TURCHIA: Istanbul, manganelli sulla democrazia. Repressa la manifestazione a Taksim

DA ISTANBUL – (scoprireistanbul) Istanbul ne ha senza dubbio bisogno di un nuovo centro commerciale in pieno centro, in una zona, Taksim, assolutamente priva di luoghi dedicati allo shopping, alle mode, agli articoli di marca. Un fantastico nuovo luogo per l’acquisto e lo “struscio” che istanbulioti e turisti aspettano con ansia, contenuto in una caserma ottomana, ricostruita per l’occasione con le identiche fattezze che aveva la Topçu Kışlası, edificata a Taksim nel 1780 in stravagante stile russo-indiano. Peccato che per costruire questo ennesimo, inutile luogo di non-aggregazione sociale, la municipalità abbia deciso di cancellare dalla faccia della terra il Gezi Parkı, l’unica zona verde dei paraggi, contribuendo così a fare la città ancora un po’ più cementificata. Ma, in fondo, cosa ce ne facciamo degli alberi quando possiamo andare a fare shopping?

Nonostante il progetto sia già stato approvato da chi di dovere, il permesso per l’abbattimento degli alberi non è ancora arrivato, ma, abusivamente (paradosso imbarazzante dato che si tratta di chi dovrebbe gestire la città) due giorni fa gli operai hanno iniziato a radere al suolo. E da due giorni nuclei di cittadini, comitati, personalità politiche, dello spettacolo e della cultura si ritrovano nel parco per contestare questa decisione folle. Tende piantate, concerti improvvisati, discorsi, balli, una quasi spensierata atmosfera di festa, pacifica e civile. Non la pensa così però la municipalità. Scontri con la polizia, più esatto dire polizia che usa idranti, lacrimogeni e manganelli contro manifestanti inermi, sia il primo giorno di occupazione, sia durante l’alba del terzo giorno. Alle cinque poliziotti in divisa e poliziotti in borghese sono arrivati nella zona occupata e hanno sgomberato il campo, caricato le persone che vi risiedevano, utilizzato metodi da controguerriglia manco si fosse trattato delle frange più estreme delle manifestazioni del Primo Maggio o degli ultras del Beşiktaş. Un bello spettacolo.

Dopo l’imbarazzante figura fatta dalle forze dell’ordine il Primo Maggio, con la città bloccata che ha causato il doppio degli scontri di quanti ce ne sarebbero stati tenendo un profilo più “sereno”, la gestione della sicurezza e del controllo sociale al Gezi Parkı è l’ennesima prova che le parole serietà e democrazia non hanno molto valore tra i governanti. Tra l’altro, guardando questo inutile progetto ci si può rendere conto che gli alberi abbattuti sono tutti in una zona che non faceva parte del progetto iniziale, tutto per impedire a nuovi manifestanti di raccogliersi nell’area.

Il tema del verde a Istanbul meriterebbe sicuramente maggiore attenzione, un altro progetto che ha fatto molto discutere è quello di Mecidiyeköy, una zona di per sé già molto cementificata senza nessuno spazio verde. Al posto dello stadio Ali Sami Yen del Galatasaray che è stato demolito, in molti avrebbero preferito un parco, invece ci saranno altri 3 grattacieli. Sempre in tema di stadi, anche quello del Beşiktaş verrà prossimamente ricostruito, ed anche in questo caso si andrà ad intaccare una parte del Parco di Maçka, l’unico vero parco che può vantare il centro moderno di Istanbul.

Noi ieri sera eravamo al parco a manifestare perchè ci opponiamo a questo modo di intendere la città ed al contrario vorremmo veramente un equivalente del Central Park di New York ad Istanbul. Non più di un mese fa il Ministro Eroğlu ha detto che ad Istanbul in futuro verranno aperti non uno ma addirittura due Central Park, ma vedendo i progetti ci si accorge che i parchi saranno praticamente fuori dalla città, ben oltre la periferia. Forse bisognerebbe spiegare meglio al Ministro il concetto di “central” oppure dargli qualche ripetizione di inglese.

Bisognerebbe anche capire il motivo per il quale vengono costruiti shopping center alla velocità di una catena di montaggio, e perché ad esempio a New York City il numero di shopping malls è di circa 15, a Tokyo 25, a Parigi 8 e a Berlino 3, mentre a Istanbul sono 86 ed altri 40 sono in cantiere.

Chi si interroga su questi numeri scende in piazza a dimostrare il suo dissenso, e così, fra lacrimogeni e manganellate, la protesta va avanti. La battaglia sta diventando anche politica: sempre più parlamentari stanno appoggiando la lotta e lo stesso presidente del CHP Kemal Kiliçdaroğlu ha dichiarato che andrà a dare la sua solidarietà ai manifestanti. Ma l’esito finale è scontato.

Foto Reuters

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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2 commenti

  1. come si dice? La fine è certa… è incredibile come l’uomo si butti nel precipizio da solo e come odi la natura e gli alberi. ..e quindi sé stesso.

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