RUBRICA: Al Femminile
Processata, poi assolta, poi riprocessata. Rischia trentasei anni di reclusione. L’accusa? Essere una terrorista del Pkk, il partito armato comunista curdo, più volte protagonista di attentati in Turchia e da decenni impegnato in una lotta senza quartiere per l’indipendenza del Kurdistan. Ma lei, Pinar Selek, sociologa, nata a Istanbul nel 1971, non ha mai fatto parte del gruppo terroristico curdo cui, sul finire degli anni Novanta, dedicò una ricerca in cui cercava di capire le dinamiche che avevano spinto il Pkk ad optare per la violenza nella loro lotta di indipendenza. Entrò così in contatto con alcuni esponenti del movimento, e questo bastò per montare l’accusa di associazione terroristica.
Pinar Selek è una donna scomoda al potere: femminista, antimilitarista, scrittrice e militante, ha lavorato per le strade di Istanbul a fianco di bambini di strada e senza tetto; ha fondato l’Atelier degli Artisti di Strada, che accoglieva zingari e prostitute, clochard e transessuali; ha pubblicato ricerche sui transessuali e sulla questione curda; fondato l’associazione femminista Amargi, contro le violenze sulle donne. Oggi vive a Strasburgo, dove all’università continua il suo lavoro di sociologa con una tesi sui movimenti sociali. Il processo che la vede protagonista da oltre 14 anni. è una storia lunga e tortuosa (raccontata qui, qui, qui e qui) .
Selek, come si è detto, fu arrestata nel luglio 1998 con l’accusa di far parte del gruppo terroristico curdo Pkk e di aver partecipato con loro all’attentato al Mercato delle spezie di Istanbul: un’esplosione che aveva causato la morte di 7 persone e oltre 100 feriti. La sua partecipazione all’attentato era dimostrata dalla “confessione” di un altro degli imputati, Abdülmecit Öztürk, che però ritrattò presto affermando di aver fatto il nome di Pinar a seguito di torture e su suggerimento della polizia carceraria. La stessa polizia a cui la sociologa non aveva voluto rivelare, malgrado le sevizie, i nomi dei militanti PKK intervistati nel corso delle sue ricerche.
Dopo oltre due anni, nel dicembre 2000, un rapporto di esperti dimostrò che l’esplosione era stata causata da una fuga di gas. Pinar Selek e gli altri imputati vengono rilasciati, ma il processo continua. La prima assoluzione viene finalmente sancita nel 2006 dalla 12ª Corte Criminale di Istanbul. Tuttavia, in seguito al ricorso del procuratore, la Corte d’Appello respinge la decisione e il caso torna alla prima corte, che di nuovo a maggio 2008 assolve Selek e Öztürk.
Nello stesso periodo esce il libro della Selek Sürüne Sürüne Erkeklik, sulla costruzione della mascolinità all’interno del servizio militare, per il quale la sociologa è stata oggetto di intimidazioni e minacce telefoniche, oltre che di dure critiche da parte della stampa. Per Pinar “i maschi vivono schiacciati da una mentalità di dominio che snatura i rapporti e genera violenza […] «Smontare questa costruzione del potere maschile vuol dire liberare le donne ma anche restituire gli uomini a loro stessi»” (intervista pubblicata su Marie Claire).
Il procuratore fa nuovamente ricorso, e di nuovo, dopo essere passato dalla Corte d’Appello, il caso viene rimandato alla Corte Criminale, ma con Selek come unica imputata. Pur basandosi sulla (presunta) confessione di Öztürk, il quale aveva affermato “Abbiamo organizzato l’attentato insieme” per poi ritrattare, il procuratore aveva infatti fatto ricorso solo per la sentenza riguardante Selek.
La donna nel frattempo lascia la Turchia, e grazie ad una borsa di studio vinta in Germania si trasferisce a Berlino. Nel suo paese natale il processo continua, e il 9 luglio 2011 Pinar Selek viene assolta per la terza volta.
E la accoglie il terzo paese, la Francia, e una città, Strasburgo, forse non per caso: qui ha sede la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a cui aderiscono tutti i membri del Consiglio d’Europa, e quindi anche la Turchia. Il dossier Selek è in attesa della conclusione della procedura interna: sono state sollevate violazioni all’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (divieto di tortura) e all’articolo 6 (diritto ad un processo equo).
Con la terza assoluzione, nel frattempo, la Corte Criminale si è definitivamente pronunciata, ma perché il dossier arrivi all’ultimo grado (la Grande Camera) è necessario che si concludano anche i processi collegati. L’udienza per questi, tenutasi il 22 novembre 2012 in assenza del giudice titolare per malattia, ha visto l’annullamento della sentenza precedente per un vizio di forma e la riapertura del processo a carico di Pinar Selek, una decisione non autorizzata e senza precedenti nella storia turca, e non solo. La nuova udienza, fissata per il 13 dicembre, è stata spostata al 24 gennaio 2013, quando i giudici potranno ritornare sulla decisione di novembre, considerata illegittima dagli avvocati, oppure convalidare una decisione illegale e proseguire il processo: l’accusa chiede una condanna a 36 anni di reclusione.
Pinar Selek, che vive un semi-esilio all’estero, non ha però mai domandato l’asilo politico, perché spera di poter un giorno tornare in Turchia.
La vicenda di Pinar Selek ricorda da vicino quella di Hrant Dink, giornalista ucciso dopo una lunga persecuzione giudiziaria, di cui su East Journal abbiamo detto qui e qui. Come Dink, anche Pinar Selek è una di quei “nemici della patria” contro cui la giustizia turca si accanisce perché “offendono la dignità” della nazione. Una nazione che deve essere virile, forte, militare. Come nel caso di Dink, la persecuzione giudiziaria ai danni di Pinar è un modo per colpire e stigmatizzare chiunque cerchi di mettere in discussione il potere in Turchia. Un potere muscolare, che incarcera gli uomini in stereotipi di virilità e costringe le donne alla subalternità, come dichiarato dalla stessa Pinar: “Smontare questa costruzione del potere maschile vuol dire liberare le donne ma anche restituire gli uomini a loro stessi”.
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