di Valentina Di Cesare e Davide Denti
Tornare a Zara nel 2013, per organizzare il 60° raduno dei dalmati italiani nel mondo? Complici le esperienze degli esuli di Pola, che vi si sono riuniti, e dell’identico proposito dei fiumani, anche gli zaratini ci stanno pensando. Secondo Lucio Toth, ormai presidente onorario della ANVGD (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia), gli esuli dalmati devono essere presenti tanto nelle comunità d’elezione in Italia quanto nei luoghi d’origine sulla sponda orientale dell’Adriatico, per rinnovare (ma in molti casi ricreare) quel legame tranciato nel 1947.
Nonostante le leggi approvate dal Parlamento italiano dal 2000 in poi, e dell’istituzione, il 10 febbraio, della Giornata della Memoria, i dalmati aspettano ancora qualche risposta. Riaprire il dibattito storico e sociale sulla presenza italiana in Dalmazia sarà uno dei prossimi obiettivi delle associazioni degli esuli, ribadito al raduno del 2012 a Senigallia. L’obiettivo, secondo Toth, è di “riconquistare l’attenzione della cultura e dell’opinione pubblica croate nel riconoscere l’esistenza di una radicata presenza italiana lungo la costa dalmata”. Uno sforzo che “non vuole riaprire antiche ferite reciproche, ma ricostruire una memoria che non disconosca a priori il carattere plurinazionale della nostra terra”. Nessuna rivendicazione territoriale, ma anzi “il riconoscimento del carattere minoritario dell’italianità dalmata di fronte a un’innegabile maggioranza croata della popolazione, secondo l’insegnamento di quel grande dalmata e italiano che fu Niccolò Tommaseo, devono servire a vincere le tendenze negazioniste dell’estremismo nazionalista croato e del nostalgismo comunista titino.”
Ma anche in Italia il lavoro da fare, per gli esuli, è molto. Dopo quarant’anni di oblio legato alla guerra fredda, e ad un’accoglienza in patria tutt’altro che felice, con l’insensato stigma del collaborazionismo addosso, gli esuli si chiedono: “Come ci vedono gli italiani?”. L’idea delle associazioni è di promuovere la conoscenza attraverso le scuole e le università, anche attraverso i racconti e le testimonianze dei protagonisti dell’esodo. Durante i giorni del raduno di Senigallia si è molto parlato dei tragici eventi avvenuti dopo la Seconda Guerra Mondiale, e non solo. Perché le ragioni dell’esodo affondano nel XIX secolo, e anche l’analisi storica deve spostarsi in un arco temporale più ampio. E’ nell’ ‘800 che iniziano a formarsi i movimenti nazionalisti, tanto italiani quanto slavi. Il dibattito sui confini orientali del Regno d’Italia in costruzione, durante il Risorgimento, resto spiazzato dalle conseguenze della guerra del 1866 che vide la sola annessione di Veneto e Friuli. Fu allora che, nei territori rimasti asburgici, si avviò l’irredentismo. A Trieste, porto franco asburgico e città cosmopolita (vi scrivevano allora Svevo e Joyce), si svilupparono tanto il nazionalismo italiano quanto quello slavo (sloveno e croato).
Oggi, dopo quarant’anni di oblio e un brusco risveglio al tempo delle guerre jugoslave, a tali nazionalismi vanno contrapposte le comunanze. Dall’eredità della Serenissima, al comune destino europeo: nel 2013 la Croazia sarà membro UE. E se le relazioni bilaterali vanno depoliticizzandosi (era un anno fa quando Napolitano e Josipovic, a Pola, pronunciavano un comune discorso di riconciliazione) , anche la società civile può permettersi di inserirsi nella breccia. Per un’Italia che non dimentichi più una tragedia a lungo insabbiata, e per una Croazia che riconosca i legami storici e culturali del suo litorale con l’italianità.
Articolo che condivido pienamente ma anche se i politici parlano di “riconciliazione”, la comunità croata è ancora pervasa da un acceso nazionalismo, residuo importante di quarant’anni di regime titino. E pensare che siamo noi, in definitva, la parte che è stata più penalizzata dal patto scellerato che fu contratto a suo tempo dagli anglo-americani con Tito e di tutte le conseguenze che ne derivarono. Non ci resta che sperare nel tempo, nell’oblio e nella buona volontà degli “umani”.
Cordiali saluti.
A chi fosse interessato alla storia di Zara nella seconda guerra mondiale mi permetto di consigliare la lettura di I Luxardo del Maraschino di Luxardo de Franchi Nicolò