Lo European Stability Institute (ESI) ha pubblicato in gennaio un rapporto intitolato “Saving Visa Free Travel. Visa, asylum and the EU roadmap policy“. Ve ne proponiamo, tradotto, il sommario esecutivo
Dal momento in cui l’obbligo del visto è stato revocato per i paesi dei Balcani occidentali nel 2009, si è registrato un forte aumento delle richieste di asilo politico da parte dei cittadini della regione [principalmente da Serbia e Macedonia, n.d.t.]. Pochissimi tra questi richiedenti asilo hanno effettivamente i requisiti per essere riconosciuti rifugiati. Piuttosto, sfruttano norme nazionali di asilo che forniscono benefici relativamente generosi durante il processo di verifica delle domande.
Dal 2010, i leader europei hanno chiesto ai governi dei Balcani di adottare misure per arginare questa ondata di richiedenti asilo. In realtà, il problema è relativo ai “fattori di attrazione” all’interno dell’UE. Ora, i responsabili politici dell’UE si trovano sempre più sotto pressione per risolvere il problema direttamente con la sospensione dell’esenzione dal visto per i paesi dei Balcani occidentali. Tale misura draconiana minerebbe la credibilità dell’intero approccio dell’UE per la liberalizzazione dei visti – non solo nei Balcani occidentali, ma anche in Moldavia, Kosovo, Turchia e Ucraina. Ma questa non è affatto l’unica soluzione disponibile.
Nel mondo di giustizia e affari interni, è generalmente difficile trovare soluzioni semplici a problemi complessi . Ci sono inevitabili compromessi da effettuare tra il controllo delle frontiere e consentire la libera circolazione delle persone, tra tutelare le libertà individuali e la salvaguardia del pubblico. Quando si tratta di liberalizzazione dei visti nei Balcani, tuttavia, vi è una soluzione limpida che concili le preoccupazioni di tutte le diverse componenti coinvolte. La soluzione è quella di rendere meno attraente, per coloro che chiaramente non ne hanno i requisiti per l’asilo, la presentazione di domande false o ingiustificate.
Secondo le norme UE, tutti gli Stati membri devono fornire ai richiedenti asilo un sostegno finanziario e materiale, mentre le richieste sono in corso di verifica. Ma c’è una netta differenza tra quei paesi che richiedono molti mesi per elaborare le loro richieste di asilo, e quelli che se ne liberano nel giro di poche settimane. Sono i tempi di lavorazione lunghi che si trovano in Germania, Svezia e in altri Stati membri dell’UE (fino a 8 mesi con appelli), che fungono da calamita per richieste d’asilo ingiustificate. I membri dell’Unione europea in grado di affrontare tempestivamente le domande di asilo affrontano un numero significativamente inferiore di richieste.
Il presente documento propone due possibili soluzioni. Una è quella di affrontare il problema a livello nazionale. Quegli stati che hanno visto un forte aumento delle richieste d’asilo dai Balcani potrebbe radicalmente ridurre i tempi delle loro procedure. Potrebbero seguire l’esempio della Svizzera, che ha recentemente introdotto una procedura di 48 ore per i richiedenti asilo provenienti da “paesi sicuri” come quelli dei Balcani. L’altra opzione è quella di affrontare il problema a livello europeo. L’UE dovrebbe etichettare i paesi che hanno completato il processo di liberalizzazione dei visti come “paesi d’origine sicura”, consentendo procedure di verifica più leggere e più veloci. Noi crediamo che la risposta ideale sia di perseguire entrambe le soluzioni in parallelo.
Tale soluzione non comprometterebbe i diritti dei veri rifugiati di presentare domanda e ricevere asilo. Le statistiche rivelano che i paesi con procedure più brevi, infatti, accettano una maggiore percentuale di domande di asilo. Sarebbe, tuttavia, d’aiuto ad eliminare le richieste infondate e ridurre i costi per i contribuenti europei. Aiuterebbe anche a salvaguardare l’esenzione dai visti per i cittadini dei Balcani occidentali, che si è rivelata un passo fondamentale nel dare speranza e un senso di direzione ad una regione travagliata alle frontiere dell’UE.
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