Quello di Vukovar non fu un assedio, fu un sacrificio rituale, un urbicidio. Fu il trionfo dell’inganno, il giro di valzer del gran ballo in maschera dove demoni e lupi danzavano sulle macerie della Jugoslavia. La storia ci racconta che Vukovar, città che in quel 1991 di guerra era al 44% croata e al 37% serba (il resto si divideva in sedici nazionalità minori, tra cui la tedesca, la magiara e l’italiana), fu assediata dalle truppe dell’Armata Popolare (l’esercito jugoslavo, nda) che presto lasciò il campo ai paramilitari serbi di Arkan e Seselj, le famigerate Tigri e Aquile bianche. L’esito fu un eccidio e un esodo dei croati dalla “loro” città mentre, il 17 novembre 1991, i serbi entravano tra le macerie di Vukovar.
Poi, all’alba del 4 agosto 1995, la città veniva “riconquistata” dai croati che, a loro volta, si abbandoneranno alla pulizia etnica nei confronti della popolazione serba. Una doppia pulizia etnica che ha, di fatto, consacrato la chiave di lettura “razziale” del conflitto jugoslavo. Certo i crimini ci sono stati, ambo le parti, ma la chiave di lettura etnica convince poco. Vediamo perché.
Una guerra sociale, non etnica
Vukovar, prima della guerra, era una piccola ma importante città cosmopolita e il numero di nazionalità che la componeva lo testimonia. Una città “mitteleuropea” e “borghese” nel senso stretto del termine, con un ceto culturale e mercantile radicato. Accanto a questo nucleo urbano c’era una periferia disordinata e disorganica, tirata su in fretta e furia a seguito della rapida industrializzazione promossa da Tito e la conseguente immigrazione dalle campagne. La contrapposizione che si venne a creare fu sociale, com’è proprio in contesti simili, ma mai etnica. La borghesia serba e quella croata (senza considerare gli imparentamenti) era un unicum sociale che rifiutò l’idea della guerra al vicino di casa. Vukovar era però un avamposto chiave per il posizionamento serbo nell’area, e l’aggressione alla città inevitabile. Non potendo contare su una “guerra civile” interna, le truppe paramilitari serbe fecero leva sul risentimento sociale degli esclusi, della periferia operaia e contadina. Ma anche questo non era tale da consentire, normalmente, un conflitto aperto. Furono necessari l’inganno, la propaganda e la paura per accendere il fuoco del risentimento che covava sotto le ceneri.
Contro i serbi di Pakrac
Un esempio dell’inganno serbo ai danni degli stessi connazionali lo troviamo nel percorso di avvicinamento a Vukovar quando le truppe paramilitari serbe di Arkan ottengono il controllo di Pakrac, in Slavonia: ottomila abitanti a maggioranza serba (oggi è quasi completamente croata). Da Pakrac controllano la zona circostante. Un bel giorno di fine estate, in quel 1991, il comandante Arkan chiamò a raccolta i serbi della regione e spiegò ai contadini che presto i croati sarebbero venuti ad ammazzarli. Si scatenò il panico e i serbi della sacca di Pakrac fecero fagotto e se ne andarono a Banja Luka. Lì nessuno si curò di loro, mentre le loro case abbandonate furono razziate dai banditi di Arkan. Quando si accorsero del raggiro era ormai troppo tardi. E che fare, d’altronde?
Contro i serbi di Vukovar
Ma il prezzo più alto lo pagarono i serbi di Vukovar. Coloro che non vollero prendere le armi contro i vicini di casa croati, divennero oggetto di persecuzione. L’operaio Rado Kostic – citato da Rumiz nel suo Maschere per un massacro – è uno di questi, i serbi suoi connazionali gli uccideranno il figlio e bruceranno la casa. Come l’operaio anche il sindaco serbo di Vukovar, Slavko Dokmanovic, fu costretto a fuggire dopo le ripetute minacce serbe. Inutile dire che Dokmanovic di guerra ai croati non ne voleva nemmeno sentir parlare. Le truppe serbe, insomma, agirono in modo pianificato contro la loro stessa “etnia”: ingannando e razziando le proprietà dei serbi del contado; uccidendo e perseguitando i serbi “cosmopoliti e borghesi” delle città (ma anche chi semplicemente non sentiva sua quella guerra, come l’operaio Rado Kostic). E quando l’Armata Popolare lasciò campo ai serbi, questi non esitarono a bombardare il centro di Vukovar dove ancora molti serbi vivevano.
