SERBIA: La Russia vuole destabilizzare i Balcani?

Le elezioni politiche di domenica scorsa, in Serbia, sono state vinte dall’SNS di Aleksandar Vucic. Il partito, sorto dagli ex Radicali di Seselj, ha ottenuto 157 seggi parlamentari su 250, ottenendo così una vittoria schiacciante. In attesa della formazione del nuovo esecutivo, prevista per il 1° maggio, iniziano a sorgere dei dubbi non infondati su una possibile involuzione in chiave semi-autoritaria del nuovo governo.

La Russia e il partito progressista (SNS)

Nel 2011, l’allora ambasciatore russo a Belgrado, Aleksandr Konuzin, di fatto supportò pubblicamente l’SNS durante un meeting del partito a Nis, affermando che “l’SNS è diventato uno dei principali indicatori dell’umore dei cittadini serbi”. Questo episodio inusuale nelle sue modalità, fece seguito ad una precedente esternazione di Konuzin durante un forum a Belgrado, in cui sostenne che i serbi “non stanno difendendo sufficientemente gli interessi dei loro compatrioti in Kosovo”. In seguito, ancora nel 2012, non cessarono le speculazioni sull’ingerenza eventuale di Mosca verso la politica della Serbia.

La Russia e la Serbia

Al di là degli stereotipi sulle affinità elettive tra il popolo serbo e quello russo, oppure sulla dipendenza della Serbia dalle fonte energetiche della Russia, un rapporto speciale lega i due paesi cristiano-ortodossi. Certo, i volontari cetnici giunti a Sebastopoli in soccorso dei fratelli russi contribuiscono al mito. Non è dunque una casualità il fatto che Aleksandar Vucic (e forse anche Ivica Dacic) si trovi attualmente in viaggio a Mosca: Belgrado cerca di emulare la politica estera della Jugoslavia di Tito, sospesa tra l’oriente e l’occidente. Tuttavia, in un contesto internazionale fluido, in primo luogo per la crisi in Siria, e in secondo luogo in Ucraina, la Russia, non da ora, sta cercando di consolidare la propria influenza nei Balcani.

Già nel 2009, in tempi forse non sospetti, apparvero alcuni articoli a proposito di una nuova base russa a Nis, in Serbia, definita come un “centro congiunto serbo-russo per la reazione a situazioni di emergenza” (una sorta di protezione civile). Sebbene il centro sia stato designato per intervenire in situazioni di catastrofi naturali, dagli incendi boschivi ai terremoti, le speculazioni sulla possibile conversione del centro in base militare russa sul suolo serbo, non si sono fatte attendere. Sotto un profilo logistico, il centro potrebbe facilmente divenire uno snodo per truppe aviotrasportate da Mosca direttamente nei Balcani. Inoltre, geograficamente, la presunta base russa, non dista molto dalla base militare americana in Kosovo, Camp Bondsteel. Nel 2011, l’accordo tra la Russia e la Serbia venne infine firmato.

La Bosnia

Secondo l’ex Alto rappresentante internazionale in Bosnia, Lord Paddy Ashdown, la Russia si sta immischiando nelle questioni interne della Bosnia ed Erzegovina. Nel frattempo, Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska, saluta con favore la secessione della Crimea dall’Ucraina, cercando così di legittimare la più volte paventata secessione dell’entità a maggioranza serba dalla Bosnia. Dal canto proprio, l’Ambasciata statunitense di Sarajevo si affretta a mettere in guardia contro ogni eventuale parallelismo tra la Crimea e la Republika Srpska. In altri termini, la Bosnia ed Erzegovina è indivisibile e gli accordi di Dayton devono essere rispettati.

Una domanda sorge spontanea: la Russia può, e soprattutto ha interesse a destabilizzare i Balcani, come ritorsione per le sanzioni Occidentali? Il lento cammino dei Balcani occidentali verso l’Unione Europea favorirà la creazione di nuovi stati cuscinetto tra l’EU e la Russia? La Republika Sprska diverrà un’arma di ricatto nelle mani dei Russi? La Serbia diverrà una nuova Jugoslavia, sospesa tra l’Oriente e l’Occidente? Il nuovo governo di Belgrado quale interesse avrebbe ad abbandonare il percorso europeo? Difficile e rischioso, come sempre, azzardare delle previsioni, tuttavia il rapporto di forze sul campo, consente quantomeno di ipotizzare una crisi nei Balcani come un’opzione non necessariamente impensabile.

