Il 19 aprile 1943, dopo le terribili deportazioni del 1942, gli abitanti rimasti nel ghetto di Varsavia compresero che i nazisti procedevano verso la soluzione finale, e decisero che non si poteva più attendere: raccolsero le poche armi disponibili e si ribellarono, quasi a mani nude, contro il potente esercito nazista. Iniziò una delle pagine più eroiche della seconda guerra mondiale: per ventisette giorni, sino al 16 maggio, quando, dopo una lotta impari la rivolta venne schiacciata nel sangue, gli abitanti del ghetto si offrirono alle fiamme, alle pallottole, alle torture dei carnefici, ma mostrarono un coraggio e un eroismo sovrumani, che meritano il nostro ricordo perenne.
L’invasore, la belva nazista, contò cospicue perdite, e dovette dar fondo a tutta la propria spietatezza per aver ragione dei rivoltosi. La storia poi ci consegnò la distruzione totale del ghetto, la rivolta dell’Armja Krajowa del 1944 e la quasi totale distruzione dell’intera Varsavia, ridotta quasi a una città disabitata, che restano tra le maggiori responsabilità storiche dell’invasore tedesco nazista.
Tra i libri che ricordano la leggendaria sollevazione del ghetto, quelli di Marek Edelman, vice comandante dell’ Organizzazione ebraica di combattimento (Il Ghetto di Varsavia lotta – Giuntina), il racconto straziante di Jan Karski, che tentò disperatamente di suscitare un intervento delle potenze occidentali in difesa degli ebrei (La mia testimonianza davanti al mondo – Adelphi), e la cronaca di un resistente polacco, che raccolse la voce del principale tra i carnefici, nel carcere dove questi attese la condanna per le atrocità commesse: Jurgen Stroop, il capo delle SS di Varsavia, un altro esemplare di quella “banalità del male” che solo ai semplici è apparsa banale e ordinaria.
Un giornalista e partigiano polacco, Kazimierz Moczarski, rinchiuso in prigione, condivise per 255 giorni la cella con Stroop, generale responsabile della distruzione del Ghetto; trascrisse minuziosamente le sue conversazioni con il criminale di guerra, giustiziato nel 1952, donandoci una testimonianza preziosissima e rivelatrice (Conversazioni con il boia – Bollati Boringhieri).
E’ sempre straziante ricordare il tributo di vite umane, la sequenza infinita di orrori che gli ebrei di Varsavia e tutti i cittadini di Varsavia dovettero subire dall’invasore. E’ un dovere perenne dell’umanità ricordare quanto è avvenuto, nei dettagli, perché si renda almeno difficile che qualcosa di simile possa un giorno ripetersi.