UCRAINA: L'ombra dell'ergastolo su Julija Timoshenko?

Che ne è di Julija Timoshenko, già pasionaria della Rivoluzione arancione del 2004 e poi primo ministro dell’Ucraina? La domanda è giustificata, poiché essa sembra letteralmente scomparsa, almeno dai media. Sappiamo che nel 2011 il tribunale del distretto Pecerskij di Kiev l’ha condannata a sette anni di reclusione per aver contrattato nel 2009 con i russi delle condizioni sfavorevoli all’Ucraina per le forniture di gas, violando anche il mandato ricevuto dal presidente di allora Viktor Jushchenko. Sappiamo che è stata rinchiusa nella colonia penale femminile Kacianovskaja a Khar’kov, che ha denunciato forti dolori alla schiena per cui è stata ricoverata in ospedale, dove è stata visitata anche da medici stranieri.

Il summit Ucraina-Unione Europea, svoltosi il 25 febbraio a Bruxelles può indubbiamente essere considerato una “vittoria” del presidente Viktor Janukovich. L’UE chiaramente non desidera rinunciare alla cooperazione con l’Ucraina, compresa la firma di un accordo di associazione, ed è anche pronta a concederle dei fondi. Però in prospettiva, già nel maggio prossimo, Kiev farà più fatica ad accordarsi con Bruxelles. Nei prossimi due mesi Janukovich dovrà risolvere il problema della sorte di Julija Timoshenko (e anche di Jurij Lutsenko, l’ex ministro degli interni in carcere dal dicembre 2010 per peculato aggravato). Benché questi due nomi non siano stati menzionati a Bruxelles, evidentemente aleggiavano nell’aria nel corso dei colloqui.

Si sa che per lungo tempo la Timoshenko ha fatto il bello e il cattivo tempo in Ucraina. Ha maneggiato miliardi attraverso la sua compagnia Edinye Energeticeskie Sistemy Ukrainy (Sistemi energetici unificati dell’Ucraina) e molto probabilmente parte di questi miliardi sono rimasti appiccicati alle sue mani. La Timoshenko è divenuta un po’ anche un’icona dei diritti umani nell’ex URSS: molti l’hanno vista come una vittima di persecuzioni politiche. Adesso però saltano fuori nuove accuse contro l’ex premier, tali da far apparire la vita politica nella seconda (per popolazione) repubblica della disciolta Unione Sovietica una sorta di Far West dove vige il principio shoot first, ask later o di bolgia dove non esistono regole e ognuno afferma i suoi veri o presunti diritti con la forza.

La procura generale dell’Ucraina ha concluso l’istruttoria per un omicidio che risale a 16 anni fa, formulando un atto di accusa contro due ex premier che sarebbero stati i mandanti di questo delitto. Uno di questi ex premier è proprio Julija Timoshenko, mentre il secondo è Pavel Lazarenko che non molto tempo fa ha finito di scontare una pena detentiva negli USA. Nello stesso tempo però gli avvocati della Timoshenko affermano di non aver ricevuto ancora nessuna comunicazione ufficiale a questo proposito.

L’omicidio in questione fu commesso il 3 novembre 1996, quando all’aeroporto di Donetsk due killer spararono a Evhenij Shcherban’ deputato della Verkhovna Rada (il Consiglio Supremo, cioè il parlamento) e imprenditore, che in quel momento era considerato l’uomo più influente della regione. Insieme con Shcherban’ furono uccisi sua moglie ed inoltre anche il meccanico e l’ingegnere di bordo dell’aereo con il quale il deputato era arrivato da Mosca. Più tardi uno degli assassini, Vadim Bolotskikh, soprannominato Moskvich (il Moscovita: ha la cittadinanza russa) fu catturato e condannato all’ergastolo. Il secondo killer, Gennadij Zangelidi, soprannominato Zver’ (la bestia), fu eliminato dai suoi stessi complici mentre le forze dell’ordine stavano dandogli la caccia. Un altro personaggio del milieu, il pluripregiudicato Evhenij Kushnir, della cui banda facevano parte i killer, fu ucciso mentre si trovava in cella di isolamento in attesa di giudizio. I mandanti di questo delitto non furono mai scoperti.