Contro i serbi di Knin
Eppure, lo vediamo oggi, quell’inganno ha vinto. L’assedio a Vukovar fu l’assedio di serbi contro altri serbi. I serbi di Arkan contro i serbi di Vukovar. Ma questa è una verità che non si può raccontare. Come non si può dire che, nel 1995, quando i croati conquistarono la Krajna, le autorità serbe non alzarono un dito per aiutare i connazionali al punto che Knin fu presa in sole 23 ore. Qualcuno persino sospettò che Knin fosse stata “venduta”. Ai profughi serbi di Knin non fu concesso di entrare in Serbia e vennero dirottati verso la repubblica serba di Bosnia, controllata da Karadzic, spopolata dopo la guerra ai musulmani. Quelli che giunsero fino a Belgrado rimasero accampati alle porte della città, senza assistenza, per più di un anno. Ancora nel 1998 il Washington Post denunciava, in un reportage di Daniel Williams, lo stato di abbandono di migliaia di serbi di Krajna, profughi dimenticati ai margini della capitale. E chi li aveva abbandonati? I “fratelli serbi”, ovviamente, il potere politico di Milosevic, il signor Arkan e il signor Seselj.
Una guerra psichiatrica, non etnica
Il 21 novembre l’Armata Popolare concesse ai giornalisti di accedere alla città. Nè l’Armata nè i giornalisti sapevano cosa avrebbero trovato poiché, come si è detto, il lavoro sporco fu fatto dalle milizie serbe. Le cronache riportano del soldato Alexander, diciannove anni appena, che trovò in un sotterraneo un uomo anziano inchiodato a un tavolo e accanto una bambina, seviziata e poi sgozzata, i cui occhi erano stati messi in un bicchiere. Il giovane soldato vede la scena e impazzisce.
Il caso del “soldato Alexander” è stato successivamente preso a simbolo di una guerra “psichiatrica” che vide nell’assedio di Vukovar il suo esordio. Il 26% dei reduci dell’assedio fu infatti dichiarata dalle autorità serbe “psichiatricamente inadatto” a riprendere le armi. Specialmente i serbi al servizio delle Tigri o delle Aquile bianche: erano andati alla guerra imbottiti di anfetamine, avevano visto e fatto cose fuori dall’umano. E ne erano impazziti. Anche loro, giovani serbi tirati su a propaganda, vittime dei loro connazionali. Serbi vittime di serbi.
L’imbroglio etnico
Quella faccenda della guerra etnica è stata dunque un imbroglio? La risposta è sì, e non solo per i serbi ma per tutte le parti in causa. Un imbroglio per coprire la necessità, da parte della vecchia nomenklatura, di rifarsi una verginità e mantenere il potere. Un potere non solo politico ma anche finanziario. Un imbroglio per smaltire le armi in eccesso dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Un imbroglio costruito sul crimine organizzato. Un imbroglio diventato, in certa misura, realtà se oggi quelle retoriche dell’odio, dell’irriducibile alterità, sono pane quotidiano della politica serba. E la vittoria di Nikolic è lì a testimoniare che l’imbroglio ha vinto. Ma, siamo convinti, non potrà durare: Pada Vlada! Il governo cadrà, ne nascerà una nuova Serbia?
Caro matteo,
io da croato della slavonia ti posso dire solo una cosa: che quello che hai scritto è la più pura verità.
visto che hai parlato di pakrac, ti voglio aggiungere quello che so su DARUVAR, città distante 20 KM DA PAKRAC. secondo i dati del censo, nel 1981 la composizione etnica di daruvar era la seguente: su un totale di 31424 abitanti, 8907 (28,34%) erano croati, 9.528 (30,32%) erano serbi, 5.766 (18,34%) si dichiaravano jugoslavi, mentre il 7.223 (22,98%) erano di altre nazionalità (in gran parte cecoslovacchi e ungheresi). quello che successe a daruvar fu questo: un giorno, all’improvviso, la maggioranza dei serbi della città sparì; parte di loro si diede alla guerra, si unì alle truppe serbe e combatterono contro coloro che difendevano la città per impossessarsene. i croati della città parlano di piano di attacco, di cospirazione, ma mettendo da parte le stupide ingenuità è assurdo pensare che il 30% della popolazione della città, ossia 9500 persone si siano organizzate senza che gli altri sapessero o sospettassero niente. forse hanno lasciato fare? chi è disposto a credere che migliaia di persone si siano organizzate senza che si scoprisse niente?
