Cancellare l'Erasmus, ma il futuro d'Europa passa da qui

Le mattine nebbiose della città in cui abito erano più luminose quando passavo davanti alla statua di Erasmo, che nelle stesse nebbie ha vissuto cinquecento anni prima e che quelle nebbie ha provato a diradare con la ragione. L’unica laurea che prese, Erasmo, la prese a Torino. Era troppo povero per studiare altrove e qui, con una “borsa di studio” ante-litteram, potè diventare dottore in teologia. Oggi il suo nome è legato a un progetto, finanziato dall’Unione Europea, che consente a molti studenti universitari di frequentare un semestre di studio in una università estera grazie a una borsa di studio, piuttosto magra, e a un alloggio di fortuna in qualche campus male in arnese. Tutte cose che rendono più naif l’esperienza, un’esperienza che non si fa per stare comodi.

La notizia della soppressione del progetto Erasmus per mancanza di fondi ha fatto dunque il giro d’Europa, destando proteste e indignazione. Ma chi voleva sopprimerla, e perché? E per quale motivo questo sarebbe stato a dir poco deleterio per i destini della già tormentata Europa?

Anzitutto i giornali, che dicono il falso più che il vero, hanno titolato: “L’Europa non paga Erasmus”. Sbagliato. Non l’Europa ma i governi nazionali non volevano più investire nel progetto. L’Unione Europea infatti stanzia una quota annuale per i suoi progetti (ricerca su spazio e tecnologie avanzate, crescita e occupazione tramite il Fondo sociale e fondo regionale, istruzione, salute, aiuti umanitari e alimentari) e già l’anno scorso aveva dovuto versare ulteriori cinque miliardi di euro per rimpinguare le casse vuote del progetto Erasmus. Casse dei governi nazionali, sia chiaro, che hanno investito sul progetto meno soldi del necessario, con il rischio di lasciare molti studenti senza borsa. Quest’anno la situazione si è riproposta ma L’Unione non aveva “oboli” da dare ai governi nazionali.

Apriti cielo. La colpa è stata facilmente addebitata all’Unione (già in crisi di popolarità) che, dal canto suo, ha fatto sapere nei giorni scorsi che il 23 ottobre si presenterà una bozza di variazione sul budget comunitario in modo da consentire al programma di proseguire. La variazione dovrà essere approvata dal Consiglio, cioè dai governi, e si immagina che questo avverrà.

Per l’Unione Europea sarebbe un micidiale autogol rinunciare al progetto che più di altri è in grado di formare cittadini europei ed europeisti. Infatti a Bruxelles fanno il possibile affinché questo non accada. Si è visto che lo sgambetto è stato fatto dai governi nazionali che, preda (chi più, chi meno) dell’ondata di nazionalismo che attraversa il continente, non hanno ritenuto importante investire sull’Europa. E l’Unione allora ci mette una pezza. Ma fino a quando potrà durare questo giochetto?

Poi, al coro dei mendaci, si uniscono i detrattori. Prendo un articolo a caso, esempio di molti, in cui l’autore, forse pensando di essere originale e controcorrente, scrive: “l’Erasmus non ha più il valore di una volta, e spesso si rivela una pura perdita di tempo. Un vacanza travestita da studio” e prosegue dicendo che è senz’altro meglio: “laurearsi con una bella specialistica e poi andare all’estero per un Master che completi la formazione. E magari rimanerci, all’estero“.

All’articolo in questione e alla schiera dei detrattori rispondo che se anche fosse diventato una vacanza, perdendo parte della sua profondità didattica, l’Erasmus resta un’esperienza formativa unica. Lo scopo dell’Erasmus è quello di creare cittadini europei, di far incontare giovani dei più diversi Paesi e permettere loro di ri-conoscersi in una cultura e identità comune. E’ un progetto che educa (nel senso proprio di “tirare fuori”) alla tolleranza, che cancella i pregiudizi nazionali che tanti disastri (financo bellici) hanno causato alla vecchia Europa. E il nazionalismo appare insulso  a chiunque abbia un minimo viaggiato e frequentato persone di altri Paesi europei, ma soprattutto a chiunque abbia partecipato al progetto Erasmus. A giovani dunque, che sono il futuro di un continente per troppo tempo preda di antagonismi ed ora in crisi d’identità. Una crisi che anche con Erasmus si può superare.

E ancora: l’Erasmus ha un costo, è vero, ma è finanziato da borse. Il Master proposto dall’articolista citato invece si paga, non è accessibile a tutti, ma a pochi. E’ figlio di una concezione aristocratica dell’istruzione. Non tutti possono pagarsi un Master all’estero, con tanto di vitto e alloggio L’Erasmus offre posti letto in collegio e una mensa universitaria a prezzi a buon mercato. Se non è per tutti, è una possibilità per molti. Molti che all’estero non ci restano, che tornano a casa e, forti della loro esperienza, cercano di svecchiare il proprio Paese facendo pulizia da insulsaggini come quella della “inutilità dell’Erasmus”. Facendo una breccia nelle nebbie che ottundono troppi articolisti d’ancien régime.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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5 commenti

  1. Giusto.

  2. Silvia Biasutti

    Bellissimo articolo.

  3. emanuele teodori

    Io l’ho fatto l’erasmus e vi dico la verità, alcuni la prendono come una vacanza, ma molti, moltissimi al giorno d’oggi la prendono come una esperienza formante a 360 gradi.
    Io ho fatto l’erasmus a lisbona e sono lì tutt’oggi con un contratto come ricercatore nell’università nella quale ho studiato.
    Durante questo periodo ho migliorato il mio inglese, appreso il portoghese, bevuto tantissimo, visitato tantissimi posti, e con impegno ho anche svolto tutto il lavoro sperimentale della mia tesi di laurea in ingegneria energetica (conclusa poi con lode)
    Avrei qui un contratto per altri tre anni per un dottorato di ricerca ma sto valutando se accettare o no. Le valutazioni sono per lo più relazionate al fatto che vorrei fare un dottorato solo dopo una esperienza di lavoro.
    Tutte le esperienze valgono in relazione a quello che uno riesce a trarne, e penso fortemente che tutti quelli che ne hanno la possibilità dovrebbero assolutamente andare a fare un’esperienza all’estero.
    Io personalmente al contrario di quello che si propone, stabilirei come obbligatoria una esperienza tale durante il corso di studi, consiglio a molti di preparare la tesi all’estero perchè il lavoro di tesi “obbliga” lo studente ad essere partecipe ed a “farsi vedere” più frequentemente dal professore (io personalmente dal lunedì al venerdi stavo tutti i giorni all’università).
    Poi se uno vuole perdere tempo tutto dipende da se stessi, si può perdere tempo anche a casa….
    Ho amato l’erasmus ed ora sto amando la città in cui vivo e le persone che qui frequento aria nuova, vita nuova.
    Lottate, lottate più che potete per mantenere vivo questo eccellente progetto.

  4. io vedo pochi cittadini italiani, non so quanto 6 – 10 mesi possano formare cittadini europei. In ogni caso, sì, cittadini europei, che disimparano l’italiano a quanto leggo

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