Una delle regioni più calde dell’Asia Centrale torna a far parlare di sé, ed ancora una volta a causa di scontri etnici tra uzbeki e kirghisi.
La Valle di Fergana, la regione più fertile e densamente popolata dell’Asia Centale, è un vero e proprio mosaico di etnie, e nemmeno l’ingegneria staliniana è riuscita a dirimere ciò che la Storia ha aggrovigliato. Fino al XVII sec. la zona era unita sotto il khanato di Kokand, e dopo la conquista russa divenne una provincia dell’impero insieme a parte del Pamir. Successivamente, in epoca comunista, le esigenze di “razionalizzazione” e la logica del divide et impera, portarono alla frantumazione della regione che venne divisa tra Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan. La Valle di Fergana rappresenta forse il più grande fallimento della politica “amministrativa” staliniana. La volontà di impedire ad una delle tre realtà territoriali il controllo dei due grandi fiumi della regione (il Syr Darya e l’Amu Darya) portò a dei confini totalmente irrazionali e non consideranti le divisioni etniche della zona; ed infatti da allora quelle linee di confine sono contestate ed in alcuni punti nemmeno tracciate.
E proprio in uno di questi punti, al valico di frontiera kirghizo di Charbak, ai primi di gennaio una folla di circa 1000 uzbeki tenta di abbattere alcuni pali della luce secondo loro eretti sconfinando in territorio uzbeko. Dopo una schermaglia in cui un ufficiale kirghizo rimane ferito gli assalitori abbattono decine di pali nella zona e irrompono in un vicino villaggio kirghizo prendendo circa 40 ostaggi. Da parte kirghiza la reazione è immediata e alcuni abitanti dell’enclave uzbeka (ma etnicamente tagika) di Sokh vengono fatti a loro volta ostaggi; la vicenda si conclude il giorno successivo con uno scambio di prigionieri.
I mezzi di informazione, memori dei sanguinosi scontri del 2010, non hanno dato risalto alla notizia ma la tensione tra i due paesi resta alta. Gli abitanti kirghizi della zona hanno bloccato la strada che collega Sokh all’Uzbekistan e le autorità uzbeke hanno a loro volta chiuso i valichi di confine con il Kirghizistan e bloccato i rifornimenti di gas verso il sud del paese confinante. Il risultato è stato l’isolamento di alcuni villaggi kirghizi che si sono trovati isolati ed alle prese con la penuria di scorte di materie prime e cibo, costringendo il loro governo ad inviare rifornimenti tramite elicotteri. Anche alcuni villaggi da parte uzbeka sono rimasti isolati a seguito dell’interruzione delle vie di comunicazione. La situazione economica della Valle di Fergana sta, anche per queste controversie di confine, peggiorando anno dopo anno e la lotta tra le diverse comunità per accedere alla terra coltivabile ed all’acqua si fa sempre più aspra.
L’Uzbekistan sia economicamente che militarmente è nettamente più forte del vicino khirghiso, tuttavia l’appartenenza del Kirghizistan alla CSTO (Collective Security Treaty Organization), organizzazione da cui Tashkent si è recentemente ritirata, potrebbe portare ad un intervento russo; da qui l’immediata compensazione in denaro (circa 56.000 dollari) che il governo uzbeko ha corrisposto ai kirghizi presi in ostaggio. Dal canto suo Biskek ha intrapreso la costruzione di una strada che colleghi i villaggi della zona senza passare dall’enclave uzbeka. Che la questione degli ostaggi sia grave sintomo di un possibile scontro è rappresentato anche dall’intervento diretto dell’OSCE (Organization for Security and Co-operation in Europe) che, tramite il Ministro degli esteri ucraino, Leonid Kozhara, ha invitato i due paesi centroasiatici al dialogo.
La situazione non sembra quindi ancora del tutto risolta: le autorità di Batken, capoluogo amministrativo della regione, hanno invitato le controparti uzbeke a discutere la questione senza tuttavia ricevere risposta ma solo un comunicato in cui si imputa a problemi tecnici la chiusura della frontiera. Le fonti riportano anche di casi di cittadini kirghizi uccisi da guardie uzbeke che, invece, sostengono di avere sparato a dei contrabbandieri.
Quale che sia la realtà dei fatti la Valle di Fergana resta un epicentro di tensioni, emblema di un fallimento sovietico, che rischia di allargarsi sempre più con conseguenze difficilmente immaginabili.
fin che c’era l’Unione Sovietica non ci sono mai stati problemi. Il fallimento e tutto delle realtà post-sovietiche