L’intervista di Barroso alla BBC, in cui il presidente della Commissione europea ha ribadito la posizione ufficiale dell’UE sulla questione dell’eventuale indipendenza della Scozia dal Regno Unito e della possibilità del suo subentro ai diritti di Londra come stato membro UE, non ha mancato di sollevare polemiche.
«Un nuovo stato che nasca da un attuale paese membro – ha spiegato Barroso – dovrà fare richiesta [d’adesione, ndr] e, cosa molto importante, la domanda di adesione e l’adesione all’Unione Europea deve essere approvata da tutti gli altri Paesi membri … Sarà estremamente difficile ottenere l’approvazione di tutti i Paesi membri per avere un nuovo Stato che nasce da un altro».
L’esempio citato da Barroso è quello del Kosovo, a cui manca ancora il riconoscimento da parte di cinque stati membri su 28 (Spagna, Slovacchia, Romania, Grecia, Cipro). «In un certo senso è un caso simile – ha continuato Barroso, – perché è un nuovo Paese e dunque io credo che sarà estremamente difficile, se non impossibile».
I commenti negativi sono arrivati subito, in primis da parte dei membri del partito di governo in Scozia, quello Scottish National Party di Alex Salmond che il 18 settembre sottoporrà ai cittadini scozzesi il quesito referendario “La Scozia dovrebbe essere un paese indipendente?” La posizione di Salmond sull’Europa è sempre stata chiara ma unilaterale: secondo lo SNP, la Scozia dovrebbe diventare automaticamente un nuovo stato membro, attraverso la procedura prevista dall’art.48 del Trattato UE, ossia secondo una “semplice” revisione dei trattati. Gli altri 28 stati dovrebbero prendere atto che anziché il Regno Unito esistono ora due soggetti diversi, e perciò limitarsi ad aggiungere un posto a tavola per la Scozia in tutti i consessi Ue (Parlamento, Consiglio, Commissione, Corte di giustizia…). Ma perché dovrebbero volerlo fare?
Quella espressa da Barroso non è che la posizione ufficiale dell’Unione europea che, ricordiamolo, non è una federazione ma un’unione di stati. Se la Costituzione americana inizia con “We, the people”, i Trattati Ue iniziano al contrario con “Sua Maestà il Re dei Belgi, Sua Maestà la Regina di Danimarca, il Presidente della Repubblica Federale di Germania” e così via. L’Ue è fatta di stati membri, e non può certo mettersi contro di loro. La Scozia diventerà il 29° stato membro Ue se negozierà i termini della propria indipendenza con Londra e convincerà gli altri 27 a modificare i trattati per farle posto. Ma alcuni stati membri, come la Spagna o il Belgio, per non parlare di Cipro, potrebbero non essere intenzionati ad avallare un precedente pericoloso per la propria stessa integrità territoriale.
L’impossibilità citata da Barroso è più politica che legale. Se la Scozia non avrà il favore di Londra e delle altre 28 capitali, come è probabile, si troverà a non poter saltare la fila, e a dover inoltrare domanda d’adesione secondo la procedura dell’art.49 del Trattato UE. In tal caso, come notato da Mats Persson sul Telegraph, le ci vorrebbe qualche anno per passare attraverso la trafila della procedura d’adesione (domanda, riconoscimento dello status di paese candidato, negoziati d’adesione, firma e ratifica del trattato d’adesione), che prevede diverse possibilità di veto da parte di ciascuno stato membro.
E difficilmente i 28 stati membri, soprattutto quelli di nuovo ingresso, saranno intenzionati a a riconoscere a Glasgow un diritto acquisito su quegli opt-out a suo tempo negoziati da Londra (niente euro, niente Schengen, niente rebate – lo sconto sul budget UE negoziato a suo tempo da Margareth Thatcher, – niente misure di giustizia e affari interni). Su quali basi normative la Scozia potrebbe pretendere un trattamento di favore, rispetto agli altri stati già membri? La Scozia, se sarà il 29° stato membro Ue, dovrà aderire su un piano di parità con gli altri stati membri, senza pretendere un double standard a proprio vantaggio.
Si ribatterà: ma gli scozzesi sono già oggi cittadini Ue, non possono essere privati dei loro diritti. Bisogna però ricordare anche che la cittadinanza Ue non esiste di per sé, ma solo come conseguenza del possesso della cittadinanza di uno stato membro, e alla stessa maniera si può perdere: con la perdita della cittadinanza di uno stato membro, o con un voto sovrano e democratico attraverso cui il popolo decide di abbandonare quello stato che ha per lui negoziato la partecipazione all’Ue, con i conseguenti diritti che ne derivano.
Certo, la moltiplicazione degli stati membri per gemmazione non fa bene alla costruzione europea e non è vista di buon occhio da nessuno a Bruxelles e dintorni. Ma anche il dibattito sull’indipendenza, in Scozia, è rimasto troppo a lungo senza una dimensione europea. Salmond non s’è mai degnato di prendere seriamente in considerazione le conseguenze dell’indipendenza sul piano del diritto UE, contando che le cose si risolvessero come per magia, e cercando di convincere gli scozzesi che l’indipendenza avrebbe portato solo vantaggi, e nessun costo, in una sorta di “indipendenza à la carte” per cui tutti i diritti acquisiti sarebbero stati garantiti in ogni caso. Ora, forse, anche a nord del vallo di Adriano si inizierà a riflettere sul fatto che non esistono pasti gratis, e che entrambe le scelte, quella per l’indipendenza e quella per la permanenza nel Regno Unito, comportano costi e benefici.
Cos’è questo, un avviso o un piccolo ricatto? Pensateci bene cari scozzesi prima di distaccarvi da Londra… se questo è il “sogno europeo” realizzato (i Barroso, i Mario Draghi delal fine dello Stato sociale europeo, ecc. ecc.), meglio chiudere qua questa vergognosa esperienza europeista.
Della Scozia non me frega niente e qui non c’è partecipazione. Mi ritiro.