Così Atene assume la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Quello che è il paese simbolo del fallimento del (neo)liberismo e delle misure di austerità; dell’inettitudine del Fondo monetario internazionale e dei suoi esperti che sbagliano a far di conto; di quel disastro chiamato moneta unica; della fine di qualsiasi parvenza di solidarietà e sussidiarietà europea è ora alla guida del continente. Ma l’ancella non diventerà regina: la corona è solo un simbolo carnascialesco, un rovesciamento della realtà che dura appena lo spazio di un giorno (o di un semestre). Poi l’ordine verrà ristabilito, i poveri resteranno poveri, gli ultimi non saranno i primi. Anche se Samaras già grida “siamo fuori dal tunnel” (si sa che ripeterla è il miglior modo per reificare la falsità) la Grecia è ben lontana da una reale ripresa.
Qualcuno ricorderà che Samaras è stato caramente sponsorizzato dalla Merkel, timorosa di una vittoria della sinistra radicale, e qualcuno si chiederà se un paese così sotto tutela da parte della task force di consulenti assegnatagli dalla trojka ha davvero una qualche autonomia politica tale da rendere questa presidenza qualcosa di più di un compitino a casa.
In questa cosa chiamata Unione Europea ci si è dimenticati dei principi ispiratori: solidarietà, superamento degli odi nazionali, sussidiarietà. Sono in corso una guerra commerciale e un conflitto finanziario: le banche tedesche, esposte in Grecia, hanno impedito il default del paese (altrimenti insolvente) e la Bce, l’Fmi e l’Ue hanno badato a tenerlo in piedi artificialmente. Non c’è, nel dir questo, alcun compiacimento. Nessuno qui sperava nel crollo dell’Unione Europea: quel che si auspicava (e si continua a ritenere fondamentale) era una “rifondazione” del progetto unitario capace di garantire equità, dignità sociale, diritti (uno tra questi: il lavoro), ai cittadini del continente.
La Grecia alla guida dell’Unione non è il successo dell’Europa. E il simbolo di un asservimento a valori che non sono quelli su cui si è fondata l’Unione. Questa Unione Europea non è in grado di garantire democrazia e diritti. Semplicemente non è questo l’interesse dei paesi su cui il progetto europeo si incardina, Germania e Francia. I cittadini greci che pochi giorni fa hanno sparato colpi di kalashnikov contro la residenza dell’ambasciatore tedesco nella capitale lo spiegano bene. E spiegano quanto l’Unione sia lontana da Atene, dal sentire delle persone, dai loro bisogni. E’ vero: sono stati i greci nel 2010 a truccare i conti, ma è altrettanto vero che la crisi greca è convenuta ad alcuni.
L’Europa resta. Resterà sempre. E’ qualcosa di più di questa ridda di interessi incrociati, di speculazioni finanziarie, di unioni bancarie, di prestiti e debiti. E’ possibile che essere europeisti oggi voglia dire essere contrari a questa Unione che, siffatta, rischia di offrire agli estremismi di destra, ai nazionalismi, ai populismi, terreno fertile. Durante la presidenza di turno greca si terranno le elezioni europee e qualche nodo verrà al pettine. Naturalmente speriamo di sbagliare.
Dal punto di vista prettamente politico, infine, questa presidenza di turno lascerà insolute molte questioni: i rapporti tesi con Macedonia e Turchia impediranno probabilmente il proseguo di un dialogo con questi due paesi (su Skopje c’è un veto all’adesione posto proprio da Atene). E gli obiettivi “immigrazione, lavoro e politiche marittime” sembrano, in mezzo allo sfacelo d’Europa, ben poca cosa.
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Foto ANSA
Se mai l’Ucraina dovesse entrare nell’Unione Europea, questa è la fine che molto probabilmente farebbe.
L’Ucraina prima di 15/20 anni non ci sarebbe mai entrata lo stesso nell’UE, anche se avesse firmato a Novembre l’Association Agreement.