Tim Judah è giornalista dell’Economist, per cui cura la rubrica Eastern Approaches dedicata all’Europa centro-orientale. Ha scritto diversi libri sui Balcani, di cui gli ultimi due sul Kosovo. Davide Denti l’ha intervistato il 26 gennaio a Milano, a margine del convegno Finestre Balcaniche organizzato da IPSIA (English version here).
Dopo l’entrata della Croazia nell’Unione europea nel 2013, l’allargamento dell’UE vedrà un arresto temporaneo per alcuni anni, mentre altri paesi candidati negoziano. Allo stesso tempo, l’UE si sta riformando e sta diventando qualcosa di diverso da ciò che conosciamo oggi. Gli attuali paesi candidati non sanno cosa sarà diventata l’Unione quando vi accederanno, e non hanno alcuna voce in capitolo sulla futura evoluzione dell’UE. C’è un modo per colmare questo divario crescente tra allargamento e approfondimento?
No, perché in realtà non si sa quale sarà l’esito per l’UE. Potrebbe esserci una zona euro più compatta, con il risanamento dei conti pubblici degli stati membri, e un anello di Stati membri senza euro intorno ad esso. Il futuro dei paesi dei Balcani è legato a quello dell’Unione europea, ma noi non sappiamo ciò verso cui quest’ultima sta andando.
L’eurodeputato liberale britannico Andrew Duff, pochi giorni fa, ha cercato di definire una possibile tabella di marcia della prossima riforma dell’Unione europea. Potrebbe iniziare con una Convenzione europea nel 2015, dopo le prossime elezioni del Parlamento UE, che sarà seguita da una conferenza intergovernativa nel 2016, un progetto di trattato entro il 2017 e l’inizio delle ratifiche entro il 2018. In tal caso, potrebbe essere possibile aprire la partecipazione alla Convenzione del 2015 agli attuali paesi candidati, come era stato fatto nel 2001 con la Convenzione che ha redatto lo sfortunato Trattato Costituzionale? Pensa che ciò potrebbe essere una valida opzione per permettere ai paesi dei Balcani di partecipare al processo di riforma dell’Unione europea?
Stiamo parlando in maniera teorica, dato che non sappiamo se accadrà effettivamente così. Alcuni pensano che non ci sarà una riforma dei trattati. Piuttosto, qualcosa di nuovo potrebbe nascere per la sola zona euro. I paesi candidati hanno già alcuni diritti di partecipazione in base ai trattati, ma penso che sia improbabile che, in una trattativa già difficile e complicata venga consentito anche, per esempio, al Montenegro, di avere voce in capitolo.
Per quanto riguarda la cooperazione regionale, lei ha parlato di sfere di reti economiche e sociali incentrate su ciascun paese dei Balcani, la cui intersezione costituisce la ‘Jugosfera’. Pochi giorni fa alcuni analisti hanno proposto un ‘Benelux dei Balcani’, che più o meno coincide con l’albanosfera, come un modo di promuovere la cooperazione sub-regionale e l’integrazione europea di questi paesi. Pensa che una simile iniziativa sarebbe positiva o potrebbe ostacolare l’integrazione europea dell’intera regione dei Balcani occidentali?
Su scala più ampia, già molto è coordinato oggi dal Consiglio di cooperazione regionale (RCC) a Sarajevo. Recentemente, il primo ministro serbo Dačić ha parlato di un Consiglio Balcanico per il coordinamento, ma non sappiamo ancora che cosa esattamente avesse in mente. I croati hanno avviato colloqui con il Consiglio Nordico, e hanno chiesto la loro esperienza, come un interessante esempio di un’organizzazione regionale che comprende sia stati membri dell’UE sia non membri, e sia paesi scandinavi sia di lingua finlandese, con una certa analogia con la regione dei Balcani occidentali. Poi, oltre al Benelux, c’è il Gruppo di Visegrad, avviato prima che tali paesi aderissero all’Unione europea, e che continua a funzionare come un gruppo informale senza nemmeno un segretariato, un modello che non dovrebbe riaccendere i timori di una ‘nuova Jugoslavia’.
