BULGARIA: Il premier Borisov si dimette. Cosa c'è dietro?

Il primo ministro bulgaro, Boyko Borisov, ha annunciato questa mattina le sue dimissioni. E davanti al Parlamento ha annunciato che il partito di centrodestra Gerb, di cui è leader, non parteciperà alla formazione del prossimo governo che traghetterà la Bulgaria verso le elezioni anticipate. Borisov ha poi dichiarato: “Non voglio governare un paese in cui la polizia deve picchiare i manifestanti, il potere ci è stato consegnato dal popolo, e oggi noi lo restituiamo alla gente”.

Borisov si riferisce alle manifestazioni in corso nel paese, culminate negli scontri di ieri sera, 19 febbraio. Secondo quando riportato da Francesco Martino, corrispondente dalla Bulgaria per Osservatorio Balcani e Caucaso “un gruppetto di giovani ha attaccato le forze antisommossa con lancio di pietre, bottiglie e petardi. La polizia ha reagito con una carica, travolgendo anche i manifestanti che si trovavano dietro al gruppo di violenti. Le telecamere dei molti media presenti hanno mostrato volti insanguinati e giovani messi a terra ed arrestati. Il bilancio definitivo degli scontri è di 14 feriti e 25 arresti”.

Quelle bollette troppo salate

Le proteste, nate per il caro energia, sono presto sfociate in un aperto dissenso e a Sofia i manifestanti hanno preso a riunirsi sul Ponte delle Aquile (Orlov Most), luogo da cui partivano manifestazioni non autorizzate fattesi sempre più aspre. Le dimostrazioni di massa hanno avuto luogo in tutte le principali città bulgare e quella di domenica 19 febbraio è stata forse la più imponente degli ultimi quindici anni. All’origine, si è detto, c’è il problema del caro energia. Le bollette dell’elettricità a gennaio sono raddoppiate rispetto al 2012. Sul banco degli imputati all’inizio siedono le compagnie di distribuzione (le ceche CEZ ed Energo-Pro e l’austriaca EVN) che operano in Bulgaria dal 2004, dopo un processo di privatizzazione che ha portato di fatto alla creazione di un monopolio.

Sulle prime Borisov ha cercato di placare le proteste licenziando il ministro delle Finanze, Simeon Dyankov, e pagando i sussidi (arretrati) agli agricoltori, ma è stato inutile. Come vana è stata la promessa di intervenire sul costo dell’energia. I cittadini bulgari chiedono il ritorno alla nazionalizzazione del sistema di approvvigionamento energetico al grido di “mafia” e “dimissioni” nei confronti del governo.

Borisov, le società elettriche e la mafia

Mafia non è una parola buttata lì a caso in questa storia. Non se scopriamo che nel board della CZE siede Dimitar Nikolov Stefanov detto Mitko the Karate Man, uomo di fiducia di Boyko Borisov, che lavora per la compagnia ceca dal 2009. Mitko “Karate” prende uno stipendio d’oro, 35mila Lev bulgari al mese, circa 17mila euro, a fronte di uno stipendio medio che in Bulgaria è il più basso dell’Unione Europea, appena 400 euro al mese. Ma più dello stipendio, quello che è interessante sapere di Mitko “Karate” è della sua “amicizia” con un altro influente signore: Rumen Nikolov detto “il Pascià”, esponente del Sik, una delle due principali organizzazioni criminali attive negli anni Novanta in Bulgaria. Mitko “Karate” Stefanov è stato autista e uomo di fiducia di Rumen Nikolov; anche il primo ministro Borisov, per sua stessa ammissione, è “amico” del boss Rumen “Pascià”. Un bel quadretto, non c’è che dire.

