BOSNIA: Il successo della bebolucija, protesta che supera il nazionalismo

A quasi un mese dall’inizio della bebolucija, la rivoluzione dei bambini, a Sarajevo le transenne bianche circondano la piazza ormai vuota di fronte al parlamento nazionale. Dopo ben venticinque giorni le proteste sono terminate, ma non hanno spento l’entusiasmo di chi vi ha preso parte.

Quasi un mese di manifestazioni, assemblee e gruppi di lavoro hanno lasciato nelle persone la speranza che questo non sia stato che l’inizio.Come racconta ad East Journal Valentina Pellizzer, attivista italiana residente a Sarajevo dal 1999 che ha partecipato fin dall’inizio alla bebolucija, “i venticinque giorni di protesta pacifica sono stati un incredibile atto di resistenza civile da parte dei cittadini bosniaco-erzegovesi. I cittadini e le cittadine che hanno manifestato la propria indignazione lo hanno fatto come persone nei confronti di una classe politica che si è dimostrata incapace di fare il proprio lavoro, e che pur di garantire la propria sopravvivenza ha calpestato i diritti della categoria più indifesa, i bambini”.

I casi di Belmina e Berina, le due bambine prive di numero di identificazione personale (Jedinstveni matični broj građana, JMBG – una sorta di codice fiscale) e pertanto impossibilitate ad uscire dalla Bosnia per farsi curare all’estero, hanno provocato una reazione emotiva tale da portare in piazza non solo i sarajevesi, ma “tutti quegli esseri umani che si sono rifiutati di considerare l’impasse sui numeri personali come l’ennesima questione etnopolitica, ponendosi una domanda fondamentale: Chi sono io come individuo? Come posso permettere che una bambina muoia solamente perché è nata in un paese in cui i politici sono etno-bestie?”.

Nonostante il paragone con gli indignados e gli altri movimenti modello Occupy che hanno preso piede negli ultimi anni in tutto il mondo, la Bosnia-Erzegovina rimane un caso a sé, e come tale dev’essere trattato. Spiega sempre Valentina: “Non bisogna dare per scontato che i cittadini bosniaci siano scesi in piazza in massa, considerando che l’ultima volta che l’hanno fatto, nel 1992, hanno sparato loro addosso. Così come non è da sottovalutare il valore simbolico della riappropriazione dello spazio pubblico, collettivo, in un paese in cui la regola è che la mia presenza è la negazione della tua. Facendosi fotografare a sostegno della JMBG i bosniaci ci hanno messo la faccia, hanno riaffermato il diritto alla vita, mentre nessun politico si è dimesso per vergogna”.

La mancanza di ONG e partiti politici tra gli organizzatori della protesta è stata considerata una delle debolezze del movimento. Eppure è frutto di una scelta consapevole, presa per evitare strumentalizzazioni e protagonismi di parte. In un tessuto sociale frammentato come quello della Bosnia, infatti, la società civile può riprodurre ed addirittura esacerbare le divisioni etniche e politiche che ci sono al suo interno. Il messaggio trasmesso dalla bebolucija, invece, è che il fondamento del senso civico è la singola individualità, l’essere umano in quanto tale, senza il bisogno di bandiere. Questo hanno ricordato i cittadini che si sono riuniti la sera della morte di una delle due bambine, Berina: il bisogno di restare umani.

Cosa rimane della bebolucija? “Innanzitutto i risultati tangibili: il giorno successivo all’assedio non violento del parlamento, il 6 giugno, Belmina ha ricevuto il suo numero di identificazione personale, assieme al passaporto che le ha permesso di uscire dalla Bosnia per essere curata. I manifestanti hanno ottenuto un altro risultato: per sei mesi i bambini bosniaci riceveranno un numero di identificazione personale permanente. È stato riaffermato il loro diritto ad esistere come cittadini bosniaci, ma soprattutto è stata restituita loro la dignità di esseri umani.

Grazie alle proteste dei cittadini, i politici bosniaci hanno dovuto riconoscere l’esistenza di un problema reale e di una massa critica di cittadini che reclama la propria dignità. Infine, la protesta non è sfociata nella violenza in nessun caso, anche nei momenti di maggiore tensione, come durante l’assedio del parlamento. Va riconosciuto il comportamento corretto delle forze di polizia, ma anche il senso responsabilità di organizzatori e partecipanti alle proteste che si sono impegnati a pulire la piazza anche dopo il concerto del 1 luglio”.

La bebolucija è conclusa, e i tentativi di sminuirla sembrano affermare, al contrario, la scomodità di questo movimento. Rimangono orgoglio per non aver messo a tacere l’ennesimo sopruso e la voglia di continuare.

Per informazioni: www.jmbg.org twitter @JMBGzasve

Foto da Radiosarajevo

Chi è Chiara Milan

Assegnista di ricerca presso la Scuola Normale Superiore, dottorato in Scienze politiche e sociali presso l'Istituto Universitario Europeo di Fiesole (Firenze). Si occupa di ricerca sulla società civile e i movimenti sociali nell'Est Europa, e di rifugiati lunga la rotta balcanica.

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