Ludmilla Alexeeva non ha paura della prigione. L’ottuagenaria attivista dello storico movimento moscovita Helsinki, ha scelto ancora di dire “No”. Dopo decenni di rivendicazioni, i movimenti per i diritti umani in Russia sono nuovamente nel mirino dello Stato. Alexeeva sostiene di aver visto la situazione cambiare notevolmente in Russia. I tempi sovietici, quando il movimento Helsinki era l’unica espressione di una società civile alla ricerca di spazio, quando gli attacchi agli attivisti erano all’ordine del giorno e quando lei ha avuto la fortuna di subire “solo” l’esilio negli Stati Uniti, sono passati, finiti. I passi indietro a cui assistiamo oggi, però, richiamano quei tempi in modo allarmante.
Tutti i modi per strangolare la società civile
Dall’inizio della nuova legislatura, Putin ha dimostrato pochi scrupoli nell’imporre restrizioni alla libertà e ai diritti della società civile. Uno dei provvedimenti più gravi e autoritari, entrato in vigore il 21 novembre, prevede per le organizzazioni non governative che ricevono finanziamenti dall’estero l’obbligo di registrarsi al ministero della giustizia e identificarsi pubblicamente come “agenti stranieri”. Con tale definizione fuorviante, il rischio di apparire agli occhi dell’opinione pubblica come qualcosa di “invasivo” o –peggio ancora- come una “spia” straniera è molto alto. Se una ONG non rispetterà questa procedura, il responsabile dell’Associazione potrà incorrere in sanzioni penali che arrivano fino a due anni di carcere.
Ludmilla Alexeeva ha rifiutato di applicare questa etichetta alla sua organizzazione. La sua età avanzata è l’unica tutela che ha contro l’incarcerazione. Anche altri gruppi, pur rischiando concretamente la pena carceraria, si sono opposti fermamente a tale legge perché è una questione di principio, perché tale categorizzazione lede la loro identità, li rende qualcosa che non sono.
Questa non è l’unica insidia per le organizzazioni della società civile in Russia. Un’ulteriore, grave, espressione di autoritarismo latente è rappresentata dalla nuova definizione di “tradimento”. Ogni forma di “consulenza finanziaria, tecnica, o altri tipi di assistenza ad uno Stato estero o ad una organizzazione internazionale (…) diretta a minacciare la sicurezza della Russia”, oggi, per Mosca, costituisce tradimento. Per le organizzazioni internazionali che operano in Russia questa mossa del governo è la tomba della cooperazione. La stessa opera di informazione condotta dalle grandi organizzazioni come Human Rights Watch (che ha diffuso un report su queste restrizioni in Russia) e Transparency International è, purtroppo, pienamente inscrivibile in tale definizione che chiude ancora di più i cancelli di un paese già isolato.
Contraddizioni e provocazioni made in Russia
Intanto, le alte autorità di Mosca si mostrano ancora una volta in disaccordo e, forse, in competizione. Medvedev ha recentemente dichiarato di “rispettare” le ONG che operano per i diritti umani in Russia e di trovare “complessivamente utile il loro lavoro”, nonostante “spesso non si trovi d’accordo con loro”. È un presa di posizione contro il provvedimento che le limita o è un tentativo di rassicurare l’opinione pubblica sulla benevolenza russa rispetto a tali organizzazioni? Ritenendo poco probabile la prima opzione, rimane il dubbio per una linea politica quantomeno torbida.
Mentre aumentano i bastoni tra le ruote alle organizzazioni attive nel Paese, Mosca fa le pulci all’Unione Europea sulla stessa questione. È stato reso pubblico il 5 dicembre il primo rapporto del ministero degli esteri russo sullo stato dei diritti umani nel territorio dell’Unione Europea. Il rapporto evidenzia che la situazione dei diritti umani nell’UE non è soddisfacente nonostante la retorica fervente dei diritti umani promossa dagli Stati membri all’interno e, soprattutto, all’esterno dei propri confini. Quasi a dire “Chi è senza peccato…”