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DAGHESTAN: Cronache di guerra dal Nord Caucaso

Continuano gli attentati nelle due aree maggiori in cui si concentrano i musulmani della Federazione Russa, Nord-Caucaso e Idel-Ural (Volga-Ural, cioè Tatarstan e Baškortostan). L’episodio più recente (ma quando questo articolo verrà pubblicato quasi certamente non lo sarà più) è avvenuto, ancora una volta, in Daghestan. Descriveremo con una certa abbondanza di particolari gli avvenimenti, affinché sia chiaro che si è trattato di una vera e propria azione di guerra dei militari federali, nel bel mezzo di una città, contro guerriglieri identificati come tali, e non di una “semplice” operazione di polizia contro una banda di malviventi.

Il tutto iniziò in maniera drammatica, alla fine dell’anno scorso, il 29 dicembre, con un’”operazione speciale” a Makhačkala. Qui in un appartamento dell’ottavo piano in via Magomedtagirov (intitolata ad un poliziotto colpito dai ribelli diverso tempo prima) i militari russi avevano bloccato un gruppo di guerriglieri intimando loro di arrendersi e consegnare le armi, mentre gli inquilini degli alloggi vicini erano stati evacuati. I ribelli però avevano risposto aprendo il fuoco. “Nel momento in cui iniziava l’assalto, alcuni banditi erano riusciti a sfondare una parete penetrando nell’appartamento vicino, dove fu presa in ostaggio una bambina di sei anni”, riferiscono fonti del “Cominato nazionale antiterroristico” (NAK). Tuttavia in seguito all’intervento “coordinato e professionale” dello spetsnaz la bambina poté essere liberata. Nella sparatoria furono eliminati subito sei guerriglieri. Feriti anche due poliziotti. Verso la sera del 29 dicembre un altro guerrigliero cercò di penetrare nell’edificio con l’intenzione di portare aiuto ai suoi complici. L’uomo, armato con due pistole, aprì il fuoco contro i poliziotti, ferendone uno, ma fu ucciso a sua volta.

Tre guerriglieri furono immediatamente identificati. Uno era il capo della cosiddetta “banda di Kizil-Yurt.”, Gadžimurad (Hajimurad) Dolgatov, un altro, Arsen Kuramagomedov, era il suo braccio destro” mentre un terzo, Šamil Ahmedov era il proprietario dell’appartamento. in cui il gruppo si era rifugiato. Tutti pregiudicati, secondo il NAK, “per gravi delitti penali”. Lo stesso organismo precisò in seguito che fra le persone uccise vi erano anche altri due comproprietari dell’alloggio, Rasul Kugiev e sua moglie Rasiyat Kugieva, della quale venne fornito anche l’anno di nascita, il 1985. Sgominati i guerriglieri, i militari russi penetrarono nell’appartamento e vi trovarono un vero e proprio arsenale: un AKM (“Kalašnikov”) calibro 7,62 mm. con un caricatore dotato di 12 proiettili, un altro caricatore con 30 proiettili calibro 7,62 mm, una granata F-1 con innesco, 8 bossoli calibro 7,62.

Sempre in Daghestan sarebbero stati scoperti i mandanti dell’omicidio dello sheykh Said Afandi Atsaev (Čirkejskij), l’ustād della “Naqšbandiya”, cioè la più autorevole confraternita islamica, ucciso lo scorso 28 agosto da una terrorista suicida, e del quale abbiamo già diffusamente parlato. Anche qui l’annuncio è stato dato dal NAK, un cui comunicato informa che l’8 dicembre l’FSB ha condotto un’”operazione speciale” in una serie di centri abitati del Daghestan. In particolare nel villaggio di Šamilkala, distretto di Untsukul, e Čirkata, distretto di Gumbet, furono arrestati tre membri della “banda di Gimry” (Gimry è il luogo di nascita dell’Imam Šamil, il condottiero della guerra caucasica del XIX sec.), tra cui il 30-enne Šikhmirza Labazanov, il 36-enne Magomedali Amirkhanov e il 23-enne Magomed Gadžiev, i quali, dice il comunicato, “hanno confessato i delitti compiuti”. Essi avevano accompagnato sul posto dell’attentato e “coperto” la terrorista-kamikadze.Già in precedenza l’FSB aveva dichiarato che nel cortile dell’ustād si era fatta esplodere una terrorista-suicida di nome Alla Saprykina, che era entrata facendosi credere una dei numerosi seguaci dello sheykh. In seguito all’attentato, oltre a Said Afandi, erano perite altre sei persone, compreso un ragazzo minorenne. Saprykina era di origine russa e sposata, con rito šariatico, con un guerrigliero di Gubden, Magomed Ilyasov.

Le informazioni del NAK affermano che l’assassinio dello sheykh Said Afandi era stato organizzato dai guerriglieri “con lo scopo di rinfocolare nella regione la contrapposizione fra musulmani appartenenti a diverse correnti dell’islam”. In base al loro piano, secondo l’analisi del NAK, l’uccisione dello sheykh, che godeva di una incontrastata autorità in Daghestan, avrebbe dovuto provocare un conflitto armato e “condurre a gravi conseguenze negative”. L’organizzazione materiale del delitto era stata affidata a uno dei leader religiosi delle bande clandestine, il “qadi” (giudice šariatico) non riconosciuto Magomed Suleymanov, pure originario della patria dell’Imam Šamil, Gimry.

Le indagini avrebbero chiarito che i guerriglieri stavano preparando sul territorio del Daghestan una serie di altri attentati per destabilizzare l’atmosfera nella repubblica, mentre il gruppo clandestino di cui facevano parte, sostiene il NAK, era implicato in furti, rapine ed estorsioni sul territorio di diverse regioni della Russia Centrale. I denari rapinati venivano poi utilizzati per il finanziamento delle bande nel Nord-Caucaso. Viene citato il caso di un russo di nome Surlevič che assai di recente, il 28 gennaio, è stato rapito a Vidnoje, pressso Mosca, al fine di costringere i suoi parenti a pagare un riscatto.

I guerriglieri daghestani vengono indicati come “estremisti religiosi”, interessati, come nel caso di Said Afandi, a fomentare discordie intraislamiche per fini politici. Ma, ufficialmente, in Daghestan non wengono mai indicati come “wahhabiti”. Anzi, da un po’ di tempo in qua le parole “wahhabiti” e “salafiti” sono praticamente scomparse dalla stampa daghestana, forse in seguito a un ordine non scritto delle autorità.

Chi è Giovanni Bensi

Nato a Piacenza nel 1938, giornalista, ha studiato lingua e letteratura russa all'Università "Ca' Foscari" di Venezia e all'Università "Lomonosov" di Mosca. Dal 1964 è redattore del quotidiano "L'Italia" e collaboratore di diverse pubblicazioni. Dal 1972 è redattore e poi commentatore capo della redazione in lingua russa della radio americana "Radio Free Europe/Radio Liberty" prima a Monaco di Baviera e poi a Praga. Dal 1991 è corrispondente per la Russia e la CSI del quotidiano "Avvenire" di Milano. Collabora con il quotidiano russo "Nezavisimaja gazeta”. Autore di: "Le religioni dell’Azerbaigian”, "Allah contro Gorbaciov”, "L’Afghanistan in lotta”, "La Cecenia e la polveriera del Caucaso”. E' un esperto di questioni religiose, soprattutto dell'Islam nei territori dell'ex URSS.

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