Ci siamo quasi, domenica si vota a Tirana e nel resto dell’Albania, in quelle che si preannunciano elezioni chiave per il consolidamento democratico nel paese delle Aquile. Se saranno elezioni libere e democratiche, a prescindere dal vincitore, Tirana potrà avanzare nel suo cammino verso l’integrazione europea. Altrimenti, resterà ferma un altro giro.
L’Albania ha pessimi precedenti per quanto riguarda la gestione delle elezioni, tanto da mettere in dubbio l’effettiva gestione democratica del paese. Nessuna elezione si è dimostrata libera e democratica a partire dal 1991, e le cose sono peggiorate da quando nel 2005 il Partito democratico di Sali Berisha (centrodestra) è tornato al potere in una tornata elettorale definita “deludente” dagli osservatori OSCE a causa di “serie irregolarità”, compravendita dei voti, intimidazioni e violenze elettorali da entrambe le parti. L’opposizione del Partito socialista ha vinto le elezioni amministrative del 2007, dopo averne minacciato il boicottaggio, ma di nuovo non è riuscito ad assicurarsi la maggioranza parlamentare alle elezioni politiche del 2009, dove la coalizione di governo di Berisha è risultata vittoriosa per 15.000 voti, mentre si confermava ancora una volta la divisione politico-culturale tra un nord Gheg rurale e dominato dal Partito democratico ed un sud Tosk urbanizzato e feudo del Partito socialista. L’opposizione non ha riconosciuto il carattere democratico delle elezioni e per due anni ha boicottato i lavori parlamentari. Alle successive elezioni amministrative del 2011, il leader socialista Edi Rama perdeva la carica di sindaco di Tirana in una elezione contestatissima e preceduta di pochi mesi da proteste di piazza la cui reazione da parte della polizia causò un totale di 4 morti e più di 150 feriti.
Nel frattempo, la candidatura del paese all’UE, presentata dal governo di Tirana nel 2009, veniva rigettata ogni anno dalle istituzioni di Bruxelles. Secondo la Commissione Europea, l’Albania
potrà ricevere lo status ufficiale di paese candidato all’adesione all’UE solo a seguito del completamento di misure chiave nell’area della riforma della giustizia e della pubblica amministrazione, e della revisione delle regole di procedura parlamentare. Per fare ulteriori passi avanti ed avviare i negoziati d’adesione, l’Albania dovrà in particolare dimostrare una duratura messa in atto degli impegni presi e il completamento delle rimanenti priorità. Il focus dovrà essere sullo stato di diritto e sui diritti fondamentali. Un dialogo politico sostenibile resta essenziale per un processo di riforma di successo. La condotta delle elezioni del 2013 sarà un test cruciale a tale scopo, e una precondizione per una eventuale raccomandazione [al Consiglio UE] per l’apertura dei negoziati d’adesione”
Il clima è migliorato a partire del 2012, con la ripresa del dialogo tra maggioranza e opposizione e una serie di modifiche bipartisan alla legge elettorale, salutate con favore dall’UE e dall’OSCE.
Si arriva così alle elezioni del 2013, dove 3,271,885 aventi diritto al voto decideranno l’assegnazione di 120 scranni parlamentari. Ai seggi si sfidano i soliti noti della politica albanese: il leader del Partito democratico Sali Berisha contro quello del Partito socialista Edi Rama. Il terzo incomodo, il Partito socialista per l’integrazione di Ilir Meta, ha lasciato la coalizione di Berisha per accodarsi a Rama, in una mossa trasformista che dà l’idea del vento che tira a Tirana. Sullo sfondo restano i partiti minori, dal cui esito potrebbe dipendere la bilancia parlamentare: il Nuovo Spirito Democratico dell’ex presidente della repubblica Bamir Topi, che punta a raccogliere voti moderati in uscita dal centrodestra, e l’Alleanza Rosso-Nera, un movimento nazionalista e populista di destra. I quattro sembrano vagamente ricalcare la situazione italiana di pochi mesi fa, con le dovute differenze. La minbaccia populista sembra tuttavia essersi sgonfiata di recente, secondo i sondaggi, che predicono in maggioranza una probabile vittoria del Partito socialista, con conseguente alternanza al potere. Sempre che le elezioni si dimostrino effettivamente libere e democratiche.
A tal fine vigileranno gli osservatori internazionali dell’OSCE: una trentina a lungo termine, presenti nel paese da maggio per seguire la campagna elettorale, e più di 400 che si recheranno questo weekend in Albania per seguire da vicino il processo elettorale e verificarne la qualità. A questi si affiancheranno altri 229 osservatori albanesi, a titolo personale, ed altri circa 200 osservatori internazionali, accreditati dalla Commissione elettorale centrale.
Foto: Giorgio Comai, Flickr
A questa disastrata UE manca solo l’adesione dell’Albania e poi siamo pronti al naufragio. Qualcuno non ha ancora capito che l’allargamento è stato un suicidio, l’UE si salva solo se torna a 15 (o anche meno)