Concentriamoci sulla Serbia. Alcuni commentatori sono stati sorpresi dalle mosse della nuova amministrazione Nikolić-Dačić, che hanno incluso la ricerca di una soluzione pragmatica per una normalizzazione delle relazioni con il Kosovo. Si tratta di un esempio di quel paradosso nella costruzione della pace per cui solo i nazionalisti in grado di risolvere i problemi più difficili? Qualcuno, in passato, ha detto che solo Nixon avrebbe potuto andare in Cina.
O che solo Begin avrebbe potuto fare un accordo con gli egiziani. Sì, esiste questa possibilità, e ciò che è più importante, in Serbia ci credono. Dačić ha detto che solo questo governo può portare a casa un risultato sul Kosovo. Devono trovare un equilibrio difficile: fare un accordo con il Kosovo senza riconoscerlo formalmente, ma credo che sia fattibile, possono farlo. Il precedente governo del presidente Tadic poteva arrivare solo fino ad un certo punto, per non essere accusato di tradimento. D’altra parte, Dačić ha detto in sostanza nei mesi scorsi che il loro governo non può certo essere accusato di tradimento, perché dopo tutto è andato fino in guerra per il Kosovo.
Per quanto riguarda il rapporto tra il presidente Nikolić e il primo ministro Dačić, si è parlato recentemente di una spaccatura crescente tra i due, come se stessero conducendo due politiche differenti. L’incontro di Dačić con il suo omologo croato ha lasciato Nikolić insoddisfatto, e la piattaforma di negoziazione sul Kosovo che è trapelata nel mese di dicembre può essere interpretata anche come un tentativo di minare il lavoro di Dačić con Thaçi e l’UE sul Kosovo. C’è una coabitazione strisciante tra i due a Belgrado?
Nella precedente amministrazione c’era una piramide di potere, alla fine Tadic aveva l’ultima parola su tutto. Dopo l’elezione c’è stata una specie di lotta per il potere tra Nikolić, Dačić e il presidente del SNS Vučić. Ora le cose si stanno stabilizzando. Il Presidente sta facendo sempre più ciò che dovrebbe effettivamente fare, e che non comporta molto potere politico. Il vero potere è con Dačić, Vučić, e per quanto riguarda l’economia Dinkić. Nikolić ormai brontola a bordo campo. E’ rimasto isolato nella regione, dopo le sue osservazioni su Srebrenica e Vukovar i leader croati e bosniaci non vogliono incontrarlo. Nikolić non può o non vuole tornare sui suoi passi su tali questioni, mentre Dačić e gli altri possono andare avanti. Nikolić potrebbe cercare di tornare alla ribalta con l’incontro con il Presidente del Kosovo, Atifete Jahjaga, previsto per l’inizio di febbraio, ma che è anch’esso simbolico in quanto lei non ha alcun potere reale. Il vero potere nei negoziati è di Dačić.
Un’ultima domanda. Lei ha detto che la lotta alla corruzione è oggi il nuovo nazionalismo. Il cambiamento di amministrazione in Serbia, e la campagna anti-corruzione che sta portando alcuni magnati in carcere, potrebbe tagliare l’erba sotto i piedi di Dodik in Bosnia?
Non ho evidenza di ciò. Il fatto è che se un sondaggio mostra Dodik in declino, non so fino a che punto ciò possa essere messo in relazione con la Serbia, piuttosto che con il fatto che lui e la sua cerchia sono visti come incredibilmente ricchi, mentre i bosniaci sono sempre più poveri. Questo può essere una sfida maggiore per la leadership di Dodik.
Ottimo articolo, anche se ancora non ho capito come far quadrare il cerchio del Kossovo. La questione è stata solo sfiorata. Però buone le analisi di Tim Judah.