di Esteban Wendling (trad. Davide Denti)
Le dimissioni del primo ministro Boyko Borissov, 20 febbraio 2013, sono sintomo dell’instabilità politica di cui patisce la democrazia bulgara. Una nuova crisi, che rallenta ancora di più la modernizzazione di uno dei paesi più poveri dell’Unione europea.
Dieci giorni di violente proteste a Sofia e in una ventina di città della Bulgaria hanno avuto ragione del governo di centro destra, al potere nel paese dal 2009. I manifestanti protestavano contro l’aumento dei prezzi della bolletta elettrica, che in alcuni casi sono raddoppiati rispetto all’anno precedente. Così, alcune famiglie si trovavano alla fine di gennaio con una fattura mensile a volte di più di 100 euro, quando lo stipendio medio nel paese è di circa 400 euro, il più basso dell’Unione europea.
La crisi politica arriva pochi mesi prima delle elezioni legislative che si terranno il prossimo luglio. Un voto che potrebbe essere anticipato alla primavera. Dato come favorito finora, il partito di Borissov rischia fortemente di vedere vincitore il suo avversario socialista (a sua volta già rovesciato dalla piazza nel 1997).
Una politica energetica da rivedere
Comunque sia, l’instabilità politica in Bulgaria non è che la faccia visibile di una società lei stessa fragilizzata e soprattutto delusa. Una delusione che si spiega da una parte per il comportamento dei suoi rappresentanti, ma dall’altra anche per la speranza – delusa – di un domani migliore prefigurato dall’integrazione euro-atlantica del paese dopo la caduta dell’URSS.
La conclusione è in effetti travolgente su diversi punti. La gestione del settore energetico, che ha portato i bulgari in piazza, illustra molto bene la situazione di stallo politico in cui i cittadini si trovano. Tuttavia, né la concessione di licenze di distribuzione a società straniere (di Repubblica Ceca e Austria) da parte del governo Borissov, che ha causato un aumento dei prezzi, né la proposta dell’opposizione socialista di nazionalizzare tali aziende sono una buona scelta per il benessere di tutti.
Inoltre, in mancanza di infrastrutture moderne, il 25% dell’energia elettrica viene perso durante il trasporto. Oltre alla produzione di energia elettrica, la politica energetica della Bulgaria è fragilizzata anche dalla sua dipendenza nei confronti della Russia: Mosca a Sofia fornisce il 94% del petrolio e il 97% del suo gas.
La piaga della corruzione
In questo quadro a tinte fosche, alcuni indicatori potrebbe suggerire che non tutto è poi così male. Il rapporto deficit/PIL della Bulgaria per quest’anno è dell’ordine del 1,5%, e il debito non supera il 20% del PIL. Il paese ospita più di 8 milioni di turisti all’anno: un settore molto dinamico e in piena espansione.
Ma altri indicatori deludono: la crescita pari quasi a zero (0,8% nel 2012) e l’alta disoccupazione (12,7% nel 2013 secondo le previsioni Eurostat) che aumentano il malcontento della popolazione. Inoltre, la corruzione endemica è ben lungi dall’essere scomparsa. Peggio ancora, essa si insinua in ogni tentativo di modernizzare il paese. Come emerge dalla urbanizzazione massiccia e accelerata della costa del Mar Nero, che sfigura ora gran parte di tale splendido lungomare – con grande dispiacere di Bruxelles che cerca di preservare queste aree naturali.
La lista delle priorità del futuro Primo Ministro bulgaro è lunga. Trattarle una alla volta è senza dubbio l’unico modo per ridare speranza a questo paese, e per consentire agli abitanti di sentirsi pienamente integrati all’interno di una Unione europea democratica e proiettata verso il futuro.
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Foto: Esteban Wendling