(Babelmed.net) Le proteste di Gezi Parki, scoppiate alla fine di maggio contro il progetto di costruire un centro commerciale in un’area verde nel cuore di Istanbul, hanno suscitato il più grande sollevamento sociale contro il governo dell’AKP (Partito per la giustizia e lo sviluppo) che è al potere in Turchia da undici anni. Benché le contestazioni nella loro forma più attiva siano durate pochi mesi, lo “spirito di Gezi” è ancora vivo. Lo si può vedere chiaramente nei social media, negli eventi culturali, nelle strade e in ogni polemica sociale.
Le manifestazioni hanno avuto la particolarità di riunire diverse parti della società. Gente di destra e di sinistra, nazionalisti turchi e curdi, religiosi e non credenti protestavano fianco a fianco, mano nella mano contro i modi prepotenti del governo e la brutalità della polizia. Le proteste, forse per la prima volta nella storia della Repubblica Turca, hanno avvicinato persone di ogni ceto sociale e tendenza politica, e questo ha infranto i muri all’interno della società turca.
Abbiamo chiesto a Kadri Gürsel, editorialista del quotidiano turco “Milliyet” e del sito “Al Monitor”, presidente del Comitato nazionale turco dell’International Press Institute, le cause e gli effetti degli eventi di Gezi.
Secondo lei quali sono state le principali cause che hanno innescato le proteste di Gezi Park e quali gli elementi che hanno contribuito alla loro diffusione?
C’è una motivazione che va menzionata prima di tutto: lo stile di governo sempre più autoritario di Erdoğan. In questa voce, inserirei senz’altro il suo modo di fare dispotico quando si tratta di decidere del futuro di Istanbul, il suo escludere ogni tipo di negoziazione con la città, con le autorità locali, con la popolazione etc. L’idea di trasformare Taksim Square è stata una sua decisione personale. Non ha seguito un percorso di inclusione per arrivarci. È stata pura arroganza. E Taskim è la più importante e centrale piazza in Turchia, la gente ha il diritto di esprimersi su ciò che succede nella propria città. Quando le persone hanno realizzato che i governanti non le ascoltavano ma continuavano a seguire la loro agenda in modo unilaterale, hanno reagito. Questo è il primo aspetto.
Il secondo aspetto riguarda la brutalità della polizia. Dato che l’area attorno a Taksim era praticamente chiusa a ogni forma di protesta e manifestazione da almeno un mese prima della rivolta di Gezi, la polizia ha reagito in un modo molto brutale quel 31 maggio contro poche centinaia di attivisti che protestavano per qualche giorno in tenda per impedire alla municipalità di abbattere quei vecchi alberi come primo step che avrebbe trasformato il parco in un centro commerciale.
È così che le proteste sono cresciute e si sono diffuse in tutto il paese. Tre milioni e mezzo di persone sono scese in strada in 80 province, secondo le stime della polizia.
Quasi tutti i movimenti di opposizione esistenti in Turchia poi si sono uniti ai manifestanti: socialisti, kemalisti, omosessuali, anarchici, ambientalisti, curdi, musulmani socialisti…
Il terzo fattore sono le politiche accentratrici di Erdoğan contro la secolare frammentazione della società. Solo un esempio: lui si rivolgeva alle persone che consumano alcolici chiamandole “ubriacone” o “alcoliste” appena qualche giorno prima dello scoppio delle rivolte. Una volta ha detto “Andate a bere a casa, non in pubblico”. Il giorno della sollevazione Taksim Square e le strade limitrofe erano piene di decine di migliaia di lattine di birra vuote come segno di protesta contro Erdoğan.
Quali sono le caratteristiche dei manifestanti di Gezi? Quali i loro intenti?
Gezi è un’esplosione sociale. Il suo cuore pulsante è la generazione degli anni Novanta, o “Generazione Y” che scende in strada solo per difendere le libertà individuali. Il messaggio che hanno dato è chiaro: Erdoğan non fare prediche e non dirmi cosa fare e cosa non fare! Non interferire con il mio stile di vita. Togliti di mezzo.
È la nuova classe media che ora sta diventando padrona del proprio destino. Sono perlopiù studenti universitari, giovani professionisti innovativi, competenti e altamente scolarizzati, conoscitori di più di una lingua straniera, aperti al mondo e individualisti. Gli altri elementi come i comunisti o i Kemalisti che si sono uniti alle manifestazioni qualche giorno dopo li conosciamo già.
