordia) è un partito socialdemocratico aderente al PSE che attira simpatie da parte della popolazione russofona che lettone. A Riga dove io vado spesso conosco tantissime famiglie miste che non si pongono i problemi della nazionalità.
La gente è veramente strana! prima dice che gli è stato insegnato che “una testa un voto”, poi però se il voto è parafascista o non allineato, apriti cielo!!! Se questi signori sono stati liberamente eletti, chi è lei per sindacare ? In tutta Europa ci sono movimenti fascisti, parafascisti, xenofobi, anti questo e anti quello, ultra questo e ultra qualsiasi altra cosa, e allora? Se guardiamo a Mosca, c’è solo da scegliere…..(compresi i neonazisti con pseudo rune sulle bandiere rossomattone). Quelli vanno bene, ma se sono a Kyiv o a Leopoli, no, no, no.
Il problema e le conseguenze nel lungo periodo della russificazione è un capitolo molto complesso: fin dal 1795 con la definitiva stabilizzazione della sua autorità, l’impero zarista perseguì una politica di normalizzazione e di cancellazione delle entità etnico-culturali locali, politica proseguita con ancora maggiore virulenza dai sovietici, che utilizzarono anche lo strumento ideologico: le popolazioni locali non russe erano sicuramente collaborazioniste coi nazisti e comunque controrivoluzionarie. E questo trattamento non fu riservato solo ai baltici, ma venne tranquillamento esteso ai finlandesi, al Caucaso, alla Crimea, all’Ucraina, ai rumeni della Moldavia, senza dimenticarci la pulizia etnica nei confronti dei polacchi, o di etnie sgradite, come i tartari o i tedeschi del Volga (solo per citare i casi più conosciutiti).
Colla fine dell’occupazione sovietica e con l’indipendenza gli expadroni si sono trovati a disagio e, riconosco, le risorte autorità nazionali non sempre si sono comportate con fair play e lungimiranza, però non mi sembra che si siamo sparse molte lacrime sul destino, anche fisico, degli excoloniali al momento dell’indipendenza. (Afrikaans in Sud Africa, coloni inglesi in Rhodesia, indiani in Kenya, ecc.)
Ha detto giusto, finché dall’esterno, qualcuno non ci mette lo zampino, la gente trova sempre un accomodamento.
Se Hitler non avesse rischiato il grande azzardo del dominio totale ed esclusivo sul Vecchio Continente, il «patto di non aggressione» del ’39 avrebbe dato i suoi frutti, con grande soddisfazione per la «Patria Socialista». Probabilmente a Ovest di Varsavia gli uomini avrebbero portato i baffetti alla Adolf, e a Est della capitale – o ex capitale – polacca i baffoni alla Joseph. Di là tutti “camerati”, dall’altra parte tutti “compagni”. Probabilmente. Ai tempi di Brest-Litovsk Lenin, per la disperazione dei suoi compagni, non si fece certo commuovere dai richiami patriottici, e perorò come un «dannato disfattista» la causa dell’uscita immediata dalla guerra imperialista, anche a costo di cedere milioni di metri quadrati di sacro suolo patrio alla Germania. Perdere spazio per conquistare tempo alla rivoluzione, in Russia e in Europa: fu la strategia di Lenin, il rivoluzionario. Affogare nel sangue dei contadini e dei proletari russi le armate tedesche per non perdere un solo millimetro di terreno della «Santa madre Russia»: fu la strategia di Stalin, il controrivoluzionario.Com’è noto, all’inizio dell’Operazione Barbarossa la superiorità militare della Wehrmacht sull’Armata Russa (altro che Rossa!) apparve subito schiacciante. Il keynesismo tedesco aveva prodotto la macchina bellica più potente al mondo, che sarà superata e annichilita solo in un secondo momento dalla creatura bellica generata dal keynesismo made in Usa. A quel punto, alla Russia non rimase che giocare la sua solita vecchia carta per tamponare la falla in attesa di tempi migliori: usare il proprio enorme e freddo corpo, che già aveva divorato l’esercito di Napoleone, e il corpo dei suoi sudditi. Milioni di proletari e di contadini letteralmente gettati contro le truppe motorizzate tedesche, confidando nel limite dei loro proiettili e del loro carburante. Sofisticati e potenti panzer contro una muraglia di corpi umani: la fanteria sovietica, coadiuvata da pochi T-34. Per alzare il morale della popolazione russa Stalin fece fucilare non pochi «seminatori di panico».Lungi dall’opporsi alla «civiltà capitalistica» la Russia di Stalin ne fu piuttosto una variante russa, e per questo sostengo, come sa chi ha la bontà di seguirmi, che il cosiddetto «socialismo reale» fu una pagina particolarmente ignobile del Libro Nero del Capitalismo. Particolarmente ignobile proprio perché l’ideologia dello Stato Sovietico cianciava di «Socialismo» e di «dittatura del proletariato» nello stesso momento in cui nel «Paese dei Soviet» si edificava a tappe accelerate un Capitalismo di Stato basato sull’industria pesante idoneo a sostenere gli interessi imperialistici della Russia, in linea con la tradizionale politica estera di Grande Potenza della Russia zarista.