Il presidente ucraino Yanukovich è fuggito da Kiev a bordo di un elicottero, il parlamento lo dichiara decaduto e vota il ritorno alla costituzione del 2004, quella scritta a seguito della Rivoluzione arancione. Si tratta dello stesso parlamento che meno di due settimane fa votò le leggi repressive contro la protesta. Un parlamento che sembra in preda al panico, pronto a votare qualunque cosa pur di non finire nel tritacarne.
Il cambio di regime è in corso e, malgrado le tensioni crescenti, non sembrano al momento profilarsi pericoli per l’unità del paese. Sembra che il presidente Yanukovich, dopo aver dichiarato di non essersi dimesso e di essere ancora il leader legittimo del paese, sia volato ieri notte a Kharkiv, nell’estremo est del paese al confine con la Russia. La città è una delle sue roccaforti, qui si sono radunati manifestanti che protestano contro il cambio di regime a Kiev. Nella mattinata di oggi i manifestanti pro-Yanukovich si sono ritrovati nella piazza principale della città, ai piedi della statua di Lenin, simbolo della continuità dell’influenza russa nella regione. Una statua di Lenin era stata abbattuta, nelle prime settimane della protesta, proprio a Kiev segnando una svolta nelle manifestazioni anti-governative divenute, da allora, sempre più marcatamente estremiste e nazionaliste. I manifestanti di Kharkiv hanno dichiarato di voler difendere la statua di Lenin dalla violenza dei nazionalisti.
La difesa del “simbolo” dell’eredità russa non è stata seguita da scontri, una ridotta compagine di manifestanti anti-Yanukovich occupa attualmente il lato opposto della piazza ma le due fazioni si fronteggiano pacificamente, divise dalla polizia in assetto anti-sommossa. Una polizia che non si sa ancora a chi obbedirà. Stesso copione sta andando in scena a Donetsk: qui, più che a Kharkiv, si fonda il potere del presidente Yanukovich e proprio con il nome di “clan di Donetsk” è noto il gruppo oligarchico che lo supporta. L’umore della piazza si riassume in queste poche parole: “Yanukovich è il nostro presidente, lo abbiamo eletto democraticamente“.
Secondo alcune agenzie il governatore di Kharkiv avrebbe lasciato la città nella notte per recarsi in Russia, tuttavia si trovava stamane ai microfoni della BBC. La situazione è confusa e al momento non si sa dove sia Yanukovich ed è difficile immaginare i prossimi passaggi di una crisi che potrebbe ancora riservare violenze. Né è facile immaginare quali misure metterà in campo la Russia – che ha apertamente parlato di colpo di stato – per evitare di perdere il paese dalla sua sfera d’influenza. L’Ucraina è infatti fondamentale per la Russia, sia per mantenere la supremazia nella partita energetica che per questioni militari (a Sebastopoli, in Crimea, è ancorata la flotta della marina militare russa).
Le voci di una divisione del paese si rincorrono. Non si tratta di novità: fin dai tempi della Rivoluzione arancione molti think tank, russi ed europei, hanno profilato questa soluzione che vedrebbe la parte orientale del paese (russofona e vicina a Mosca) consegnata a uno stato filo-russo mentre quella occidentale verrebbe lasciata al campo euro-atlantico. Le voci di una spartizione del paese non trovano conferme ufficiali in queste ore, né i protestatari sembrano interessati a questa soluzione. A Kiev come a Donetsk si continua a ripetere: “il paese deve restare unito”. Ma a quale prezzo ancora non si sa.