Il prossimo 14 giugno l’Iran va al voto per eleggere il suo presidente, ben 36 milioni di iraniani saranno chiamati a scegliere il successore di Mahmoud Ahmadinejad, in carica già da otto anni consecutivi, che e non potrà essere eletto per un terzo mandato secondo quanto stabilito dalla legge iraniana. I candidati dovevano registrarsi entro l’11 maggio e il Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione deciderà sull’ammissibilità. Finora sono 144 le candidature avanzate, un numero ampio ma destinato a ridursi: alle elezioni del 12 giugno 2009, gli aspiranti candidati furono 475, ma il Consiglio dei Guardiani approvò la candidatura di soli quattro candidati: Mahmoud Ahmadinejad, l’ex presidente del Parlamento Mehdi Karrubi, il generale Mohsen Rezaei e l’ex primo ministro iraniano Mir Hosein Mousavi.
Tra coloro che hanno fin qui avanzato la loro candidatura c’è l’ex presidente iraniano Alì Akbar Hashemi Rafsanjani; uno degli uomini-chiave del Consiglio Rivoluzionario dell’Iran fin dagli esordi della nuova Repubblica Islamica, capo delle forze armate nel 1988 (firmò la pace con l’Iraq di Saddam Hussein) e presidente dal 1989 al 1997. Su di lui pende un mandato di cattura emesso dalla magistratura argentina il 25 ottobre 2006 poiché ritenuto mandante della strage del 18 luglio del 1994 al centro ebraico di Buenos Aires, che fece 85 morti e più di 300 feriti. L’attentato fu deciso, secondo il procuratore, in una riunione ai più alti livelli a Teheran, il 13 agosto dell’anno precedente, e venne chiesto a Hezbollah di realizzare l’attacco. Uno dei possibili moventi sarebbe stato l’interruzione degli accordi nucleari da parte del governo argentino con l’Iran. Esponente vicino ai tradizionalisti, il conservatore Rafsanjani potrebbe avere le carte in regola per vincere. Ma già cento deputati del Parlamento hanno fatto richiesta al Consiglio dei Guardiani di escluderlo, segno di quanto la società e la politica iraniana sentano il bisogno di riforme.
Tra i riformisti Mostafa Kavakebian è l’unico ad avere avanzato la propria candidatura.E’ il leader della Coalizione dei riformisti democratici, unica espressione dei riformisti dopo la messa al bando del Fronte di Partecipazione islamico, il più grande partito riformista, fondato da Mohammad-Reza Khatami (fratello dell’ex Presidente Mohammad Khatami), che si oppose all’elezione di Mahmoud Ahmadinejad. Uno dei leader del Fronte, Saeed Hajjarian, già consigliere di Khatami, fu arrestato nel 2009, quattro giorni dopo le elezioni presidenziali che videro la conferma di Ahmadinejad, per aver apertamente contesto l’esito elettorale. Il suo arresto diede il via a una serie di proteste che presero il nome di Rivoluzione verde e che restano, a tutt’oggi, il più grande momento di contestazione al regime iraniano. Le elezioni del 2009 contrapponevano ad Ahmadinejad il leader riformista Husein Musavi, appoggiato dallo stesso Khatami.
Resterà da vedere, in queste elezioni, quali candidati riformisti si faranno carico dell’eredità della Rivoluzione verde. Il nome fin qui più accreditato è quello di Mohammad-Reza Aref, accademico e consigliere di Khatami. Una vittoria dei riformisti segnerebbe forse un primo allentamento del regime iraniano: nulla che abbia a che fare con la democrazia, certo, ma una riforma della Repubblica islamica in senso liberale.
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Foto: Keystone/AP, Ben Curtis
Per me che Rafsanjani possa essere considerato un candidato “vicino ai tradizionalisti” è discutibile. Al contrario viene spesso definito un conservatore moderato e al momento ha l’appoggio di una grossa fetta di riformisti (ad esempio sembra aver avuto la benedizione dell’ex presidente Khatami e del figlio di Mousavi). Ovviamente non può essere considerato l’uomo del cambiamento: è stato uno degli architetti della Rivoluzione islamica e il suo passato è fatto di luci e ombre. Ma dal 2009 è diventato un po’ un outsider della politica iraniana perché ha criticato le violenze del regime contro i manifestanti. Da quel momento Rafsanjani non è ben visto né dai “principalisti” vicini a Khamenei, né dai “deviazionisti” alleati di Ahmadinejad e Mashei. Non a caso due dei suoi figli (Mahdi e Fazeh) sono ancora impantanati in processi giudiziari per il loro coinvolgimento con il Movimento verde. Non sarà la personalità più limpida del panorama politico iraniano, ma al momento penso sia l’unico candidato veramente in corsa per i riformisti (non credo che Kavakebian abbia molte possibilità). Ora dovremo aspettare il 22 per vedere se il Consiglio dei guardiani gli permetterà di concorrere; se lo farà penso che i riformisti potranno scegliere se votare Rafsanjani o astenersi, rischiando però così di ridurre ulteriormente il loro già limitato spazio politico.