di Matteo Zola
Un groviglio di oleodotti corre dal Caspio all’Europa, come il metano anche il petrolio è al centro degli interessi del Cremlino. Se per l’oro azzurro i russi possono puntare al monopolio mondiale, altrettanto non si può dire per quello nero: la produzione petrolifera dell’Asia centrale non può concorrere con quella dei paesi arabi ma non mancano i retroscena geopolitici.
La Družba sovietica
Partiamo con una breve disamina di quelli che sono gli oleodotti attivi al momento: il più vecchio è la Družba, costruito dai sovietici per portare il petrolio dalle steppe dell’Asia centrale fino agli stati satelliti del Patto di Varsavia. Arrivato in Bielorussia si divide in due rami. Quello meridionale corre verso l’Ucraina fino a Moldavia, Romania e Bulgaria. Quello settentrionale va in direzione della Polonia e della Germania Est. Piccole diramazioni puntano ai Paesi baltici. Oggi la Družba continua a rifornire quei Paesi, compresa la Germania ormai unita, fino alla Croazia e alla Serbia.
Novorossijsk caput mundi
C’è poi il Cpc (Caspian Pipeline Consortium, altrimenti detto KtK, Kaspijskij Truboprovodnyj Konsortcium) che porta il petrolio dall’Astrakan kazako fino al Mar Nero, nel terminal di Novorossijsk che è il grande snodo del petrolio russo. Qui petroliere portano l’oro nero russo-kazako fino a Burgas, in Bulgaria, dove s’avvia l’oleodotto Burgas-Alexandroupolis che nasce da un accordo del 2007 con Grecia e Bulgaria, e permette di aggirare gli stretti turchi giungendo in pratica fino ad Atene.
Il petrolio e le guerre del Caucaso
Ma non basta, a Novorossijsk confluisce anche un braccio transcaucasico che porta il petrolio del Caspio da Baku al Mar Nero. Questo braccio attraversa regioni come il Daghestan e la Cecenia. Certo non a caso proprio lì si concentrano le barbare guerre del Cremlino contro rivoltosi cangianti (islamisti, indipendentisti, milizie dimujaheddin di dubbia provenienza). Una sfortuna energetica, quella dell’oleodotto transcaucasico, che si somma a quella del gasdotto che porta il metano del Caspio lungo un analogo percorso. Ecco che la pace per quelle terre è sempre più una chimera.
L’Europa costruisce l’oleodotto ‘Ottomano’
Eccoci infine al piatto forte. L’Unione Europea cercò di sottrarsi al dominio russo, come già tentò di fare col gas. Per quest’ultimo infatti avviò la costruzione del Nabucco, che oggi Italia, Francia e Germania stanno boicottando per allearsi a Gazprom. Col petrolio la musica non cambia di molto e l’Europa si lancia nella costruzione dell’oleodotto Baku-Ceyan-Samsun-Costanza-Trieste attraversando quindi i territori che furono uniti dall’Impero Ottomano. Il suo percorso ricalca quello del gasdotto “fratello” Nabucco.
Questo oleodotto “Ottomano” parte, appunto, da Baku sul mar Caspio e scende verso la Turchia dove si divide in due rami: il primo va a Ceyan, sul golfo che guarda a Cipro, per essere caricato sulle petroliere. Il secondo va a Samsun, nell’Anatolia settentrionale, dalle parti di Trebisonda. Anche qui viene caricato sulle petroliere. Queste scaricano (o meglio, scaricherebbero) a Costanza, in Romania, dove un oleodotto porta (o meglio, porterebbe) il petrolio fino a Trieste attraversando i Balcani occidentali.
Il condizionale è d’obbligo. La costruzione dell’oleodotto “Ottomano” infatti va a rilento, ed anzi non se ne parla nemmeno più. La parte turca è già realtà ma quella balcanica è ancora sulla carta. Il motivo è da cercarsi nei tesi rapporti tra Washington e gli Ayatollah di Teheran, ma questa è un’altra storia. Pardon, un’altra guerra.
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