GEORGIA: Il suo recente passato, l’Europa più vicina e nuovi assetti interni. Intervista con Emanuele Cassano

La Georgia sta voltando le spalle al suo recente passato, tra guerre e vecchie élites economiche e politiche, e prova a darsi una collocazione  internazionale che abbia l’Europa come un partner più presente nel suo futuro. Pubblichiamo un’intervista al nostro collaboratore Emanuele Cassano, apparsa su Mentinfuga.com.

Vorrei cominciare con una domanda che ci riporta ad un recente passato. La Georgia è stata, già dal 1992, teatro di guerre che hanno visto migliaia di morti e atroci sofferenze che, per molti profughi, da una parte e dell’altra, non sembrano essere terminate. Quale la situazione attuale dal  punto di vista umanitario?

La questione dei profughi è uno dei più grandi problemi irrisolti del paese caucasico. Attualmente in Georgia i rifugiati interni  rappresentano infatti il 6% della popolazione (vale a dire circa 250.000 persone), dei quali buona parte vive ancora all’interno di campi profughi. I conflitti dei primi anni ’90 causarono un enorme numero di sfollati, circa 200.000 dall’Abkhazia e 10.000 dall’Ossezia del Sud. Il governo dell’allora presidente Shevardnadze si disinteressò però del problema, costringendo il gran numero di profughi a riparare in abitazioni di fortuna. La maggior parte di essi si sistemarono nel centro di Tbilisi, insediandosi in edifici fatiscenti o addirittura abbandonati. Con l’arrivo di Saakashvili il governo cercò di sgomberare almeno parte del centro cittadino promettendo in cambio agli sfollati un modestissimo indennizzo con cui poter acquistare casa in provincia. In seguito al nuovo conflitto del 2008 il paese si trovò a dover accogliere altri 20.000 profughi provenienti dall’Ossezia del Sud; questa volta però il governo, per evitare che la situazione diventasse insostenibile, provvide immediatamente realizzando ex novo veri e propri centri abitati che potessero ospitare i nuovi profughi. I nuovi edifici realizzati però, essendo stati costruiti in fretta e furia, non sempre rispettano gli standard abitativi.

Nel 2010 le autorità locali cercarono di collaborare con l’UNHCR riguardo alle strategie da adottare per risolvere il problema dei rifugiati, ma finirono per violare più volte gli accordi presi, fallendo nella missione. Attualmente a Tbilisi vivono ancora in condizioni di precarietà circa 60.000 profughi, [qui il reportage fotografico di Luca Vasconi, ndr] molti dei quali rischiano di dover lasciare la propria abitazione da un momento all’altro. Negli ultimi anni il governo ha infatti continuato a procedere allo sgombero dei profughi dal centro della capitale. Questi sgomberi vengono spesso decisi all’improvviso, costringendo un gran numero di persone ad abbandonare con brevissimo preavviso la propria dimora e a doversi rifare una vita a volte senza neanche un indennizzo su cui poter contare. Per risolvere in parte questo problema, il governo sta provvedendo al recupero e al restauro di molte delle abitazioni fatiscenti in cui gli sfollati sono costretti a vivere. Nonostante gli aiuti internazionali ricevuti e le tante promesse fatte, il paese è però ancora lontano dal risolvere definitivamente la questione.

Con l’ingombrante e inarrestabile Russia sembrava dovesse esserci un avvicinamento dopo l’avvento al potere del miliardario Bidzina Ivanishvili e della sua coalizione Georgian Dream.  I rapporti diplomatici con i vicini come sono al  momento?

Inizialmente, dopo il successo di Ivanishvili alle elezioni dell’ottobre 2012, si pensò che il paese fosse destinato a un deciso cambio di rotta dal punto di vista della politica estera. Se per quasi un decennio la Georgia di Saakashvili mantenne una linea politica fortemente filoamericana che contribuì ad avvicinare il paese all’Occidente, con la salita al potere di Ivanishvili, soprannominato da molti in periodo elettorale “l’uomo del Cremlino”, sembrava che la Georgia dovesse avviarsi verso un clamoroso riavvicinamento alla Russia. Lo stesso Ivanishvili ne fece uno dei punti fondamentali della sua campagna elettorale, punto ribadito più volte anche in seguito alla sua elezione. Col tempo però il nuovo governo si è accorto di quanto fosse difficile riprendere il dialogo con Mosca, paese che riconosce e che tutt’ora occupa militarmente Abkhazia e Ossezia del Sud.

