Ho sempre subito il fascino di tutti i luoghi di frontiera. Il confine orientale italiano poi, ha sempre suscitato in me un misto di curiosità e suggestione che ancora non so motivare razionalmente. Forse perché quello orientale è sempre stato, almeno negli ultimi 250 anni, un confine mobile e perennemente conteso, dove si sono plasmati i destini di migliaia di persone. Sul confine orientale italiano forse troppo si è deciso dell’attuale assetto politico europeo. Di Slataper ricordo che a colpirmi fu subito il cognome: l’onomastica friulana, così “esotica” proprio per le componenti eterogenee che contiene, mi ha anch’essa sempre affascinata; il mio incontro con Scipio Slataper avvenne all’università, mentre seguivo il primo corso di letteratura italiana moderna e contemporanea. Il programma di quell’anno era dedicato agli intellettuali de “La Voce”, la rivista culturale e politica fondata da Giuseppe Prezzolini nel 1908 e pubblicata fino al 1916 non senza subire cambiamenti e svolte editoriali e/o tematiche. La Voce resta in ogni caso, una delle riviste più importanti del Novecento italiano che nelle diverse fasi della sua storia, annoverò tra i suoi collaboratori più importanti , intellettuali del calibro di Salvemini, Croce, Papini, Slataper appunto, Palazzeschi, Cardarelli, Cecchi e molti altri.
Nato nel 1888 da padre slavo [di ascendenza boema, ndr] e madre italiana, ultimo di 5 fratelli, Scipio Slataper crebbe nella Trieste austro-ungarica. Il capoluogo friulano insieme a Trento fu città dell’irredentismo, un movimento i cui membri provenivano soprattutto dalla classe borghese, la cui aspirazione era l’annessione delle città al regno d’Italia. L’irredentismo fu il nodo centrale del pensiero di Slataper, che subì diverse modifiche nel corso degli anni, soprattutto dopo alcuni avvenimenti che cambiarono le sue prospettive.
Dopo un’infanzia trascorsa tra Trieste e l’incontaminato Carso triestino, Scipio frequentò il liceo comunale della città ed entrò subito in contatto con l’ambiente patriottico: le idee di Mazzini e di Garibaldi fecero immediatamente breccia nel suo animo neoromantico e vigoroso, “l’amor patrio” lo pervadeva e Scipio cominciò così ad immergersi nel dibattito sul pro o contro l’irredentismo. Nonostante la frequenza dei suoi slanci e gli stravolgimenti di alcune sue opinioni però, Scipio si mostrò sempre refrattario ad ogni tipo di collocazione politica, e ad ogni banalizzazione o massificazione del suo sentire politico e sociale: nel corso della sua breve ma intensa vita, il suo animo anarcoide rimase sempre fedele a se stesso.
Terminati gli studi superiori, Scipio si ritirò per qualche mese nel Carso triestino a causa di un esaurimento nervoso che lo costrinse ad un periodo di isolamento. L’incontro ravvicinato con i contadini slavi che abitavano quelle zone, spesso offesi in città con epiteti poco gradevoli, dunque il contatto ravvicinato con la comunità slovena, si rivelò fondamentale per la maturazione delle sue idee: dopo questo periodo il giovane fu improvvisamente folgorato da un’idea che con forza si impose sulle convinzioni fino ad allora sostenute: Slataper comprese che sarebbe stato impossibile pensare Trieste senza il nutrito milieu di culture che la componevano, che era quindi la storia di Trieste ad insegnare la sua unicità, la sua diversità rispetto alle altre città italiane, poiché in essa, nel suo humus si erano sedimentati secoli di passaggi, di combinazioni, di fusioni.
Con questa nuova utopia di una Trieste internazionalista, la cui italianità non implicasse per forza alla città di legarsi in un’associazione politico-economica con la nazione, Scipio Slataper si trasferì a Firenze “a diventar classico”, e si iscrisse alla facoltà di Lettere. Arrivato nel capoluogo fiorentino collaborò con La Voce, dove non mancò di esprimersi sull’italianità di frontiera a lui tanto cara, della sua città. ”Il mio Carso” è l’unica opera completa che Slataper abbia lasciato, benché siano molti i suoi scritti giornalistici sparsi su riviste e quotidiani del tempo. Gianni Stuparich inoltre, dopo la morte di Slataper ne pubblicò postuma la tesi di laurea dedicata ad Ibsen e curò inoltre l’edizione di un suo epistolario.
