(Diruz.it) “Vince chi vota”. Lo slogan di Gianni Alemanno per le comunali di Roma racchiude il senso della vittoria di Hassan Rowhani alle undicesime elezioni presidenziali della Repubblica islamica di Iran.
Elezioni snobbate da buona parte dei media italiani: la copertura è stata pressoché nulla se paragonata a quella per le elezioni del 2009. Per mesi si è detto che sarebbero state elezioni farsa, che sarebbe stata tutta una competizione all’interno del fronte conservatore e che non sarebbe andato a votare nessuno.
Ha votato il 72% degli aventi diritto. Una decina di punti in meno rispetto alle scorse presidenziali ma comunque una percentuale alta. Chi scrive ha assistito al voto degli iraniani residenti a Roma: nonostante lo sciopero dei mezzi, hanno votato circa un migliaio di persone e Rowhani ha ottenuto oltre il 90% dei consensi. Molti dei giovani studenti che nel 2009 animarono le proteste contro i presunti (e assai probabili) brogli elettorali, alla fine non hanno boicottato il voto ma hanno sostenuto Rowhani.
È un dato di fatto, dal quale occorre partire per qualsiasi analisi. Così come nel 2009 l’Onda Verde era nata da una campagna elettorale, anche la “speranza viola” (il colore di Rowhani) ha preso vita in queste ultime due settimane. Il candidato che sembrava spacciato e addirittura in pericolo di “squalifica” da parte del Consiglio dei Guardiani, è cresciuto rapidamente nei sondaggi e ha vinto addirittura al primo turno.
È una sconfitta netta per chi predicava l’astensione come unico modo per delegittimare il sistema. Le scene di giubilo nelle strade delle città iraniane sanno tanto di rivincita anche per quanto accaduto nel 2009. Personalmente credevo che sarebbe arrivato primo ma con una percentuale molto più bassa. E pensavo che al ballottaggio Qalibaf (più lui di Jalili) avrebbe vinto. E invece no: d’altra parte, l’Iran riesce sempre a sorprendere tutti.
Ha vinto Rowhani ma non ha di certo perso la Guida Khamenei che lo aveva detto esplicitamente: “Anche chi non sostiene la Repubblica islamica, voti per sostenere il proprio Paese”. Probabilmente ha capito che era l’ultima occasione per non scavare un fossato ancora più profondo tra il sistema politico e i desideri reali del popolo. Detto questo, l’esito elettorale non è stato né imposto né pilotato. L’incertezza dei risultati dati col contagocce ora dopo ora ne è la prova. Ed è ancora più chiara la differenza tra il voto di oggi e quello del 2009, quando la vittoria di Ahmadinejad venne annunciata in tempi rapidissimi.
Chi è Rowhani
Classe 1948, l’Hojjat al-Islam (titolo religioso inferiore a quello di Ayatollah) Rowhani è attualmente membro dell’Assemblea degli Esperti, del Consiglio per il discernimento e del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale. Politico di lungo corso, a livello internazionale è noto soprattutto per essere stato il capo delegazione sul nucleare durante il secondo mandato di Mohammad Khatami.
Fu lui, tra il 2003 e il 2005, a rappresentare l’Iran nei negoziati con Gran Bretgana, Francia e Germania che portarono agli accordi di Sa’dabad (ottobre 2003) e Parigi (novembre 2004), in virtù dei quali l’Iran aprì i propri impianti ai controlli dell’AIEA e aderì al Protocollo addizionale del Trattato di non proliferazione (poi sospeso nel gennaio 2006).
Secondo il quotidiano conservatore Entekhab, la candidatura di Rowhani sarebbe gradita sia al Fronte principalista sia a Rafsanjani, personaggio a cui Rowhani è da sempre legato. Non solo: sul suo nome potrebbero convergere anche i voti dei riformisti che decideranno di recarsi alle urne.
Sulla sua fedeltà al sistema non ci sono dubbi: Rowhani è un rivoluzionario di antica data. Sotto il regime dello Shah venne arrestato varie volte, la prima nel 1964, quando aveva soltanto 16 anni.