Certamente la Georgia di Ivanishvili non è più quel paese fortemente ostile alla Russia quale era al tempo di Saakashvili, ma di fatto di concreti passi in avanti non ne sono stati fatti. Addirittura nel marzo 2013 il parlamento georgiano approvò di comune accordo una risoluzione riguardante la politica estera che sottolineava l’impossibilità di riprendere i rapporti diplomatici con la Russia perlomeno nel breve periodo. Tutto questo mentre i russi in Ossezia del Sud continuano a rafforzare i confini dei territori occupati con il filo spinato, spostando la frontiera di alcune centinaia di metri avanzando lentamente nel territorio georgiano. I rapporti con Mosca, nonostante le molte promesse fatte da Ivanishvili in campagna elettorale, rimangono dunque tesi.

A fine dicembre il Consiglio Europeo ha accelerato le procedure per la firma dell’Accordo di Associazione con la Georgia che è un partner importante per l’UE anche nel progetto che porterà il gas azero nel mediterraneo. Un’integrazione economica con l’Europa dunque possibile?  Tbilisi ne trarrà vantaggi nella regione e per la sua economia traballante?

La firma degli Accordi di Vilnius del dicembre scorso, ai quali ha aderito anche la Moldavia,  è stata la prova della volontà del paese di avvicinarsi all’Unione Europea e al suo mercato. All’interno degli accordi, tra le altre cose, è stata inclusa anche la firma dell’accordo di associazione, prevista entro il settembre 2014, in modo che esso possa entrare in vigore entro il 2015. Il futuro accordo di associazione prevede la creazione di una DCFTA (Deep and Comprehensive Free Trade Area), una zona di libero scambio che possa favorire l’integrazione economica della Georgia con l’Europa. Se effettivamente la DCFTA dovesse entrare in vigore, le merci e i prodotti georgiani potrebbero accedere più facilmente al mercato europeo, e se le esportazioni verrebbero dunque facilitate, l’accordo favorirebbe anche le importazioni, attirando inoltre un numero maggiore di investitori.

Un’altra conseguenza degli Accordi di Vilnius sarà una parziale liberalizzazione dei visti, che consentirà ai cittadini georgiani un più facile accesso nei paesi Schengen. Addirittura il vice Ministro degli Esteri Tamar Beruchashvili ha ottimisticamente dichiarato che per il 2015 potrebbe essere possibile una totale liberalizzazione, cosa che al momento appare però poco probabile.

All’interno del contesto regionale Tbilisi intrattiene buoni rapporti sia con la Turchia che con l’Azerbaijan: per questi due paesi la Georgia rappresenta un alleato strategico dal punto di vista energetico, basti pensare alla recente realizzazione di opere come l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, o al gasdotto Baku-Tbilisi-Erzurum, progetti pensati per convogliare le risorse azere in Turchia e da lì farle arrivare in Europa. Per questo motivo Bruxelles guarda con interesse al paese caucasico, che diventerebbe un alleato chiave soprattutto nel caso venisse avviata la realizzazione della TAP, che permetterebbe al gas azero di arrivare in Italia attraversando la Grecia, l’Albania e l’Adriatico.

La firma dell’accordo di associazione con l’Unione Europea potrebbe rivelarsi però un’arma a doppio taglio, poiché andrebbe ad aumentare le tensioni con la Russia, che fino ad ora ha lasciato fare ma che vorrebbe evitare un ulteriore avvicinamento di Tbilisi all’Europa. Se dunque da una parte l’accordo con l’UE darebbe una mano all’economia georgiana (la quale in parte si basa proprio sugli aiuti provenienti dal Vecchio Continente), aprendole le porte del mercato europeo, dall’altra lo stesso accordo potrebbe dar vita a una nuova crisi con la Russia, che da parte sua tiene ancora sotto scacco il paese, nei confronti del quale attua da anni un embargo economico.

Saakashvili presidente dalla Rivoluzione delle rose ha perso nel 2012 la guida del paese a vantaggio di Ivanishvili, e il 27 ottobre un nuovo presidente, Giorgi Margvelashvili, sempre della coalizione del “Sogno” è stato eletto. Di chi si compone questo blocco di potere e da quali parti della società è sostenuto?

Le elezioni del 2012 si sono rivelate di cruciale importanza per la storia del paese, poiché hanno decretato la fine dell’era di Saakashvili, il quale dopo la Rivoluzione delle rose del 2003 aveva detenuto ininterrottamente il potere nel paese (se si esclude il brevissimo incarico di presidente ad interim della Burjanadze tra un mandato e l’altro). Se la sconfitta del partito di Saakashvili alle parlamentari del 2012 colse molti di sorpresa, nonostante  i vari scandali e la grande perdita di consensi che caratterizzarono gli ultimi mesi della campagna elettorale, alla vigilia delle presidenziali dello scorso ottobre in tanti si sarebbero aspettati una nuova débâcle dello United National Movement. L’elezione di Margvelashvili a capo dello Stato ha sancito la fine di questa transizione politica che ha portato alla ribalta Ivanishvili e il suo Sogno Georgiano e fatto passare l’UNM per la prima volta all’opposizione.

Il Sogno Georgiano di Ivanishvili è una coalizione politica formata da buona parte dei partiti d’opposizione del paese, forze politiche dalle diverse ideologie e orientamento, tra cui il Partito Repubblicano, Nostra Georgia, Forum Nazionale, il Partito Conservatore e il Partito degli Industriali. Alla coalizione guidata da Ivanishvili si sono poi aggiunti anche leader di altri partiti minori, i quali hanno voluto dare il loro sostegno senza però aderire ufficialmente. Proprio questo è stato uno dei fattori che ha giocato a favore di Ivanishvili: per la prima volta qualcuno è stato capace di unire l’opposizione georgiana, fino a quel momento divisa e in perenne conflitto, presentando alle elezioni un’alternativa concreta al partito di Saakashvili.

Per promuovere la propria creazione politica, Ivanishvili ha puntato molto sul sostegno di figure di primo piano all’interno del paese; ne è un esempio emblematico la nomina dell’ex calciatore Kakha Kaladze a vice premier con delega all’energia. Tra i sostenitori del Sogno Georgiano ci sono molti giovani, desiderosi di cambiamento, ma anche lavoratori e pensionati che stanchi della stagnante situazione economica in cui versa il paese hanno votato Ivanishvili per le tante promesse fatte in campagna elettorale, tra le quali vi era l’aumento di salari e pensioni. La coalizione è infine sostenuta da chi spera in un miglioramento dei rapporti con la Russia, oltre che da alcuni ex simpatizzanti di Saakashvili e addirittura dell’ex presidente Shevarnadze.

Come dimostra il caso del sindaco di Tiblisi sospeso senza processo, lo scontro tra i due gruppi di potere non è finito, ma cosa è cambiato o sta cambiando nella vita dei georgiani rispetto al decennio precedente? E cosa ci si deve aspettare nel futuro prossimo per la società civile?

Il caso di Gigi Ugulava, sindaco di Tbilisi, è solo l’ultimo di una lunga serie di epurazioni “guidate” dal governo di Ivanishvili, che da quando si è insediato ha preso di mira molti membri del partito rivale, tra i quali anche ex ministri e funzionari governativi. Il caso più clamoroso è quello che ha riguardato l’ex primo ministro Vano Merabishvili, arrestato lo scorso maggio con l’accusa di aver utilizzato fondi pubblici per corrompere gli elettori in vista delle elezioni presidenziali del 2012 e di aver finanziato gli attivisti del partito. Lo stesso Ugulava venne arrestato mesi fa con accuse simili a quelle mosse a Merabishvili, ma poi rilasciato per mancanza di prove. Arrestando i pezzi grossi dello United National Movement, la coalizione di Ivanishvili spera di far collassare definitivamente il partito di Saakashvili, che dopo l’uscita di scena del proprio leader sta perdendo una dopo l’atra le ultime figure di riferimento rimaste. Da parte sua però, lo stesso Saakashvili tentò in tutti i modi di ostacolare il Sogno Georgiano prima che prendesse il potere nel paese, arrivando addirittura a revocare il passaporto georgiano a Ivanishvili nel 2011, dopo che questo annunciò l’intenzione di sfidarlo alle prossime elezioni.

Questo scontro però, tra i tanti problemi che ha causato, ha dato vita anche ad alcuni risvolti costruttivi. Per prima cosa la stessa competizione tra i due gruppi di potere è un segnale positivo che testimonia un’evoluzione della democrazia nel paese. Di progressi da questo punto di vista ne sono stati fatti: durante la campagna elettorale del 2012 Ivanishvili (allora all’opposizione) riuscì ad organizzare grandi manifestazioni di piazza che si svolsero in modo pacifico e senza l’intervento della polizia, al contrario di quanto successo nel 2009, quando le proteste organizzate da un’opposizione divisa e sfiduciata sfociarono in episodi di violenza che causarono alcuni morti. Altra nota positiva è che nelle ultime due elezioni i risultati sono stati abbastanza incerti fino alla fine e non sono stati denunciati brogli, mentre l’autoritario Saakashvili ha ammesso quasi subito la propria sconfitta. Da segnalare che nel 2012 per la prima volta nella storia del paese è avvenuto un cambio di governo in seguito a elezioni democratiche (prima di questa data i presidenti si erano alternati esclusivamente in seguito a rivoluzioni o colpi di stato).

Il futuro del paese appare però incerto: Ivanishvili in un anno di governo ha rispettato ben poche delle promesse fatte in campagna elettorale, e a novembre come aveva annunciato si è dimesso dalla carica lasciando il posto al giovane Irakli Garibashvili. Bisognerà vedere se il nuovo premier riuscirà a tenere unita la variegata coalizione che fino ad oggi è stata in piedi grazie al carisma e ai soldi di Ivanishvili, e se almeno in parte riuscirà a rispettare le promesse fatte dal suo predecessore.

Foto: sarah d, Flickr

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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