Bat’a, un cognome ormai noto in tutto il mondo, è il marchio di una delle principali aziende del settore calzaturiero. Il fondatore, Tomáš Baťa, aprì a Zlín la sua ditta, in quello che allora era l’impero austro-ungarico e ora è la Repubblica Ceca. Fornì le calzature all’impero durante la Prima guerra mondiale. Con i suoi scarponi l’esercito di Francesco Giuseppe discese l’Italia fino a Caporetto, per poi risalire in rotta le valli che lo videro invasore.
Dopo la guerra modernizzò la produzione costruendo un impianto di modello fordista con il quale conquistò i mercati europei e del Nordamerica. Morì nel 1932 e la fabbrica passò al fratello minore, Jan Antonín Baťa, che ne guidò l’espansione fino a che non venne un’altra guerra a funestare l’Europa. Nel 1939, con l’invasione nazista dei Sudeti, l’azienda venne requisita e servì ai fini del Terzo Reich. Gli scarponi di Bat’à schiacciarono l’Europa, pestandola a sangue. Poi, nel 1945, il regime socialista la nazionalizzò (con i famigerati decreti Benes) accusando la famiglia Bat’a di aver collaborato coi nazisti.
Determinato ad andare avanti, Thomas J. Bata, figlio del fondatore, fondò nel 1946 in Canada una nuova società: Bata Shoe Organization. L’azienda che tutti oggi conosciamo. Il marchio d’infamia di aver collaborato con i nazisti è rimasto fino all’aprile di quest’anno quando un tribunale distrettuale di Bratislava ha stabilito erronea la condanna di Baťa che ebbe come conseguenza la confisca delle sue proprietà. Tutto questo lo apprendiamo da Buongiorno Slovacchia, quotidiano online slovacco in lingua italiana, che ci informa anche della richiesta di compensazione avviata dalla famiglia Bat’a nei confronti del Ministero delle Finanze slovacco.
Scrive Buongiorno Slovacchia che “John Nash, nipote di Jan Antonín morto in esilio nel 1965, che guida oggi la schiera degli eredi, ha detto di lasciare mano libera al governo slovacco di decidere il livello di compensazione, pur sostenendo che il valore degli immobili è dell’ordine di miliardi di euro”.
Materia del contendere – spiega il quotidiano slovacco – “è l’ex stabilimento Baťa di Svit, nella Slovacchia orientale, che il governo cecoslovacco nel 1989, una volta ritornata la democrazia, offrì al figlio di Tomáš Bata, Tomáš Jan. La fabbrica era in serie difficoltà, e necessitava di forti investimenti: rimase di proprietà dello Stato fino alle privatizzazioni effettuate con i coupon a metà degli anni ’90 nel pieno dell’era Meciar. La fabbrica è poi fallita nel 2000″.
Resta l’interrogativo su quanto sia opportuno chiedere oggi a governi democratici (e alle società che rappresentano, che furono vittime di quei regimi) risarcimenti per danni subiti in passato per mano di un regime violento ormai spazzato via dalla storia.
Fonte: Buongiorno Slovacchia. Foto: Manifesto pubblicitario Bata, 1934
Se la Germania democratica ha risarcito Israele per gli orrori nazisti non si capisce perché un cittadino spogliato dei suoi beni da uno stato comunista non abbia gli stessi diritti.
Bata non solo ha collaborato con i nazisti. I signori Bata erano e sono rimasti dei nazisti anche dopo la guerra e nel 1973 sostennero in Cile il colpo di Stato fascista dela macellaio Pinochet, ne furono tra i più accesi sostenitori e spostarono in Cile il centro dei propri affari economici e commerciali. I Bata non solo vanno espropriati, oggi come allora, ma sbattuti in galera per crimini contro l’umanità.
Qua si può leggere cosa ne dice mr. Bata stesso:
http://books.google.be/books?id=5FwrNew3nm8C&lpg=PA250&ots=AZ_3BpVr1K&dq=bata%20pinochet&pg=PA250#v=onepage&q&f=false
esattamente!