E’ da tempo che scriviamo di Balcani e che, nel farlo, cerchiamo di far passare un messaggio per noi fondamentale. Quello che si svolse al principi degli anni Novanta in Jugolslavia non fu un conflitto etnico. Per il semplice motivo che non c’è disomogeneità etnica tra le popolazioni che si combatterono. “Popolazioni” e non “etnie” sarebbe il termine più appropriato, e lo scontro non fu “interetnico” ma “interculturale“, semmai. Per spiegare quanto affermato partiamo da due elementi: uno etimologico, l’altro storico. Infine le reali motivazioni (economiche) che portarono alla guerra.
Il termine “etnia” tra etimologia e mistificazione
“Etnia” è termine che deriva dal greco ethnos, che significa appunto “popolo“. Il termine sembrerebbe in tal caso appropriato a descrivere la guerra che distrusse la Jugoslavia. Nel dettaglio “etnia” definisce un popolo che ha comune lingua, religione, cultura. Il termine dunque non coincide strettamente con una determinazione razziale. Un individuo di etnia serba non è di razza serba. Questo è quanto definito dall’Unesco che, nel 1950, produsse un documento in merito: The race question. Insomma, fin qui sembra davvero corretta la definizione di “guerra etnica” per il conflitto in questione.
Occorre però dire che i media fanno un altro uso del termine “etnia” utilizzandola proprio come sinonimo di “razza”. E i media, pur degni di vituperio, sono anche un necessario viatico di conoscenza. Un uso superficiale dei media produce, in principio, mistificazioni che poi però si affermano nell’uso comune fino a diventare nuove verità. Il termine “etnia” e ciò che rappresenta è stato a lungo usato dai media in luogo di “razza” fino a diventarne, nell’uso comune, un sinonimo. Questo è stato reso possibile da due fattori: l’orientamento politico dei media e il linguaggio dei media. Non è possibile infatti negare che ogni media complesso poggia su una base economico-politica a cui risponde. E la politica, in Europa e specialmente in Italia, è orientata a creare differenze fittizie, invocando identità non solo culturali ma anche biologiche. Il linguaggio dei media, inoltre, predilige il “politicamente corretto” che in sostanza non è altro che utilizzare un termine al posto di un altro condannato dalla Storia. “Razza” è uno di questi poiché rammenta il nazismo e i campi di sterminio. Per i media “etnia” è un sinonimo, ed in tal senso lo usa.
In questo caso, dunque, dire che il conflitto nei Balcani fu “etnico” è dire che fu motivato dall’odio razziale affermando, di fatto, che quelle che si stavano trucidando nei Balcani erano “razze” diverse. Questo, naturalmente, non è vero.
Nessuna differenza di razza, lo dice la Storia
E per dire che non è vero ci affidiamo al dato storico. Come spiega bene Francis Conte nel suo fondamentale testo “Gli Slavi”, questi furono fin dalle origini un gruppo tendenzialmente omogeneo (dico “tendenzialmente” per non avventurarmi in questa sede in valutazioni per cui rimando alla lettura di Wolfram e Remotti) che occupò i territori di quello che ora è l’Europa centro-orientale. Nei Balcani ci arrivarono nel VI secolo, a dividerli è stata -successivamente- la cultura. Una parte si convertì alla religione ortodossa, un’altra alla cattolica. Questioni politiche ne hanno approfondito la reciproca alterità, gli ortodossi (serbi) si avvicinarono a Bisanzio prima e alla Russia poi. I cattolici si orientarono verso Roma e il mondo germanico. Il dominio ottomano ne convertì alcuni all’Islam, specie in Bosnia. La lingua però resta, ad oggi, identica se non per minime variazioni. L’istituzione di due cattedre nelle università, l’una di serbo, l’altra di croato, è un frutto degli anni Novanta. Prima si è sempre parlato di serbo-croato, quale idioma comune alla penisola balcanica appartente al ceppo delle lingua slave.
La Storia ha diviso le sorti degli slavi balcanici. La politica ne ha esacerbato le differenze culturali per fomentare una guerra scoppiata per ragioni economiche.
Una guerra per ragioni economiche
Quella dei Balcani non fu una guerra etnica (vale a dire “razziale”) ma interculturale. E le differenze culturali nei Balcani sono insignificanti rispetto agli elementi di unità. Infine quella dei Balcani non fu nemmeno una guerra dovuta al conflitto interculturale ma alle questioni economiche. Scrive Filip Stefanovic nell’articolo “Telekom Serbija, ultimo atto“: “Negli anni ’70 un sostenuto livello di consumi, inimmaginabile per i paesi della sfera sovietica, è stato possibile solo grazie ad un altrettanto consistente indebitamento estero. Un debito, però, deve ovviamente essere ripagato. Questo può avvenire in due modi: diminuendo la spesa corrente ed introducendo un lungo periodo di austerità, oppure vendendo il capitale immobile del paese. La prima strada era politicamente impraticabile, la seconda ideologicamente inconcepibile per un paese socialista. La scelta fu quella di sostenere i consumi e ripagare i debiti stampando moneta. Ciò portò ovviamente ad una inflazione sostenuta negli anni ’80 ed alla crisi economica. La guerra da essa scaturita fece ciò che la politica non seppe fare”.
Davvero bell’articolo. A mio avviso ci sono state anche altre motivazioni nel conflitto, anche se comunque connesse col fattore economico. Ti linko.