È una data storica per la Serbia: la candidatura del governo pro-europeo serbo a far parte dell’Europa Unita è stata accettata. Anche se passeranno diversi anni prima che la Serbia diventi membro della Ue anche ufficialmente, da oggi la vita per noi cittadini serbi cambierà radicalmente. Già un anno fa, quando è stato abolito il visto Schengen le cose sono cambiate: alle frontiere, nelle banche europee, perfino nei tram in Italia, quando i controllori ti chiedono il documento personale. Dopo l’esperienza ventennale di sanzioni, isolamento e crimine legalizzato la Serbia è alla porta dell’Unione, della fortezza della democrazia occidentale con i suoi standard di leggi sul razzismo, sul sistema giudiziario, monetario, sui diritti umani, sui crimini di guerra ecc.
Standard che la nuova Serbia sta tentando di implementare con grandi difficoltà negli ultimi anni: un passo avanti, due indietro. Dopo l’assassinio nel 2003 del premier democratico Zoran Djindjic, che aveva deposto Milosevic, il macellaio dei Balcani, le cose hanno preso il verso sbagliato. È nato il nuovo nazionalismo, da non confondere con il nazionalismo della retorica comunista di Milosevic. Un nazionalismo nuovo basato sui valori tradizionali della chiesa ortodossa, i cui sacerdoti erano profondamente coinvolti nei crimini di guerra dei serbi bosniaci della pulizia etnica. Il nuovo nazionalismo propagato dal partito forte dei radicali, una volta alleati di Milosevic, propugna l’orgoglio serbo contro le diversità etniche, sessuali e religiose, in nome di una purezza secolare nata nel Sud del paese, nella provincia di Kosovo a maggioranza albanese autoproclamatasi indipendente due anni fa.
Paradossalmente, tutte le battaglie reali e simboliche oggi si svolgono per i serbi in Kosovo. Anche quando picchiano i gay per le strade o i calciatori nello stadio puntano le tre dita, urlando «Kosovo è Serbia!». Nessuno di questi nuovi giovani nazionalisti è mai stato in Kosovo, ma sono pronti ad ammazzare ed essere ammazzati per quella bandiera. In maniera molto accorta il presidente Tadic è riuscito a strappare dalla mano dell’estrema destra questa bandiera per portarla lui stesso. Ha svuotato il nuovo nazionalismo del contenuto politico, dandogli quello sportivo, le star serbe del tennis. Poi tutti uniti in Europa, per combattere diplomaticamente le battaglie perdute. Parlando con i miei amici montenegrini, croati e bosniaci ci siamo ricordati del 1989, prima che scoppiassero tutte le guerre balcaniche che ci hanno rovinato se non tolto la vita, quando la Jugoslavia con il governo di Markovic aveva di fatto anticipato la Ue, come un tempo l’Impero austroungarico, oppure facendo da Stato-cuscinetto fra l’Est e l’Ovest ai tempi della guerra fredda.
È difficile spiegare perché poi la storia sia andata diversamente: una concomitanza di eventi poco fortuiti: nazionalismi, fanatismo religioso, pulizia etnica, mancanza di appropriati interventi diplomatici internazionali. Quando mia madre, un medico, morì nel 1999 dopo i bombardamenti della Nato per mancanza di antibiotici in un ospedale serbo, ho capito che l’ultimo nemico di Milosevic era proprio il popolo serbo, che le sanzioni internazionali imposte grazie a lui sono un killer senza faccia che lascerà tracce per decenni sulla generazione cresciuta in guerra. Una generazione perduta, quella di mia figlia.
Oggi la Serbia finalmente ha la possibilità di legalizzare i suoi figli illegittimi, ma solo però se taglia i fili visibili e invisibili con il suo passato criminale. Finora Ratko Mladic, responsabile per il genocidio di Srebrenica, non è stato arrestato e i suoi amici vivono nella mia città, e polizia ed esercito lo proteggono e nascondono. La Ue con tutti i suoi problemi è l’ultima chance per la Serbia per far fronte al male interno decennale. Chiamalo omofobia, hooliganismo, crimini di guerra, corruzione. Il filo rosso porta al tribunale di guerra internazionale dell’Aja, che oggi al Consiglio dell’Ue ha dato luce verde alla Serbia. È una decisione saggia, perché la Serbia è collocata in mezzo all’Europa: è più facile far diventare Serbia parte dell’Europa, che rischiare che tutta l’Europa diventi Serbia.
—
Io penso che Belgrado diventerà la città più attraente d’Europa negli decenni prossimi, basta che la Mafia e i nazionalisti siano messi in minoranza.