Questi giorni potrebbero rivelarsi di estrema importanza per le sorti della Turchia nel prossimo futuro. La settimana appena trascorsa ha infatti visto l’esplosione di un grande scandalo di corruzioni e tangenti che interessano il cuore del partito del premier, proprio in concomitanza (forse non casuale) con il palesarsi di una spaccatura profonda all’interno dell’establishment turco. È infatti ormai evidente il conflitto tra l’AKP di Erdoğan e il movimento Hizmet di Fethullah Gülen.
Il primo colpo all’esecutivo è stato sferrato dall’ex campione di calcio Hakan Şükür, che ha abbandonato il partito lunedì 16 dicembre. Per quanto Şükür – che molti ricorderanno con la casacca dell’Inter – sia un personaggio tutt’ora estremamente popolare, non è di certo la defezione di un singolo parlamentare a preoccupare Erdoğan, quanto il fatto che si è finalmente palesato in modo eclatante il conflitto, strisciante ormai da tempo, tra l’AKP e il potentissimo movimento Hizmet di Fethullah Gülen, a cui l’ex centravanti della nazionale è notoriamente legato. In una dichiarazione rilasciata a poche ore dalle dimissioni, Hakan Şükür ha esplicitamente indicato nella volontà del governo di chiudere le dershane (scuole private per la preparazione degli esami, in gran parte gestite proprio da Hizmet e fonte importante di reddito e influenza per il movimento), la ragione principale della sua drastica decisione.
Meno di 24 ore più tardi, il partito di governo è stato investito da una seconda e ben più grave minaccia: la procura di Istanbul, nel quadro di una vastissima operazione anti-corruzione, ha ordinato l’arresto di almeno 52 persone, colpendo al cuore la dirigenza del partito di Erdoğan. Tra gli arrestati figurano Barış Güler, figlio del ministro degli Interni Muammer Güler, e Salih Kaan Çağlayan, figlio del ministro dell’Economia Zafer Çağlayan. Secondo la magistratura sono entrambi coinvolti nelle macchinazioni dell’imprenditore azero Reza Zarrab, che avrebbe corrotto alcuni membri del governo per ottenere la cittadinanza turca e per coprire un giro d’affari non proprio limpido con Russia e Iran. Anche Abdullah Oğuz Bayraktar, figlio del ministro per l’Ambiente e l’Urbanizzazione Erdoğan Bayraktar, è stato arrestato nell’ambito di un’inchiesta riguardante un giro di bustarelle per ottenere permessi edilizi. Altro nome eccellente è quello del sindaco della municipalità di Fatih, Mustafa Demir, che avrebbe anch’egli concesso permessi edilizi in aree protette anche a scapito della sicurezza della popolazione. La reazione del governo non si è fatta di certo attendere: sono stati immediatamente rimossi trenta alti dirigenti delle forze dell’ordine, tra cui il capo della polizia di Istanbul Hüseyin Çapkın.
Come era prevedibile, in Turchia molti hanno collegato i due avvenimenti, e ipotizzato un coinvolgimento più o meno diretto di Hizmet – tradizionalmente presente con alcuni membri di spicco all’interno della magistratura e della polizia – nello scoppio della vicenda giudiziaria. Le voci in tal senso si sono fatte così insistenti da spingere lo stesso Gülen a pubblicare una smentita ufficiale di qualunque possibile implicazione del suo movimento. Del resto non si tratterebbe di certo di una novità. I rapporti tra Erdoğan e Gülen, per lungo tempo tra i massimi sostenitori dell’AKP e del suo governo, hanno cominciato a deteriorarsi ormai da alcuni anni. Allo scoppio del caso diplomatico tra Turchia e Israele nel 2010 Gülen, coerentemente con le sue note posizioni atlantiste e filo-israeliane, criticò aspramente il premier turco, che si vendicò facendo rimuovere dall’incarico il pm di Istanbul Zekeriya Öz, membro di spicco di Hizmet e titolare dell’inchiesta su Ergenekon. All’inizio del 2012 la magistratura legata a Gülen chiamò a testimoniare Hakan Fidan, capo dei servizi segreti turchi (Millî İstihbarat Teşkilatı, MİT) e strettissimo collaboratore di Erdoğan, nell’ambito di in un delicatissimo processo sui legami tra intelligence e terrorismo. Il governo reagì ancora una volta sospendendo il giudice istruttore e assegnando ad altri incarichi tutti i poliziotti coinvolti nell’indagine. Sembra quindi di assistere per la terza volta ad uno stesso copione, ma questa volta si tratta di qualcosa di estremamente più grande e più grave.
È chiaramente presto per dire se lo scandalo di questi giorni possa trasformarsi in una vera e propria “tangentopoli”, mettendo seriamente a rischio il sistema creato da Erdoğan in Turchia. Va però sottolineato come i sostenitori dell’AKP, che negli ultimi mesi si sono fatti notare per la tendenza paranoica a vedere complotti ovunque, questa volta potrebbero non avere tutti i torti. Oggi più che mai è chiaro che Erdoğan ha un grande nemico con cui fare i conti.
Foto: Diyar se, Flickr