In Macedonia la razzia di reperti storici e archeologici da parte di gruppi di trafficanti internazionali sta lentamente facendo scomparire il glorioso passato del paese. In quella che fu l’antica Peonia, nonostante gli sforzi del governo per fermare il contrabbando, migliaia di monete, bronzi, ceramiche e icone risalenti all’epoca romana e bizantina finiscono ogni giorno sul mercato nero. L’ultimo episodio di cui si ha notizia risale solo a pochi giorni fa: la polizia macedone ha sgominato una banda composta da 14 persone, dedita al commercio illegale di reperti archeologici trafugati nei siti di Skopje, Sveti Nikole, Demir Kapija e Kavadarci. Tra gli arrestati figurano i direttori di due musei, un agente di polizia e il vicedirettore dell’Ufficio per la tutela del patrimonio culturale. Sono tutti accusati di associazione a delinquere e appropriazione ed esportazione illegale di beni culturali. Nell’operazione sono state recuperati complessivamente 150 oggetti destinati con tutta probabilità ad essere rivenduti all’estero, tra cui: 14 icone e 121 monete di epoca romana, alcune delle quali risalenti al IV secolo a.C.
Il paradiso dei tombaroli
La Macedonia conserva tesori di inestimabile valore. Grazie alla sua posizione geografica questo piccolo Stato ha fatto parte, nel corso dei secoli, prima dell’impero romano e poi di quello bizantino, conservando tutt’oggi testimonianze storiche uniche nella penisola balcanica. Uno scrigno d’arte a cielo aperto con oltre 5000 siti archeologici ufficialmente censiti, costantemente minacciato dal contrabbando. Le stime sono incerte ma si pensa che dal 1991 (anno dell’indipendenza della Repubblica di Macedonia in seguito alla dissoluzione della Jugoslavia) ad oggi siano stati trafugati più di un milione di reperti archeologici. Gli antichi manufatti prendono la via del commercio illegale grazie a dei network di trafficanti in contatto con i tombaroli locali. I preziosi resti delle civiltà macedoni vanno in questo modo a soddisfare le richieste di acquirenti greci, austriaci e tedeschi, anche se alcuni pezzi importanti sono stati rintracciati anche in Serbia, Bulgaria, Albania e Kosovo, le ultime tappe, probabilmente, prima di finire all’interno di collezioni private in chissà quali stati d’Europa.
Il giro d’affari dei trafficanti sembra essere milionario, mentre irreparabile è il danno provocato alla Macedonia, spogliata sempre di più del suo passato.
Il sacco di Marvinci
Quando gli archeologi macedoni sono arrivati a scavare nel sito di Isar Marvinci, località situata nel sud del paese, pensavano di rinvenire importanti tombe antiche colme di gioielli, vasi e bronzi. Ciò che gli studiosi non avevano considerato era che alcune bande di trafficanti avevano già provveduto ad effettuare degli scavi illegali in più di 100 sepolcri. Siti aperti e saccheggiati il cui contenuto sarebbe finito, a detta del Capo dell’Istituto per la tutela del patrimonio culturale, nelle mani di anonimi collezionisti senza scrupoli.
Chiese nel mirino
Il traffico di beni culturali che interessa la Macedonia è un fenomeno noto ormai da due decenni, ma oggi la crisi economica del paese e le difficoltà finanziarie della Chiesa ortodossa locale, custode di moltissimi tesori, non fanno che peggiorare la situazione. I luoghi di culto sono infatti al primo posto tra i bersagli preferiti dai criminali archeologici. Secondo i dati del ministero dell’Interno macedone ben 53 moschee e 800 chiese sono state saccheggiate negli ultimi 12 anni, 40 nei soli primi quattro mesi del 2013. Si stima inoltre che circa 20.000 oggetti sacri facenti parte del patrimonio religioso e culturale della Macedonia siano spariti nel corso degli ultimi quattro anni.
I furti su commissione di reperti storici e archeologici sarebbero in aumento anche grazie alle pene irrisorie previste in Macedonia per questo tipo di crimini. Generalmente, i pochi ladri d’arte sprovveduti colti in fragranza di reato riescono a cavarsela con condanne decisamente lievi.
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