Una potenza mondiale
Dopo Fitch, anche Moody’s ha rivisto al rialzo il rating della Turchia, portandolo a livello di investment grade (Baa3): il paese della mezzaluna si presenta come “un modello di crescita per il Sud Europa” secondo il vicepremier responsabile per l’economia Ali Babacan: ”Le chiavi del successo della Turchia sono la stabilità politica, una sana e ben radicata politica economica, il rispetto dei diritti umani e della supremazia del diritto”. Il governo del premier Recep Tayyip Erdogan, leader del partito islamico Akp, guida il paese dal 2002, un periodo che ha coinciso con una fase di boom economico, con ritmi di crescita cinesi sopra l’8% nel 2010 e nel 2011. La Turchia è ora la diciassettesima potenza economica mondiale.
Le contraddizioni di una rapida crescita
Le contraddizioni non mancano, e il paese sta lentamente sviluppando una democrazia che ancora, malgrado le parole di Babacan, ha qualche problema con questioni come diritti umani, libertà di stampa, minoranze e condizione femminile. Tuttavia non bisogna dimenticare il grande sforzo compiuto dal paese negli ultimi dieci anni, dopo un intero dopoguerra passato tra colpi di stato militari, soppressione delle libertà individuali e religiose, strategie tensive. Fino alla fine della Guerra Fredda la Turchia, fedele alleato Nato, ha mantenuto con ogni mezzo la sua posizione filo-occidentale, anche a costo di sacrificare quella democrazia che oggi il paese tenta di ricostruire.
Neo-ottomanismo?
La politica estera di Ankara ha trovato nuovo vigore: ai margini dell’Unione Europea, membro della Nato ma in cerca di autonomia e riconoscimento, vicino ai regimi siriano e iraniano (almeno fino al recente conflitto con Damasco), la Turchia guarda ai Balcani come luogo di penetrazione economica e culturale. Il recente vertice trilaterale tra Serbia, Bosnia Erzegovina e Turchia va in questa direzione: così i presidenti dei tre paesi (il serbo Tomislav Nikolic, il turco Abdullah Gul e i membri della presidenza tripartita bosniaca, Nebojsa Radmanovic, Bakir Izetbegovic e Zeljko Komsic) hanno firmato una dichiarazione comune nella quale si auspica una intensificazione dei contatti a tutti i livelli per favorire investimenti e iniziative comuni.
In particolare il presidente serbo Nikolic ha sollecitato maggiori investimenti turchi nel suo paese e anche in Bosnia, indicando quali settori più promettenti il tessile, automobilistico, energetico, agricolo, farmaceutico. “Se i nostri tre paesi saranno sviluppati e i loro cittadini ricchi, o quantomeno non poveri, allora è anche piu’ probabile una stabilità politica, militare e nel campo della sicurezza”, ha detto Nikolic, che si è riferito anche alla questione spinosa del Kosovo, la cui indipendenza è stata riconosciuta dalla Turchia ma non dalla Bosnia-Erzegovina. “Ci aspettiamo che la Turchia non sollevi il tema del Kosovo nei colloqui con altri Paesi alleati, e non si adoperi per il riconoscimento del Kosovo da parte di altri paesi”, ha detto il presidente serbo.
E dopo le scuse per il massacro di Srebrenica, la partecipazione di Nikolic al vertice trilaterale di Ankara ha rappresentato un ulteriore passo verso la non facile normalizzazione dei rapporti fra Serbia e Bosnia Erzegovina.