Ancora intolleranza omofoba “ufficiale” in Russia. Almeno una trentina di attivisti per i diritti dei gay sono stati arrestati a Mosca per aver organizzato un “gay pride” nonostante questo non fosse stato autorizzato dalla polizia. La manifestazione – promossa per ricordare Vladislav Tornovoj, un ventiduenne violentato e ucciso a Volgograd da una banda che lo riteneva un omosessuale – è stata presa di mira anche dalle aggressioni di diversi squadristi di religione cristiano ortodossa.
Vladislav Tornovoj fu trovato morto all’inizio del mese in un parco giochi appena fuori dall’edificio in cui era cresciuto. Sul suo cadavere il medico legale ha rinvenuto ferite alla testa e in tutto il corpo, compreso l’ano: i suoi carnefici, alcuni dei quali amici dall’infanzia, lo avevano violentato utilizzando bottiglie e bastoni e, dopo averne mutilato i genitali, gli avevano dato parzialmente fuoco. Era stato torturato al punto che i medici hanno sconsigliato al padre di vederlo per l’ultima volta prima della sepoltura. “Non era gay, vogliono solo disonorarlo” ha detto Andrej Tornovoj a Skynews, dando prova di quanto sia consolidato in Russia, anche tra i parenti delle vittime di omofobia, l’odio verso i gay. “Fu lui a dirci che era un finocchio” (“goluboj”), ha detto uno degli arrestati per quel delitto, salutato da molti sul web come un’opera di pulizia quasi etnica e non condannato dalla politica, impegnata a vietare per legge come “propaganda omosessuale” perfino le campagna per la sensibilizzazione sui diritti dei gay. Leggi anti-gay sono già in vigore a Pietroburgo e altrove.
Niente revisione del processo per le Pussy Riot
Continua la caccia alle “streghe”: la sentenza di condanna per “estremismo motivato da odio religioso” comminata alle Pussy Riot per la loro performance nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca è “legittima”. Lo ha deciso il presidente del tribunale della città di Mosca, Olga Egorova, aggiungendo che la sentenza emessa dal tribunale Khamovniki lo scorso agosto non verrà rivista, come invece chiesto dalla difesa delle attiviste.
L’avvocato delle ragazze, Irina Krunova, ha definito la decisione della Egorova “prevedibile” e ha già annunciato che ricorrerà in appello alla Corte suprema russa. Ad aprile, i legali delle giovani avevano presentato ricorso alla corte di Mosca contro la condanna di colpevolezza “per mancanza di prove”. Marija Aljokhina e Nadezhda Tolokonnikova si trovano in due differenti colonie penali, lontano da Mosca, dove stanno scontando la pena di due anni di campo di lavoro. Insieme ad altre tre componenti della “band punk” femminista avevano inscenato la ormai celebre “preghiera punk” nella chiesa simbolo della rinascita religiosa in Russia, nel febbraio 2012, in cui chiedevano alla Vergine di liberare il Paese da Putin. Marija è da otto giorni in sciopero della fame per protesta contro i giudici che le hanno vietato di partecipare, se non in collegamento video, all’udienza in cui si decideva della sua richiesta di scarcerazione anticipata. Istanza poi respinta.
Abituati alla mitezza dei nostri magistrati la crudeltà di quelli russi che ritengono che una pena irrogata vada scontata per intero lascia sdegnati.