Il 22 settembre si svolgeranno le elezioni per il rinnovo del parlamento tedesco. Angela Merkel, leader della Cdu, si avvia alla vittoria forte di un 40% di consensi secondo i sondaggi. I socialisti del Spd sono fermi al 25% e solo il crollo dei liberali potrebbe costringere la Merkel a una “grande coalizione”. Ipotesi che non piace alla cancelliera ma che potrebbe realizzarsi se i liberali replicheranno il tonfo registrato alle elezioni bavaresi della settimana scorsa dove, con un misero 3.3%, sono rimasti fuori dal parlamento regionale. Quel che sembra certo è che Angela Merkel sarà canciellere per la terza volta consecutiva. La domanda è: si tratta di una buona notizia per l’Europa?
La stabilità nel cuore d’Europa è necessaria, sostengono taluni, soprattutto in un momento di crisi come quello che sta attraversando il vecchio continente. E la Germania con le sue politiche di rigore (imposte anche al resto d’Europa, visto il peso di Berlino nelle istituzioni comunitarie) è un modello per tutti, specie per quei paesi “cicale” che hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità. Un cambiamento di rotta adesso sarebbe sbagliato. Infine è possibile che la Merkel, dopo le elezioni, ammorbidisca le sue posizioni più intransigenti in merito all’unione bancaria, alla mutualizzazione dei debiti sovrani e alla lotta contro la disoccupazione. Fin qui infatti Berlino ha fatto poco o nulla in tal senso. La rielezione della Merkel sarebbe quindi un elemento di stabilità e continuità.
Già, continuità nella crisi! – viene da replicare – Poiché proprio le politiche di austerità volute dalla Bce (la cui sede è, non a caso, a Francoforte e le cui decisioni sono influenzate da una Germania che versa da sola il 18,9% del capitale complessivo) hanno protratto una crisi che, negli Stati Uniti, è ormai finita. Le responsabilità tedesche nel disastro greco (che è un disastro sociale e umano) sono evidenti. E infine Berlino, come scrivemmo qui, da questa crisi ci guadagna non poco. Un cambiamento di rotta da parte della Germania sarebbe dunque fondamentale per uscire dalla crisi e rilanciare un progetto europeo arenatosi nelle secche del monetarismo.
Il fatto è che la Germania questo cambio di rotta non lo vuole, e la Merkel c’entra poco. In patria l’hanno criticata per essere stata troppo morbida verso i “pigs” (terribile acronimo) proprio mentre all’estero la accusavano di eccessivo rigore. E la Merkel nulla c’entra con certe retoriche della stampa tedesca (che dipingono i popoli mediterranei come fannulloni o incapaci, con qualche venatura razzistica) né con un’opinone pubblica gelosa del proprio benessere e poco disponibile a guardare fuori dai propri confini. Queste ragioni fanno pensare che nulla cambierà dopo il 22 settembre perché Angela Merkel non potrà andare contro le attese del suo elettorato. Un elettorato che si trova, tra l’altro, senza valide alternative.
E così l’Europa si trova al guinzaglio dell’elettorato tedesco e della sua (legittima) aspirazione al benessere. Un benessere ottenuto con impegno e fatica che non tiene conto, però, del fatto che l’economia tedesca è interconnessa a quella europea e che la Germania è solo la prima degli ultimi. Tra i paesi a più alto tasso di crescita al mondo la Germania, tra il 2000 e il 2010, occupa le posizioni più basse. Se guardiamo la classifica al contrario, Berlino è al 12° posto tra i peggiori al mondo. L’Italia è al terzo. L’Europa è al palo, in buona sostanza. E in questa Europa la Germania della Merkel si troverà a dover sguazzare. A meno di non fare dell’Europa l’area economica tedesca (quella che Helmut Kohl, già cancelliere della Cdu, definì “l’Europa tedesca” in aperta critica alla Merkel) la Germania si troverà gioco-forza a fare i conti con una crisi che fin qui ha solo rinviato.
L’impressione è che finché ci sarà la Germania della Merkel (di cul la cancelliera è un esito, non la causa) non ci sarà un futuro per l’Europa, una possibilità di cambiamento per un continente che affonda.
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