In Tagikistan si sono chiuse le urne elettorali, ed i risultati che ne sono emersi non hanno stupito nessuno. La quarta rielezione di Emomali Rakhmon a Presidente della Repubblica Tagika era assolutamente scontata, riuscendo a mettere d’accordo sia gli osservatori dell’OSCE che i corrispondenti russi sul fatto che, nonostante lo spoglio si sia svolto in un clima pacifico, le preventivate irregolarità nella conta dei voti sono puntualmente avvenute, in uno scenario di rassegnazione generale.
Rakhmon, fronteggiato da cinque avversari pressoché sconosciuti , ha raggiunto l’83,6% dei voti lasciando il rivale più vicino, il comunista Ismoil Talbakov, al 5%. Alto anche il numero dei partecipanti al voto, superiore all’80%, il che stupisce dato che sui quattro milioni di votanti registrati in Tagikistan ben un quarto sono lavoratori emigrati all’estero; ossia gli stessi tagiki ai quali era stato impedito di firmare per sostenere la candidatura di Oynihol Bobonazarova, espressione dell’opposizione, poi esclusa dalla competizione. Gli osservatori hanno dichiarato che molte donne hanno votato anche per conto dei parenti assenti.
Proprio la diaspora tagika potrebbe diventare nel futuro l’ago della bilancia della politica tagika, ancora legata alle logiche di spartizione del potere emerse dagli accordi che, nel 1997, misero fine alla guerra civile. In un contesto in cui l’appartenenza geografica e familiare è più importante del comune sentire nazionale, i tagiki emigrati potrebbero essere, infatti, portatori di una nuova identità più cosmopolita e meno legata ai retaggi del passato. E di questo il Tagikistan sembra avere davvero bisogno, per uscire da una politica di sopravvivenza in balia degli eventi.
Un segnale in tale direzione sembra venire dagli stessi annunci governativi, dove si ricercano giovani che abbiamo studiato all’estero oppure in patria prima del 1992, data di inizio della guerra civile. In Tagikistan, come nel resto dell’Asia Centrale, il crollo dell’Unione Sovietica ha portato un notevole peggioramento delle condizioni di vita, soprattutto a causa del taglio dei fondi in arrivo da Mosca, ed il sistema scolastico non fa eccezione. Nonostante il Tagikistan stia vivendo un vero e proprio boom della costruzione di istituti universitari, riconducibile ad una speculazione affaristico-governativa su larga scala, tuttavia si riscontra una carenza cronica di insegnanti, essendo quelli disponibili pochi e mal preparati.
Addirittura uno dei membri del team elettorale di Rakhmon, ossia Ilhomjon Hamidov, nello scrivere un articolo a sostegno del suo candidato, è stato accusato di plagio per avere copiato discorsi elettorali di politici del calibro di Viktor Yanukovych e Vladimir Putin. Una volta scoperto Hamidov ha prima dichiarato, su Facebook, di avere dimenticato di usare le virgolette nel riportare le citazioni, per poi ammettere di avere fatto un errore, in quanto giovane ed inesperto. Peccato che il volenteroso ventisettenne di professione sia insegnante universitario all’Università Nazionale del Tagikistan.
Anche nel resto dell’Asia Centrale, ad eccezione delle scuole per i ricchi kazaki, il livello dell’istruzione è assolutamente insufficiente a creare una nuova classe politica, venendo perdipiù controllato dai governanti così come avviene per i mezzi di informazione ed internet. Addirittura in Uzbekistan la fornitura di libri di testo scolastici per i bambini è stata vincolata alla sottoscrizione di abbonamenti per l’acquisto dei quotidiani governativi. Ed in questo desolante panorama non stupisce che le classi dirigenti facciano scelte nepotiste, come in Tagikistan dove Emomali Rakhmon sembra stia istruendo a successore il figlio Rustam.