Uno dei punti ancora oggi più oscuri della Seconda Guerra Mondiale, ma soprattutto del suo dopoguerra, è la cosiddetta “Operazione ODESSA” (Organisation Der Ehemaligen SS-Angehörigen, Organizzazione degli ex-membri delle SS), vale a dire quella rete che avrebbe messo in salvo numerosi nazisti, tra cui diversi gerarchi, permettendo loro di sfuggire ad una condanna a morte quasi certa. Se Hitler si chiudeva nel bunker, facendosi simbolo stesso del regime nazista, menti ben più lucide, e dalle aspirazioni ben più prosaiche, cercavano un modo per salvare la pelle e i capitali.
Sulla vicenda non è ancora stata fatta piena luce, ma sembra un dato acquisito che nell’agosto del 1944 si tenne, a Strasburgo, un incontro che mise intorno ad un tavolo imprenditori e banchieri tedeschi con rappresentanti di alti vertici del Reich. Il concetto era chiaro: fuggire! Si decise di investire capitali in paesi neutrali ed amici come Svizzera, Spagna, Turchia, Argentina e Paraguay, aprendo numerose aziende tedesche all’estero dove i futuri ricercati nazisti avrebbero potuto essere assunti con ruoli dirigenti, scampando alle rappresaglie dei probabili, per non dire sicuri, vincitori. In cambio i fuggiaschi avrebbero custodito i capitali investiti.
Sul fatto che esistesse una vera e propria rete, oppure che si trattasse di una molteplicità di vie di fuga, è materia di polemica storiografica, come lo è il ruolo del Vaticano. Una delle rotte, la “Via dei Monasteri” detta anche “Rat Line”, da cui i nazisti lasciavano il continente, diretti in Sudamerica, si snodava attraverso una serie di monasteri, in Svizzera ed Italia, per giungere infine a Genova, dove avvenivano gli imbarchi. Se i fuggitivi venissero accolti per iniziativa personale, secondo alcuni storici con un fraintendimento del concetto di carità, o per precisi istruzioni provenienti dal Vaticano è a tutt’oggi argomento mai chiarito, e sul quale opposte fazioni si combattono senza esclusione di colpi.
L’esistenza di ODESSA sarebbe passata del tutto inosservata se non fosse stato per l’impatto mediatico avuto, nel 1972, dal thriller intitolato Dossier Odessa e scritto da Frederick Forsyth. Elemento molto interessante, anche in relazione alle polemiche sopra citate, il fatto che il romanziere ebbe la consulenza del celebre cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal, che in qualche modo, lui ebreo, fece uscire dall’oscurità le (presunte) colpe della Chiesa Cattolica. Una Chiesa, che con l’elezione di Papa Francesco I sembra aver toccato proprio il punto più alto di impatto mediatico, suscitando una vera e propria forma di isteria collettiva verso il nuovo pontefice; è proprio il caso di dire “Tutti pazzi per Francesco”.
Vicende come ODESSA restano pagine buie della storia del Vaticano, e la grande sfida che attende il nuovo pontefice sarà quella di fare chiarezza, non solo negli intrecci affaristici attuali del soglio di Pietro, ma avere anche il coraggio di fare luce su quelli passati. La popolarità di Francesco, e la sua capacità di bucare lo schermo, potrebbero far credere che per il Vaticano sia davvero giunta una svolta, ma per giudicare servono fatti, nonostante la novità delle parole pronunciate dal Papa argentino, e non va dimenticato che proprio l’Argentina fu tra le principali mete dei nazisti in fuga.
Ma in tutto ciò il Vaticano non è solo, gli scheletri nell’armadio sono distruibiti più o meno equamente, e il dopoguerra fu un vero e proprio crocevia di traffici non certo puliti. Come nel caso dell’ “Operazione Paperclip”, tramite la quale gli Stati Uniti reclutarono, nell’immediato dopoguerra, medici nazisti per acquisirne i “risultati scientifici” e difenderli dalle mire sovietiche. Tracciare una linea netta tra bene e male non è certo facile, ma forse una memoria storica condivisa potrebbe finalmente chiudere capitoli dolorosi; sempre che il Vaticano, ne abbia l’interesse.