PS: in alcune scuole croate della bosnia (io so di sicuro per queste, ma forse anche in altre della croazia), c’è una specie di “giorno della memoria” e si organizzano pullman di studenti per andare in visita a vukovar, la “città che è stata vittima dell’aggressione serba” durante il domovinski rat (guerra per la patria, così viene chiamata in croazia).
ANFETAMINE, l’altro punto di cui ti ringrazio di aver parlato.
molti parlano dell’efferatezza della guerra nei balcani, in particolare in bosnia, ma qual’è stato il veicolo per permettere tutto ciò?
la maggior parte dei soldati impiegati in guerra non erano professionisti. parte di loro proveniva dalle carceri, un’altra parte erano tifosi di stadio, teppisti buoni a nulla. un’altra parte, erano ragazzini 16enni presi dalle scuole. alcuni di loro ammettono (cito parole testuali): “avevamo 16 e 17 anni, arrivarono questi uomini molto importanti, ci diedero le armi in mano e ci promisero che avremmo avuto la nostra parte se avessimo vinto la guerra”.
non era possibile che delle persone comuni fossero capaci di tali efferatezze e pulizia etnica. dopo un pò sarebbero impazziti; per questo i “capi” hanno trovato subito la soluzione: imbottirli di droghe. molti soldati erano così fatti che non capivano cosa stavano facendo. l’unica cosa che riuscivano a fare era sparare a qualsiasi cosa si muovesse. erano così fatti che non percepivano il senso del pericolo.
se girate per le strade delle città in bosnia, o per le kafane, scoprirete la grande verità che sanno tutti: circola una quantità di droga impressionante a bassissimo prezzo. e lo dicono tutti: la guerra ha portato la droga. anche i civili che non hanno preso armi in mano, avevano così tante preoccupazioni e così tanta paura di non arrivare al giorno dopo che avevano bisogno di calmare i nervi con qualcosa – o stordirsi con qualcosa. moltissime persone ammettono di aver iniziato a fumare durante la guerra.
molti farmaci tranquillanti di cui in europa è proibita la vendita, anche con ricetta, in bosnia vengono liberamente venduti nelle farmacie senza ricetta. molti ne hanno bisogno per calmare i nervi, da 18 anni fa ad oggi.
e le pasticche di ecstasy o qualsiasi altra cosa sia sono facilissime da procurare durante la vita notturna, per tutti, visto che i prezzi si aggirano intorno ai 4 – 5 marchi, ossia 2 euro – 2.5 euro per pasticca.
Grazie Anton
quanto dici sulle anfetamine mi interessa molto, in generale sul mercato della droga nei Balcani. Per quanto riguarda il pezzo, ho cercato di dire quel che penso: non fu una guerra etnica, l’odio è venuto dopo. Se ti ammazzano il papà e la mamma, se ti stuprano la sorella o la moglie, odi per forza. E su quell’odio a posteriori si è costruita la “balcanizzazione”. Quanto scrivi su Daruvar mi ricorda alcune cose che lessi su Sarajevo est, dove i serbi d’un tratto sparirono. Alcuni si unirono alla guerra, altri scesero in città per difenderla. Anche lì serbi contro serbi, non solo contro musulmani. E la vicenda di Divjak è eloquente. Quello che vorrei è che i più giovani che quella guerra non l’hanno vissuta sulla pelle non si lasciassero abbindolare dalle retoriche dell’odio. Non penso a una nuova Jugoslavia. Penso alla pace, alla verità storica, alla convivenza civile.
quando guardo alle “idee politiche” o presunte tali o alle opinioni in merito che hanno le persone del luogo, mi sembra di parlare quasi con dei “bimbi sperduti”, che hanno assorbito un mucchio di bugie che si contrastano tra di loro tanto da non sapere neanche più tanto in cosa credere. forse è da questo che deriva il qualunquismo odierno: non riuscendo a sgrovigliare la situazione per capire cosa è bene e cosa male, si rifugiano nel qualunquismo: sono tutti ladri, sono tutti criminali, e chiuso il discorso. non è difficile sentire nazionalisti croati, che magari si proclamano ustaša e poi osannano tito. sentire quelli che rimpiangono il socialismo ma condannano tito, quelli che dicono che oggi è meglio rispetto all’epoca della jugoslavia a dispetto della disoccupazione e della crisi galoppante nel paese. sentire croati che parlano male dei serbi, serbi che parlano male dei croati, ma hanno amici serbi o croati e dopo il lavoro vanno a bersi una birra insieme, quasi che questa teoria etnica-politica non avesse niente a che fare con la realtà.
bellissimo commento !
