di Matteo Zola
“L’orso è il padrone dell’Artico”. Con queste parole Vladimir Putin ha chiarito, a modo suo, le intenzioni russe (l’orso è uno dei simboli della Russia). Ma la competizione per il dominio dei ghiacci è aperta e sembra destinata a inasprirsi. Tra Stati Uniti, Canada, Russia, Norvegia e Danimarca la guerra, è il caso di dirlo, è fredda: grugni, lamentazioni, mugugni che diventano schiaffi e pugni. Il Canada ha visto lesa la sua sovranità territoriale a causa di alcune manovre militari russe in acque che a Ottawa ritengono “nazionali”. Le comunità Inuit si sentono minacciate e non sanno più a che santo votarsi, e la Danimarca -che ha sovranità sulla Groenlandia– si rivolge agli Stati Uniti. La guerra sembra destinata a scaldarsi man mano che il riscaldamento globale rende più accessibili gas, petrolio e altre ricchezze minerali: si stima che un quarto del petrolio e gas del pianeta siano concentrati sotto il Mar Glaciale Artico, e che per il 2030 la calotta polare sarà interamente libera dai ghiacci durante l’estate.
Un fronte che si apre, rendendo possibili nuove rotte commerciali, come dimostra il viaggio della petroliera russa che quest’estate ha raggiunto la Cina attraverso il mitico Passaggio a Nord-Ovest, partendo da Murmansk e raggiungendo lo Stretto di Bering in meno di due settimane. La Russia rivendica un legame culturale con l’Artico, ed economico: l’11% del Pil annuo proviene dalle regioni artiche. I russi ritengono di avere più diritti degli altri sull’oceano, perché il fondo marino fa parte della loro piattaforma continentale. Ma questa tesi viene contestata dagli altri Paesi sulla base del diritto internazionale. In base alla Convenzione Onu del 1982, infatti, una nazione affacciata al mare può rivendicare lo sfruttamento esclusivo delle risorse naturali situate fino a 200 miglia nautiche dalla costa. Se però la piattaforma continentale si estende oltre quella distanza, è necessario fornirne le prove scientifiche a un’apposita Commissione Onu. È quanto Mosca si appresta a fare: tre diverse squadre di ricerca stanno già esplorando la catena montuosa sottomarina per raccogliere le prove che sia terra russa, ricca di 75 miliardi di barili di petrolio.
Il 15 settembre scorso è stato firmato tra Mosca e Oslo un trattato che mette fine a 40 anni di dispute di frontiera. Firmato a Murmansk tra Russia e Norvegia, stabilisce a chi appartengono gli enormi giacimenti di petrolio e gas che si trovano sotto l’oceano. L’intesa mette ordine nelle rivendicazioni su una superficie di 175 mila chilometri quadrati e su riserve potenziali di 10 miliardi di barili di petrolio. Canada, Danimarca e Stati Uniti però fanno sapere che “difenderanno le loro acque”. Insomma, non finisce qui.
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