Chi è Christian Costamagna

Christian Costamagna, classe 1979, ha insegnato presso l'Università del Piemonte orientale nell'anno accademico 2014-2015 (corso di Storia contemporanea e dell’Europa Orientale) dove ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienze Storiche. Nella tesi di dottorato si è occupato dell’ascesa al potere di Slobodan Milosevic nella seconda metà degli anni ’80. Ha svolto ricerche d’archivio a Belgrado e Lubiana. I suoi articoli sono apparsi su East Journal, Geopolitical Review. Geopolitica – Rivista dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, Mente Politica, European Western Balkans, e sul “LSE blog about South Eastern Europe”. Costamagna è consulting analyst per Wikistrat.

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5 commenti

  1. Domanda senza venature polemiche che rivolgo alla redazione e ai lettori. Ma davvero ha senso parlare di “involuzione semi-autoritaria” del nuovo governo? Voglio dire, ormai in Europa di “semi-democrazie” ne siamo pieni, se per democrazia intendiamo qualcosa di più rispetto alla “pura forma” della democrazia, quindi inclusione sociale, relativismo culturale, parità di diritti e possibilità senza discriminazione per reddito, sesso, etc ma anche sovranità economica, indipendenza dei media e non da ultimo autonomia dei poteri e rifiuto dell’oligarchia. A me pare che in Europa ormai ci siano più oligarchie che democrazie. Quindi, insomma: Vucic non mi sembra peggio di altri in Europa e – rispetto al passato serbo – mi sembra anche meglio (ad esclusione di Djindjic ovviamente…)

    Matteo

  2. Christian Eccher

    A giudicare la situazione dall’interno, visto che da anni vivo in Serbia, credo che Vucic sia stato proprio il candidato dell’Europa delle oligarchie di cui parla Matteo. Vucic ha goduto di un forte appoggio in Europa, e non è un caso che il suo nuovo corso politico sia filoeuropeista. Non credo che la Russia riuscirà a immischiarsi nelle questioni balcaniche tramite Vucic, il cui compito sarà quello di creare una Serbia pronta a ospitare le industrie straniere che vogliono delocalizzare la propria produzione; la Serbia non ha e non può avere un’indipendenza economica, Vucic ha capito che conviene essere una colonia dell’Europa (dell’Europa, non della Russia) e creare posti di lavoro per garantire la stabilità sociale. In cambio, l’Europa darà il via libera alla Serbia per entrare nell’UE. Proprio per questa ragione Vucic sta cercando di eliminare la corruzione, che impedisce agli imprenditori stranieri di aprire le proprie filiali in condizioni “normali”. Vucic non è peggio degli altri: è semplicemente il Principe che ha lasciato alle spalle la politica nazionalista del Partito Radicale per rimanere al potere. Da Machiavelli in poi, politica e morale sono due campi differenti che non vanno sovrapposti. Il politico dovrebbe avere però un’etica, e non sarebbe male che Vucic riconoscesse i propri errori passati. Finché politici e intellettuali non faranno un’analisi storica, avulsa da passioni politiche, di ciò che è accaduto in Serbia negli anni ’90, il paese non potrà crescere, resterà a uno stato infantile, e dubito che le riforme che lo stesso Vucic promette avranno davvero efficacia.

    • Filip Stefanović

      “Finché politici e intellettuali non faranno un’analisi storica, avulsa da passioni politiche, di ciò che è accaduto in Serbia negli anni ’90, il paese non potrà crescere, resterà a uno stato infantile, e dubito che le riforme che lo stesso Vucic promette avranno davvero efficacia.”

      Condivido in pieno!

  3. interessante ipotesi… da considerare.

  4. Christian Eccher

    http://www.danas.rs/dodaci/nedelja/ukrajinska_kriza_drugi_hladni_rat.26.html?news_id=278830

    Per chi capisce il serbo-croato: un’ottima analisi, con delle tesi che danno ragione all’autore dell’articolo.

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