L’Islanda ha ufficialmente sospeso i negoziati di adesione all’UE, aperti tre anni fa. E’ la prima mossa di politica estera del nuovo governo di centro destra, la coalizione tra Progressisti e Partito dell’Indipendenza, che è tornato al potere alle elezioni dell’aprile 2013 dopo quattro anni di governo della sinistra a seguito della crisi finanziaria che aveva colpito l’isola atlantica.
Venerdì 14 giugno il nuovo ministro degli esteri di Reykjavik, Gunnar Bragi Sveinsson, ha incontrato a Bruxelles il commissario europeo all’allargamento Štefan Füle per ufficializzare la nuova posizione islandese.
Secondo Füle, il fatto che la prima visita di Bragi Sveinsson all’estero sia a Bruxelles dimostra quanto sia già forte la relazione tra l’Islanda e l’UE. L’isola, ha ricordato il Commissario, è integrata con l’UE attraverso l’Area Economica Europea e fa parte dello spazio Schengen, e ha già un track record di attuazione del diritto europeo migliore di quello di molti stati membri. Implicitamente, Füle ha ricordato agli islandesi che la procedura d’adesione consentirebbe loro di prendere parte direttamente alla formazione delle politiche europee, anziché doverle semplicemente prenderne atto ed eseguirle secondo un modello che, per la Norvegia, è stato definito di fax democracy. L’Unione si è impegnata a lavorare con Reykjavik perchè anche l’isola possa entrare a farne parte, “ma la procedura non può essere rimandata sine die“.
Bragi Sveinsson ha sostenuto che la sospensione dei negoziati d’adesione era una promessa elettorale di entrambi i nuovi partiti di governo, e che l’Islanda intende continuare ad avere buone relazioni con l’UE. Il governo islandese intende ora verificare lo stato dei negoziati, per valutare se riprenderli o terminarli. La popolazione islandese potrebbe anche essere chiamata ad esprimersi sulla questione tramite referendum, ma non ci sono ancora piani precisi.
In Islanda, alcuni giuristi hanno obiettato alla decisione del governo, sostenendo che l’Althingi (il Parlamento locale) deve adottare una risoluzione sul tema, prima che il governo possa prendere decisioni concrete; fino ad allora, la vecchia risoluzione dell’Althingi resta valida come linea guida che il governo deve seguire.
Continua intanto la guerra dello sgombro
Nel frattempo continuano le dispute commerciali sulla pesca nell’Atlantico settentrionale, tra l’UE, l’Islanda e la Norvegia. Il Commissario europeo alla pesca, Maria Damanaki, ha minacciato sanzioni commerciali contro l’isola se non verrà raggiunto un accordo nella disputa sulla pesca allo sgombro entro la pausa estiva. Ottobre, secondo Damanaki, sarebbe “troppo tardi” per riprendere i negoziati, il nuovo governo islandese dovrebbe rispondere subito.
La disputa concerne la determinazione degli stock di pesca. Da una parte stanno l’Islanda e le Isole Faroe (territorio danese che non fa parte dell’UE), dall’altra l’UE e la Norvegia. Entrambe le isole hanno determinato unilateralmente le proprie quote di pesca in base alla dimensione degli stock di pesci nelle proprie acque, cosa che secondo UE e Norvegia potrebbe portare ad una pesca insostenibile e all’esaurimento degli stock di pesci.
Foto: Echeion.it
Si vede che l’elettorato islandese ha già dimenticato la crisi bancaria di tre anni fa e ha una gran voglia di tornare a speculare in Borsa. Fino al prossimo crollo, dopo il quale tornerà a bussare alla porta dell’Unione (se questa ci sarà ancora)…