“Il mio Carso” edito dai “Quaderni della Voce” nel 1912, non ha ancora trovato una precisa definizione da parte dei critici della letteratura né tanto meno si è stati in grado finora, di ricondurre l’opera ad un genere letterario adeguato: la natura de “Il mio Carso” è certamente frammentaria, si comprende sin dall’inizio, e somiglia, a voler trovare una collocazione, ad un diario, un taccuino di impressioni e memorie non sempre trascritti in base ad una logica temporale ben definita; al centro di quest’ sperienza scrittoria completa, emergono gli elementi fondamentali del suo pensiero e i tratti più importanti della sua personalità.
La tematica centrale dibattuta nell’opera è senza dubbio quella del senso di appartenenza alla sua Trieste, città compromessa dai dissidi etnici ed in particolare ai tempi di Slataper, dilaniata da un contrasto ormai accesissimo tra popolazione italiana e slava. Come molti altri intellettuali triestini, anche Slataper aveva tentato di interpretare inizialmente in maniera costruttiva la particolare situazione della propria città e più in generale della frontiera orientale italiana, provando dunque ad intravedere una sorta di rovescio della realtà triestina, colma di elementi culturali e politici eterogenei, compromessa da sospetti e risentimenti tipici delle zone di confine.
Anche Slataper fu inconsapevolmente e sempre impregnato di tale eterogeneità, soprattutto dal punto di vista culturale e più precisamente letterario: a Trieste gli stimoli letterari furono largamente europei, stimoli che invece nel medesimo periodo non avevano ancora raggiunto altre aree del nostro paese, né tanto meno ambienti intellettuali delle città italiane più attive, almeno sotto l’aspetto culturale. Il contatto con Firenze, poi con Amburgo dove fu per un anno lettore di italiano all’Università e poi con Roma, dove lavorò come cronista de “Il Resto del Carlino” se da un lato arricchirono e ampliarono le conoscenze e le prospettive di Slataper, dall’altro acuirono quel dualismo (il tentennamento sul pro o contro l’irredentismo) che lo tormentò fino alla morte avvenuta prematuramente nel 1915 sul Monte Podgora. Slataper, convinto interventista, come molti altri intellettuali del periodo, all’entrata in guerra dell’Italia si arruolò nei granatieri e fu colpito dal proiettile di un soldato austro-ungarico.
Negli ultimi tempi, complici anche gli eventi bellici, il pensiero di Slataper subì un ulteriore modifica: quello che fino al 1914 Slataper chiamò il proprio “irredentismo culturale”, in merito al quale lo scrittore affermava che ogni triestino potesse vivere esclusivamente in una dimensione internazionalista, in una sorta di vagheggiata federazione tra popoli, fu sostituito negli ultimi mesi di vita dello scrittore, da una convinta superiorità della stirpe italica sulle altre. Se Slataper avesse vissuto ancora, se fosse sopravvissuto alla guerra, avrebbe rivisto di nuovo le sue posizioni? L’identità composita del giovane scrittore accolse ed inglobò in sé tutte le componenti tipiche della cultura triestina; fu forse proprio il suo eclettismo di fondo a renderlo incapace nel corso della sua breve vita, sia di accettare che di abbandonare il proprio essere “impuro”, un dualismo eterno che probabilmente non gli avrebbe mai consentito di scegliere.
Foto: Furio Bomben, Slataper e il suo Carso, 2011 – china e tempera – cm 70×50
So che l’aggettivo (e il sostantivo) “slavo” è molto radicato in Italia. Ma da voi aspetto di più. Grazie.
Volevo precisare che Trieste e’ capoluogo del Friuli Venezia Giulia e che soprattutto e’ la citta’ piu’ importante della Venezia Giulia. Questa precisazione non e’ volta a creare sciocche divisioni ma per ricordare l’importanza anche del contesto culturale in cui prosperava Trieste.
In ogni caso complimenti gabriella