di Federico Resler
E’ morta la Jugoslavia, viva la Jugoslavia. Così si potrebbe riassumere lo strano sentimento che sta prendendo piede nella penisola balcanica: dopo anni di guerre fratricide e divisioni etniche, le popolazioni ex jugoslave stanno riscoprendo affinità, somiglianze e ricordi.
Per i più anziani si parla apertamente di “Jugonostalgia“: memori dei fasti del passato, rimpiangono la Jugoslavia di Tito e la fama indiscussa di cui godeva nello scacchiere internazionale. La loro è una nostalgia che unisce politica e giovinezza perduta: le estati passate sulla costa istriane e dalmata, il fermento culturale senza pari, l’ebbrezza della prima auto marcata rigorosamente “Zastava”. Il culto della Jugoslavia titoista assume così forme originali e bizzarre: sempre più persone si recano in pellegrinaggio a Kumrovec, paese natale di Tito e su internet si può addirittura trovare la fantomatica Repubblica di Titoslavia, Stato telematico con tanto di bandiera e passaporto.
I più giovani invece non sono colpiti da “Jugonostalgia”, bensì dall’ “Euroslavia“: accomunati dalla stessa lingua (serbo, croato, bosniaco e montenegrino sono praticamente identici), percepiscono il territorio ex jugoslavo come uno spazio unico, fortemente integrato. Infatti non è inusuale trovare comitive di ventenni croati in gita a Belgrado, capitale indiscussa del divertimento e frotte di ragazi serbi in trasferta nella riviera adriatica croata e montenegrina. Tutti ascoltano la stessa musica, in particolare Dino Merlin, Nina Badric, gli Hari Mata Hari, Severina e Ana Stanic e tutti sognano lo stesso futuro nell’ Unione Europea.
Solo che prima erano sovrani e contavano, ora sono schiavi a casa loro. La mancanza della Jugoslavija, la pagheremo un po tutti in Europa.