Il torbido passato di Borisov

Il lettore meno esperto deve sapere che queste organizzazioni nascono durante i primi anni della transizione post-comunista, e si arricchiscono tramite le privatizzazioni dei settori strategici dello Stato. Solo le mafie avevano i soldi e le entrature necessarie per l’acquisto di simili beni, soldi che provenivano dai traffici e dal racket della sicurezza: molte “assicurazioni” fiorirono in quegli anni, offrivano protezione in cambio di denaro. Così ex agenti dei servizi segreti, trafficanti e boss, si sono uniti in una cupola criminale che presto ha salito i gradini del potere. Ci sono sospetti che persino il premier Borisov sia esponente di questi “interessi”. Non è un segreto che Borisov fosse bodyguard dell’allora presidente Zivkov e che sia stato il fondatore di una delle prime “assicurazioni” del paese. Persino dal Congresso degli Stati Uniti è ritenuto pericolosamente vicino agli ambienti della mafia bulgara.

Nome in codice “Buddha”

Non solo, i legami tra Bosrisov e la mafia sono al centro di recenti scandali in Bulgaria. Il sito BalkanLeaks ha ottenuto e pubblicato un documento riservato da cui si evince come Borisov, nel 1996, fosse stato arruolato dalla Csbop, il servizio antimafia bulgaro, come informatore. Il suo nome in codice era “Buddha”. Nel 1997 Borisov risulta essere stato messo sotto indagine dallo stesso Csbop a causa del “suo precedente orientamento criminale”. L’affaire Buddha è coinciso con le proteste di piazza di questi giorni e ha spinto Borisov a rassegnare delle dimissioni che non significano certo la rinuncia al potere. Lo scoop di BalkanLeaks è stato poi ripreso e diffuso dal quotidiano Bipol, portando la tensione a livelli altissimi.

Il tentato omicidio di “Baretata”

A questo punto la domanda che sorge spontanea è: perché un uomo potente come Borisov, che controlla l’intera vita politica bulgara (anche grazie all’ultimo successo elettorale), che ha uomini di fiducia nelle principali aziende, che ha legami con la mafia, ha deciso di rassegnare le dimissioni? Qui si entra nello scivoloso campo delle supposizioni. Una risposta non siamo in grado di darla. Ma se le proteste di piazza e lo scandalo Buddha non bastassero, il 29 gennaio scorso quattro pallottole hanno colpito Zlatomir Ivanov detto “Baretata” davanti al palazzo di Giustizia a Sofia, ferendolo gravemente. Come riportato dall’agenzia Novinite, “Baretata” nel periodo 1991-1993 era stato arruolato nella squadra di lotta contro il terrorismo del ministero degli Interni, e da qui deriva il suo soprannome “berretto”. “Baretata” stava recandosi in tribunale dove è sotto processo con l’accusa di aver organizzato e partecipato alla Firmata (la società), organizzazione mafiosa dedita al traffico di droga e agli omicidi su commissione. Immediatamente dopo gli spari nell’edificio da cui sono partiti s’è sviluppato un incendio. La polizia ritiene che il fuoco sia stato appiccato per distruggere tracce.

Il processo ad Aleksei Petrov e l’underground criminale

C’è poi un altro processo, assai delicato, che sta entrando nel vivo a Sofia: quello denominato Octopus e che vede sul banco degli imputati Aleksei Petrov, il mafioso lottatore (ne parlammo qui) già consigliere dei Servizi segreti (Dans) businessman accusato di essere implicato in una fitta rete criminale, una “piovra” in salsa bulgara di cui molto si deve ancora sapere. Il suo arresto fu un vero e proprio evento mediatico, uno spettacolo organizzato da Borisov allora assai impegnato a mostrarsi duro con i clan. Petrov, dal canto suo, ha sempre accusato Borisov di essere a sua volta implicato e, commentando i recenti scandali, ha dichiarato: “Non mi sorprenderebbe che Buddha sia presto mio compagno di cella”.

Forse nell’underground criminale qualcosa si muove. Forse ci sono poteri occulti che stanno sopra a quello di Borisov. Forse, o forse questo non ha nulla a che vedere con quanto accade nel paese attraversato, questo è certo, da tensioni sociali, politiche e criminali che prospettano un futuro gravido di incertezze.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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