La procura incominciò a indagare sui legami fra la “liquidazione” di Shcherban’ e le attività della Timoshenko dopo che, nella primavera del 2012 il figlio del deputato ucciso, Ruslan Shcherban’ rivelò di essere in possesso di prove sull’implicazione dell’ex premier nell’assassinio di suo padre. In seguito egli, come aveva promesso, trasmise queste prove alla procura. Le rivelazioni di Shcherban’-junior non potevano venire in un momento migliore per il governo ucraino: dopo la condanna della Timoshenko a sette anni per abuso d’ufficio (al momento della conclusione degli accordi sul gas con la Russia), Kiev era stata sommersa da un’ondata di critiche mentre in Occidente si parlava già della possibilità di imporre sanzioni contro l’Ucraina. E a questo punto scoppiò una “bella” storia criminale che toglie alla Timoshenko l’aura di “perseguitata” e dietro alla quale non è difficile individuare un retroscena politico in cui Julija Timoshenko non è vittima, ma presumibilmente colpevole.

Nel settembre dell’anno scorso l’atmosfera fu resa ancora più surriscaldata dallo scandalo di Mykola Mel’nicenko, ex guardaspalle dell’altrettanto ex presidente Leonid Kuchma. Sulla sua pagina Facebook, Mel’nicenko raccontò che in base alle conversazioni da lui intercettate al tempo dei fatti nell’ufficio di Kuchma è possibile concludere che il mandante dell’uccisione di Shcherban’ è Lazarenko, mentre i killer erano poi stati compensati da Petro Kiricenko (ex socio in affari di Lazarenko, residente ora negli USA; durante il processo contro gli assassini anche lui era stato sospettato di essere un possibile mandante del delitto) e dalla Timoshenko. Come adesso si è appreso, gli inquirenti della procura ucraina vogliono dimostrare che i “servigi” degli assassini furono pagati dalla Timoshenko e da Lazarenko. Se riusciranno a farlo, per la Timoshenko si aprirà la prospettiva dell’ergastolo.

Foto: Giovanni Bensi, veduta della colonia penale femminile di Kachanovskaja (Kačanivs’ka) a Khar’kov (Khar’kiv) dove è detenuta Julija Timoshenko.

Chi è Giovanni Bensi

Nato a Piacenza nel 1938, giornalista, ha studiato lingua e letteratura russa all'Università "Ca' Foscari" di Venezia e all'Università "Lomonosov" di Mosca. Dal 1964 è redattore del quotidiano "L'Italia" e collaboratore di diverse pubblicazioni. Dal 1972 è redattore e poi commentatore capo della redazione in lingua russa della radio americana "Radio Free Europe/Radio Liberty" prima a Monaco di Baviera e poi a Praga. Dal 1991 è corrispondente per la Russia e la CSI del quotidiano "Avvenire" di Milano. Collabora con il quotidiano russo "Nezavisimaja gazeta”. Autore di: "Le religioni dell’Azerbaigian”, "Allah contro Gorbaciov”, "L’Afghanistan in lotta”, "La Cecenia e la polveriera del Caucaso”. E' un esperto di questioni religiose, soprattutto dell'Islam nei territori dell'ex URSS.

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Un commento

  1. Francesco Massi

    Forse l’Occidente ha “beatificato” troppo presto la Timoshenko. La prudenza e la diplomazia avrebbero suggerito una maggiore attenzione ed una analisi più approfondita sul soggetto che avevano di fronte. In fondo la signora in questione stava barattando l’ingresso del suo paese nella NATO e nella UE (realizzabili ?) in cambio di un bel colpo di spugna sul suo torbido passato.

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