Le elezioni di medio termine tengono con il fiato sospeso milioni di statunitensi e -in misura variabile- moltissimi altri tizi all’estero interessati alle sorti nordamericane: possibili sconquassi in vista, dicono gli osservatori di fenomeni locali, più o meno cinici o seriamente preoccupati. Poi delle mid-term ceche non gliene frega niente a nessuno e in qualche modo la cosa è comprensibile, o comunque inquadrabile su determinate scale di valori. Però noi di quelle parliamo. Dunque qualche rigo di contestualizzazione, seguiti da dati nudi e crudi.
L’incipit è una specifica necessaria: la tornata elettorale del quindici e sedici ottobre è stata (cosa nota) «locale» per cui portatrice di trend particolarissimi; i risultati delle urne devono essere letti alla luce di alleanze con movimenti minori che su scala nazionale non apparirebbero o influenzerebbero assai meno equilibri politici nazionali. Tuttavia elementi di rilievo sono riscontrabili pure stavolta: tra tutti, i socialdemocratici che risollevano la testa (in numerose città si propongono come primo partito) e i rampanti del Věci veřejné che dopo l’exploit delle scorse politiche non bissano i successi primaverili; ma anche il tentativo fallito del Top 09 di scalzare l’Ods dal trono di movimento conservatore di riferimento, nonché l’affermazione degli ex delusi del KDU-ČSL come affidabile alternativa di centro (molti giornali a Praga utilizzano per loro la definizione, in classico boemo, di «genuine winner of the elections.» D’altronde che i democristiani non muoiano mai è dato accertato e sovranazionale).
I socialdemocratici del ČSSD si dimostrano quindi in grado di poter esistere ed essere competitivi anche senza l’ex leader Jiří Paroubek, dimessosi dopo la batosta alle politiche di maggio, anzi la crescita è stata attribuita dai media proprio alla cura-Sobotka, il nuovo leader del carrozzone: tirando le somme il ČSSD porta a casa tredici dei ventiquattro maggiori centri nei quali si è votato e su tutti svetta il successo di Brno, capoluogo della Moravia e differentemente da Praga città meno conservatrice (l’Hospodářské Noviny su questo si è affrettata stamani a sottolineare come sia certo un evento rapportabile alla politica di tagli del governo di centro-destra, ma anche al fatto che Sobotka sia più fotogenico di quel musone burbero che ha sostituito e del quale nessuno sente la mancanza nonostante recentemente abbia minacciato di meditare una rentrée in grande stile).
Come preventivabile non sono tardate ad arrivare le impressioni sulla due-giorni alle urne del neo primo ministro Nečas: la speranza espressa dal premier è che l’urto elettorale del successo socialdemocratico -o per meglio dire, i risultati un po’ loffi della triade di governo che lui rappresenta- non intralcino troppo i piani dell’esecutivo. In primis l’aumento di militari cechi in Afganistan ma anche il piano di riforme economiche con tagli a trecentosessanta gradi per stabilizzare i mercati. A consolazione di Nečas l’affermazione del ČSSD sarebbe sì sensibile ma non sufficiente per porre eccessivi e invalicabili ostracismi (tradotto in numeri, il centro-destra continuerebbe ad avere una solida maggioranza nella Poslanecká sněmovna, la camera bassa -118 seggi su 200- e una decorosa forza al Senato).
Alla domanda se il governo abbia pagato o meno lo scotto di misure impopolari (risposta: sì, certo) Nečas ha comunque dato prova di decorosa ragionevolezza e compostezza affermando che, anche fosse, su questi parametri si muovono moltissimi governi in tutta l’Europa post-crisi, sia di destra che di sinistra, ergo poco da farci. Scontato concludere quanto nei prossimi giorni sarà più chiara l’entità della gomitata rifilata da queste elezioni al pancione del governo ceco, e per il momento la fantapolitica (Věci veřejné che, dai banchi ministeriali, flirta con i socialdemocratici o roba di questo genere) è meglio lasciarla stare.
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