La procura della città siberiana di Krasnojarsk ha aperto un’inchiesta sulla presunta espulsione dalla locale università statale di medicina di una studentessa daghestana iscritta al terzo anno perché portava il hijab, il tradizionale velo musulmano che copre testa e capelli delle donne lasciando libero il volto. Gli inquirenti vogliono accertare la legittimità del provvedimento.
L’ateneo ha confermato che uno dei suoi studenti è stato espulso per aver “violato le regole interne”, senza però specificare quali. Stando alle norme fissate lo scorso febbraio e pubblicate sul sito dell’università, agli studenti è proibito entrare con “oggetti o indumenti che sottolineano la loro affiliazione religiosa”. Il dibattito sull’uso del hijab nelle scuole russe è scoppiato lo scorso ottobre nella regione meridionale di Stavropol’, dove una scuola locale ha vietato ad alcune alunne musulmane di frequentate le lezioni con il capo coperto dal velo. Una decisione estesa dalle autorità regionali a tutte le strutture scolastiche locali. La magistratura di Stavropol’ ha confermato il provvedimento, respingendo il ricorso di alcuni residenti. L’islam è la seconda religione in Russia, dove circa il 7% si professa musulmano: in alcune regioni, come il Caucaso del nord e il Tatarstan, è invece la religione largamente dominante.
E infatti proprio dal Nord-Caucaso, e precisamente dal Daghestan, la regione più islamizzata della Russia, giungono denunce di vessazioni, spesso a causa del hijab, a carico dei musulmani integralisti (wahhabiti) da parte delle autorità locali (il presidente del Daghestan è, ricordiamo, Ramazan Abdulatipov, uomo gradito al Cremlino). Recentemente, viene riferito, a Makhachkala, capitale della repubblica, si è svolta una dimostrazione di protesta con una partecipazione valutata, a seconda delle fonti, fra le 600 e le 3.000 persone. La manifestazione è stata organizzata da due gruppi, l’“Unione dei Giusti” (che appare come una traduzione di “Bund der Gerechten”, un’associazione “precomunista” tedesca dell’800) e la “Ahl-us-sunna-wal-jama’a” (“Gente della Tradizione e della Comunità”) una denominazione assunta in varie occasioni da gruppi musulmani in genere estremisti. In particolare in questo modo si denominò il partito politico pakistano di orientamento “deobandi” (estremista) “Sipah-e Sahaba” (“Esercito dei Compagni”) dopo che fu disciolto d’autorità per attività terrorista.
I dimostranti di Makhachkala, che recavano striscioni con la scritta “La-Ilaha-ila-Allah” (“Non vi è Dio fuori che Allah”) hanno denunciato casi in cui musulmani fondamentalisti vengono rapiti e torturati dai militari russi o dalle milizie filogovernative locali. Una donna, Zhanna Ismailova ha detto che erano stati rapiti i suoi tre figli. Analoga denuncia da parte di un’altra donna, Burliyat Danilina. L’attivista wahhabita Bilal Magomedov ha formulato le richieste dei dimostranti: “Chiediamo – ha detto – a tutte le strutture della “forza” (“siloviki”) e del potere di cessare i rapimenti e le torture dei musulmani, di cessare i metodi disumani di estorcere confessioni per mezzo di raffinate torture, di cessare il metodo di organizzare provocazioni con armi e stupefacenti contro i musulmani, di cessare ogni persecuzione delle donne che portano il hijab nelle scuole e altre istituzioni, di cessare sul territorio della Russia la lotta contro la costruzione di moschee”. La folla accolse queste parole al grido di “Allah-u akbar!”
Il tema del hijab comparve anche nell’intervento di Gadzhimagomed Makhmudov, esponente della “Ahl-us-sunna-wal-jama’a”. Egli attaccò direttamente Vladimir Putin: “Ma che cosa succede in questo paese? Non ha il presidente della Russia cose più importanti da dire che rimproverare le ragazzine di dieci anni che portano il hijab? Alla televisione si strilla che le ragazze portano il hijab. Ma non guardano mai la televisione dove per tutte le 24 ore si trasmette pornografia? È mai possibile che la verginità delle ragazze sia diventata un peccato in questo paese?”
Anche un 18enne, Alibek Mirzekhanov da Derbent ha portato la sua testimonianza, raccontando che la sera del 2 febbraio scorso fu rapito e torturato dai militari: “Mi hanno rinchiuso in una macchina e mi hanno portato alla loro base. Io gridavo che qualcuno mi aiutasse, ma nessuno mi rispose. Alla base mi torturarono con l’elettricità. Mi hanno ripreso in video. E io ho detto tutto cio che volevano”.
I “wahhabiti” stanno dietro praticamente tutti gli atti terroristici compiuti in Russia. In Daghestan essi sono in guerra con l’islam “sufico” o “confraternale” (sostenuto dal governo) contro i cui esponenti spesso compiono attentati suicidi. Gli estremisti, a loro volta, sono duramente perseguiti dal potere in una spirale di violenza di cui non si vede la fine.
Mi domando se: “I wahhabiti stanno dietro praticamente tutti gli atti terroristici compiuti in Russia” se lo stesso avviene in Daghestan quale politica può essere adottata nei loro confronti? L’uso del termine “persecuzione” mi lascia perplesso perché il mio vecchio Zingarelli lo definisce come “vessazione o oppressione”.