Aleksandar Vučić, ex vice primo ministro e leader del Partito Progressista Serbo (SNS), ha stravinto le elezioni anticipate del parlamento serbo, tenutesi domenica 16 marzo. In attesa del 20 marzo, quando verranno pubblicati i dati definitivi ufficiali, relativi anche alla nuova composizione del municipio di Belgrado, la Serbia si appresta a formare un nuovo parlamento, a cui parteciperà un ristretto numero di partiti.
Prova di forza ed esame di maturità
Più che per la necessità di riformare il parlamento, la ragione di queste elezioni – appositamente anticipate – è stata una dimostrazione di forza, se non addirittura un test di maturità della figura politica più di spicco in Serbia. L’ obiettivo dell’ex radicale Vučić, è stato infatti quello di allargare il consenso per l’operato di governo del partito progressista, che fino a ieri governava con il Partito Socialista Serbo (SPS) dell’ex primo ministro Dačić.
Mentre Vučić ha conseguito il primato con oltre il 48% delle preferenze, Dačić si è attestato come seconda forza politica del paese, ottenendo il 13%, confinando il Partito Democratico (DS) di Djilas al 6% e il Nuovo Partito Democratico (NDS) dell’ex presidente della repubblica Boris Tadić al 5,7%. La soglia di sbarramento del 5% ha dunque ristretto il numero di partiti che verranno rappresentati nella Skupština e i grandi esclusi sono i liberali di Jovanović e il Partito Democratico Serbo (DSS) di Koštunica.
L’uomo delle riforme
Anche se il vero vincitore sembra essere l’astensione, considerato che l’affluenza ha confermato il trend negativo delle ultime elezioni attestandosi al 53%, ovvero a poco più di 3 milioni e mezzo di elettori, il successo di Vučić va analizzato alla luce di diversi elementi.
I meriti di Vučić risiedono principalmente nelle sue doti comunicative, attraverso le quali ha saputo costruire un’immagine di sé quale “uomo della provvidenza” per il futuro della Serbia, e che ha saputo sfruttare in tutte gli ambiti dell’odierna politica serba. Il programma politico di Vučić – che da buon comunicatore ha letteralmente monopolizzato gli spazi pubblici, le televisioni e persino le cassette postali dei cittadini – è riassunto dal motto “verso le riforme, con tutte le nostre forze” (svom snagom u reforme), e fa leva su quella che il leader progressista considera il suo più grande successo: la lotta alla corruzione. Sebbene Belgrado sia tappezzata di manifesti governativi contro la corruzione e nessuno in centro esegua una transazione senza emettere scontrino, come risultato delle politiche contro l’evasione fiscale, quelli sulla corruzione sono dati sempre soggettivi, essendo basati sulla “percezione” di corruzione, e quindi facilmente strumentalizzabili per scopi di campagna elettorale.
Le promesse del SNS sono legate quindi alla continuità nella lotta alla corruzione e alla criminalità, di cui alcuni oligarchi vengono accusati; ad un’ulteriore avvicinamento all’Unione Europea, laddove l’accordo di Bruxelles sullo status del Kosovo rappresenta il miglior risultato in questa direzione; e alla riforma della legge sul lavoro affinché si creino nuovi posti di lavoro attraverso gli investimenti stranieri, che rappresentano la vera chiave del futuro dell’economia serba. Le riforme di cui parla Vučić dunque, ma su cui facevano leva tutti gli altri partiti che godevano di minor spazio pubblico in campagna elettorale, si basano sulla necessità di ridurre il numero dei disoccupati – che in misura uguale ai pensionati eccede quello degli impiegati – attraverso una maggiore apertura del mercato agli investimenti stranieri, ed ulteriori privatizzazioni, cosi come richieste dalla stessa Bruxelles.
L’uomo della provvidenza
Altra dote di Vučić è stata quella di erigersi ad unico “salvatore” del futuro della patria e che ha avuto come causa e conseguenza lo sgretolarsi dell’opposizione. Se infatti il leader dei progressisti ha saputo sfruttare persino una tempesta di neve nella Vojvodina come pretesto per andare a salvare personalmente un ragazzino intrappolato in auto ed entrare dunque, attraverso servizi della tv di stato, nel cuore dei cittadini, dall’altro lato l’opposizione ha dimostrato di essere più frammentata che mai. Ad oggi infatti, i tre principali partiti d’opposizione sono separati su logiche di potere più che ideologiche, come confermato dalle loro stesse denominazioni: Partiti Democratico; Nuovo Partito Democratico; Partito Democratico Serbo (nazionalista e anti-NATO). In questo senso lo stappo più grande l’ha creato Tadić, rassegnando le dimissioni dalla presidenza onoraria dei DS e fondando il NDS, lasciando il beneficio del dubbio che egli stesso possa rientrare nel team di governo di Vučić, come si vocifera da più parti a Belgrado.
In conclusione, quella di Vučić può difficilmente essere interpretata come una deriva autoritaria del paese, così come sembra azzardato un paragone con la Serbia di Milošević. La vittoria schiacciante dell’intraprendente Vučić va piuttosto intesa con il crescente disinteresse nei confronti della politica, come testimoniato dalla bassa affluenza alle urne nelle ultime elezioni, e dall’incapacità dell’opposizione di far fronte comune sui problemi della Serbia, quali la disoccupazione crescente, concentrandosi invece su mere logiche di partito.
FOTO: tanjug.rs
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