Anche a Knin, strano ma vero, alcuni croati hanno combattuto nell’esercito della republika srpska krajina,sposando la causa serba.
Sulle amfetamine confermo, non è raro trovarne sacchetti lasciati dai soldati nelle case saccheggiate.
Allora é tutto chiaro. La verità trionfa sempre. Con l’articolo di Danimatt e i commenti del croato Anton é definitivamente accertato che tra serbi, croati, sloveni e musulmani non esisteva odio razziale, che le guerre che dal 1991 al 1999 hanno insanguinato la Jugoslavia erano dovute a oscure manovre dei soliti ignoti, erano “imbrogli etnici”.
Non esiste il passato. Una nazione nata per volontà dei soloni di Versailles nella quale furono attruppate popolazioni diverse, gli sconfitti sloveni e croati fedeli sudditi dell’imperatore d’Austria per il quale avevano combattuto con straordinario valore contro l’Italia, i serbi sconfitti sul campo di battaglia ma usciti vittoriosi al seguito degli Alleati occidentali, i montenegrini il cui monarca fu spedito in esilio, i bosniaci estranei a tutto, spregiati da tutti, con gli occhi rivolti all’Islam.
Non é vero che dalla sua fondazione vanamente si tentò di dare al paese una coscienza unitaria e nazionale, un paese tenuto insieme solo da un autocrate come re Alessandro e un dittatore come Tito in settant’anni funestati da attentati, regicidi e violenze. Non é vero che negli anni che separarono le due guerre mondiali la vita politica fu precaria con frequentissime crisi, in due anni si succedettero sei governi, dal 1920 al 1927si ebbero quattro elezioni generali fino ad arrivare nel gennaio 1929 allo scioglimento del parlamento e alla instaurazione da parte di Alessandro Primo di una dittatura di fatto. All’origine vi era stata l’uccisione a colpi di pistola da parte di un deputato montenegrino in pieno parlamento nella seduta del 20 giugno 1928 di due deputati del partito contadino croato e di Radic capo del partito repubblicano croato.
Non é vero che Alessandro pagò con la vita la sua politica anticroata. Nel 1934 in visita ufficiale a Marsiglia fu assassinato da nazionalisti croati, guidati da Ante Pavelic, futuro capo dello stato croato, foraggiati dall’Italia fascista. Vengono alla mente le previsioni di uno studioso italiano, Giorgio Dainelli, il quale nel 1929, dopo aver evidenziato le profonde differenze esistenti tra i popoli della Jugoslavia scriveva: “[i serbi] uniti ai loro fratelli di sangue della Bosnia e dell’Erzegovina adesso cercano di prevalere sui croati, dei quali la formale e non completa unione politica non ha cancellato i diversi caratteri linguistici, religiosi, culturali ed un antagonismo che spesso é inimicizia e talora odio”.
Non é vero che durante il secondo conflitto mondiale, dopo il rapidissimo collasso del’esercito, vi furono tre guerre, una contro gli invasori, una tra croati e serbi con massacri dei secondi, una tra cetnici e comunisti con lo sterminio dei primi.
Non é vero che all’inizio dei tristissimi anni novanta esisteva la volontà serba, etnia maggioritaria, di conservare la sua supremazia. Non é vero che esisteva la volontà slovena di uscire da una nazione che era troppo stretta per i progetti della più avanzata repubblica jugoslava per la quale regioni arretrate come il Montenegro e la Bosnia costituivano una insopporta bile palla ai piedi, non é vero che la Croazia anelava all’indipendenza.
Alla morte di Tito iniziò il processo di decomposizione dello stato, con sanguinose guerre interne, massacri di popolazioni ad opera del momentaneamente più forte, intervento di paesi islamici con cospicui aiuti finanziari e con combattenti islamici, i mujaheddin, che fiancheggiarono i musulami bosniaci nella loro lotta contro i “fratelli croati e serbi”.
Rifiutare la definizione di “guerre etniche”, parlare di “imbroglio etnico” lascia profondamente perplessi anche perché si prende in esame solo le vicissitudini di Vukovar astenenendosi dal contesto in cui si svilupparono. