La questione immigrazione in Gran Bretagna è all’ordine del giorno: il governo guidato da David Cameron sembra intenzionato a dare una stretta all’arrivo di stranieri nel Regno Unito. La questione è esplosa con l’approssimarsi del 1° gennaio 2014: da quella data infatti è scaduta la clausola transitoria ai trattati d’adesione di Romania e Bulgaria all’UE (sette anni dal 2007) che consentiva al Regno Unito e ad alcuni altri paesi d’Europa occidentale (tra cui Germania e Francia), in parole povere, di non riconoscere ai cittadini romeni e bulgari gli stessi diritti degli altri cittadini dell’Unione Europea, limitandone l’accesso al mercato del lavoro nell’isola.
Come è noto, la Gran Bretagna è parte dell’Unione Europa con molti “se” e molti “ma”, e l’obbligo di far entrare liberamente nel Regno Unito bulgari e romeni in cerca di lavoro ha suscitato malumori: un sondaggio ha rivelato che i cittadini britannici sono contrari a questa imposizione. Ecco che il governo Cameron ha deciso di farsi espressione di questo malumore e, già che c’è, ha posto la questione cruciale sulla permanenza del paese nell’Unione. I due temi sono distinti tra loro, anche se è facile legarli insieme come ha fatto, con un po’ di becero opportunismo, David Cameron.
L’opportunismo di Cameron
L’opportunismo di Cameron è andato oltre: il premier ha proposto un pacchetto di leggi destinato a “contrastare il turismo assistenziale” degli stranieri che andrebbero in Gran Bretagna solo per approfittarsi del welfare, e ha dichiarato di voler snellire le procedure di espulsione in caso di “accattonaggio”. Il pensiero va subito allo stereotipo negativo di cui sono sempre vittima i cittadini romeni o bulgari: vagabondi, ubriaconi, zingari. Ma Cameron non parla ai bulgari e ai romeni, parla alla pancia di un paese spaventato dalla crisi e dal quale vuole farsi rivotare. Cavalca il timore che romeni e bulgari “portino via posti di lavoro”. Un timore infondato.
E’ l’immigrazione che da sempre consente ad Albione di essere la potenza che, tutto sommato, è ancora. La crescita economica è stata possibile solo con la scelta di cercare altrove quelle energie, intellettuali e materiali, di cui l’isola da sola non dispone. I britannici sono consapevoli di questo. Ci sono però alcune cose che – in tempi di crisi economica – non vanno giù. Un esempio e qualche dato: il welfare britannico costa 160 miliardi di sterline l’anno, di questi circa 40 milioni (lo 0,00025%) vanno in child benefit all’estero. Sei polacco? lavori in UK? tuo figlio vive con la nonna a Poznan? hai diritto a dei benefit per lui anche se non risiede nel Regno. Il 75% dei child benefits che vanno all’estero sono destinati alla Polonia. Ecco perché i cittadini britannici non vogliono altri “polacchi”, ovvero romeni e bulgari, anche se l’identificazione dei polacchi come “scrocconi” non proprio è andata giù a Varsavia.
Romeni e bulgari, questi sconosciuti
C’è poi un dato culturale da tenere in considerazione: il criterio di prossimità. Quanto un piemontese, un veneto, un lombardo, sentono di avere in comune con un calabrese o un molisano? Poco o nulla, a eccezione della comune italianità. Lo stesso vale per i britannici: Romania e Bulgaria sono all’estremo opposto, culturalmente e geograficamente, e gli inglesi non sentono di avere con i cittadini di quei paesi molto a che spartire. L’Europa vista da Londra si ferma ancora a Berlino. La cortina di ferro, come la definì Churchill, è ancora in piedi nelle teste dei britons. Ecco che una riduzione dei benefit agli stranieri piace a molti.
Le bugie del Primo ministro
Dietro lo slogan “posti britannici per lavoratori britannici” si nasconde poi una serie di bugie. L’economia inglese, senza stranieri, si contrarrà soprattutto se, come ammette lo stesso Cameron, la forza lavoro britannica è poco competente. E non è nemmeno vero che è l’Unione Europea a causare “spostamenti ingenti di popolazione”, sia perché il netto tra emigrati ed immigrati nel Regno è, per il 2013, di 216mila persone (non uno spostamento ingente, dunque); sia perché è il modello di democrazia e diritti della Gran Bretagna a portarle immigrati. Finora allo stato britannico non è interessato se una persona fosse inglese o straniera. Chi vive legalmente nel Regno Unito ha diritto, come tutti, a dei sussidi o a delle esenzioni fiscali. Non tutte le esenzioni, non tutti i sussidi: dipende da cosa fai, dal perché sei lì, ma non c’è discriminazione. Non ti fa vivere di parassitismo: le esenzioni aumentano con il lavoro.
Difficilmente la discriminazione “per legge” potrà realizzarsi in Gran Bretagna, nemmeno con lo spauracchio della crisi. Il governo Cameron può proporre quello che vuole, ma è il Parlamento che deve votare.
Una Thatcher coi pantaloni?
Se Cameron avesse pragmatismo e lucidità dei leader, conservatori e non, che l’hanno preceduto, non cavalcherebbe le paure del suo popolo. Non si limiterebbe a “condividerle” ma le tratterebbe apertamente, poiché esistono e non vanno nascoste. Ma l’ansia di sembrare una Thatcher coi pantaloni senza averne – nel bene o nel male – il carisma e l’intelligenza, rende Cameron sempre meno credibile anche per l’elettorato britannico. I sondaggi danno il partito laburista tra i tre e i nove punti di vantaggio sui conservatori. Aveva ragione quel tale che disse che la seconda volta la storia si ripete in farsa.