Si dice, tra l’altro, che sia stato lui il primo, in un discorso pubblico nell’ottobre 1977, a chiamare l’Ayatollah Khomeini “Imam”, titolo che per secoli non era più stato attribuito a persona vivente perché prerogativa dei dodici imam sciiti.
Rowhani ha avuto ruoli militari di comando durante la guerra con l’Iraq ed è stato parlamentare per cinque mandati consecutivi (1980-2000).
Spesso descritto dagli osservatori internazionali come “moderato” o “conservatore pragmatico”, Rowhani è stato sempre critico nei confronti della politica estera di Ahmadinejad e nelle ultime settimane si è anche espresso su questioni interne, come la disoccupazione giovanile.
Nucleare e non solo
Cosa accadrà con il nuovo presidente? Chi – fuori dall’Iran – auspice stravolgimenti del sistema, è fuori strada. Non solo perché è quasi impossibile per i rapporti di forza in campo, ma perché non sono queste le intenzioni di Rowhani.
Quali sono le priorità per il nuovo presidente?
In questo momento per l’Iran è fondamentale uscire dall’isolamento internazionale: ottenere almeno un ammorbidimento delle sanzioni, riaprire il dialogo, dare ossigneno alla propria economia. Alla notizia della vittoria di Rowhani, il rial ha recuperato il 6% sul dollaro e la borsa di Teheran ha raggiunto il suo massimo storico negli ultimi 5 anni.
Dalla Casa Bianca è arrivata una nota di congratulazioni e un auspicio per una soluzione diplomatica sulla questione nucleare. Può sembrare niente, ma è un segnale positivo.
Il nuovo presidente di insedierà ad agosto e presenterà la sua squadra di governo. Circolano nomi “di peso”: come vice ci potrebbe essere Aref (che si è ritirato e ha dato i voti necessari alla vittoria al primo turno); per gli esteri si parla di Velayati (che è il più esperto e avrebbe piena fiducia della Guida); come capo negoziatore sul nucleare si fa il nome dell’ex presidente Mohammad Khatami, in un curioso scambio di ruoli con Rowhani a distanza di otto anni. Di sicuro, la Guida (che per la Costituzione ha l’ultima parola in politica estera) conosce molto bene il nuovo presidente e potrebbe esserci maggiore unità strategica sulla negoziazione per il nucleare.
Più complessa la situazione interna. Il chiaro appoggio ricevuto da Rafsanjani, potrebbe creare problemi con basiji e pasdaran. I guardiani della rivoluzione acquistarono maggiore peso politico proprio durante la presidenza Khatami, quando si ersero a paladini dell’integrità del regime contro le deviazioni riformistiche.
Mousavi e Karroubi saranno rilasciati? È quello che si augurano gli elettori di Rowhani. Ed è il gesto che potrebbe sancire una pacificazione nazionale.
Di certo, la fine dell’era Ahmadinejad apre nuove prospettive per l’Iran e di conseguenza per l’intera regione.
Ecco le percentuali del voto:
Hassan Rowahni 50.71%
Qalibaf 16,56%
Jalili 11,36%
Rezaei 10,58%
Velayati 6,18%
Gharazi 1,22%
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Foto: Diruz.it
Nelle elezioni del 2009 Ahmadinejad vinse con un più che ampio margine. Rouhani ha vinto con un piccolissimo scarto. Mi pare logico quindi che la vittoria sia stata sancita dopo poche ore nel 2009 e sia stata dubbia fino all’ultimo nel 2013. Per fare un esempio calzante, il neo sindaco di Roma Ignazio Marino (che ha preso più meno le stesse percentuali di Ahmadinejad nel 2009) è stato dichiarato vincitore dopo 3 o 4 ore, a spoglio tutt’altro che chiuso. Anche queste dunque erano elezioni truccate, perché fin da subito si è capito chi aveva vinto?
“Non solo: sul suo nome potrebbero convergere anche i voti dei riformisti che decideranno di recarsi alle urne”. — “nelle ultime settimane si è anche espresso su questioni interne, come la disoccupazione giovanile”.
Ahi ahi, il “copia-incolla”, grave malanno del giornalismo contemporaneo…