Le proteste hanno riunito alcuni “gruppi” tradizionalmente in opposizione tra loro, come i “Turchi bianchi”, curdi, alawiti, sunniti, non credenti, omosessuali, persone di sinistra, di destra etc. Ha senso dire che le proteste di Gezi hanno buttato giù qualche muro all’interno della società turca?
Assolutamente. Specialmente se pensiamo al muro tra curdi e kemalisti. Dobbiamo ricordare che i kemalisti sono nazionalisti laici convinti, dunque ostili alle richieste e alle aspirazioni curde. Ho visto personalmente giorno dopo giorno come questi due gruppi sono entrati pacificamente in contatto tra loro durante gli eventi di Gezi. Non si è verificato nessun atto di ostilità. La protesta è stato un esperimento sociale e politico di successo a livello di laboratorio. La politica dell’AKP è “dividi et impera”.
Il primo ministro Erdoğan ha definito la parte della società coinvolta nelle proteste come “loro” e gli altri come “noi”. Ritiene che l’approccio e i commenti dei dati forniti dal governo fossero separatisti? Questa attitudine ha creato nuovi muri tra differenti gruppi?
L’accentramento è la politica scelta da questo governo per consolidare il suo potere. È una strategia deliberatamente divisionista. Il segmento conservatore sunnita rappresenta la maggioranza della società turca. Quando gli islamisti riescono a dividere la società tra religiosi conservatori e laici, tra sunniti e aleviti, tra islamisti e non credenti, l’AKP al potere ottiene la fetta più grossa perché i conservatori sunniti si identificano con il partito, sono in linea con il suo alienante comportamentismo politico, e lo votano contro le altre coalizioni. È così che il “divide et impera” dell’AKP ha funzionato a costo zero finora. Ma questo approccio opportunista è stato messo in crisi dalla protesta di Gezi e può solo causare instabilità in futuro se Erdoğan insisterà su questa strada. Lo spirito di Gezi c’è ancora.
Lei si attende qualche concreto risultato politico dalle proteste di Gezi? La volontà di comprendere l’”altro” che è emersa in questi eventi potrebbe avere qualche effetto positivo?
Non credo che il movimento di Gezi confluirà in un partito politico. Non ci sono segnali in questa direzione. Ma lo spirito di Gezi è ancora presente e sta sicuramente influenzando in modo positivo la realtà politica. Centinaia di migliaia di giovani sono stati politicizzati in un modo senza precedenti e dobbiamo attendere e vedere che conseguenze avrà questo sul medio termine.
Inoltre, Gezi ha aperto nuove strade per alleanze a livello politico e sociale. Potremmo osservarne le ricadute nelle prossime elezioni. Il fenomeno sta spingendo Erdoğan a riabilitare la sua immagine in frantumi e la sua autorità morale distrutta. I paradigmi dell’AKP sono le prime vittime della protesta. Il cosiddetto “Pacchetto di democratizzazione” è l’esempio di un tentativo di riparazione.
Cosa pensa della situazione attuale? Ritiene che lo slancio delle proteste di Gezi sia svanito del tutto o possiamo prevedere alcune sue future ripercussioni?
L’energia sociale e politica che si è scatenata a Gezi potrebbe perdere il suo slancio nel corso della sua trasformazione dialettica. Cambierà forma ma non scomparirà. È una sollevazione generazionale. Rimarrà e porterà enormi trasformazioni.
Foto: Eksiblog.com
è un peccato che il BDP non abbia invitato in modo solido e convinto Erdogan a dimettersi mentre milioni di persone non dicevano altro che “dimissioni” in ogni singolo momento della rivolta. questo conta molto e per la maggior parte dei movimenti comunisti e socialisti extra-parlamentari è stata percepita come una scelta molto spiacevole. anche lo stesso CHP(che ha reagito da auto che corre dietro alll’ambulanza durante la rivolta) non ha partecipato in modo organizzato e massiccio alle manifestazioni invitando il governo a dimettersi. le motivazioni di questi due poteri partitici sono ben diverse ma ciò ha evidenziato ancora per un’altra volta che in turchia c’è una grossa parte della popolazione che non si sente rappresentata e le uniche realtà partitiche con questa rivolta si sono allontanate ancora per un’altra volta dai cittadini. i dati delle ultime elezioni avevano anticipato questo scenario, un’alto astensionismo e grazie alla legge elettorale attuale una bella fetta dei votanti rimasti fuori dal parlamento.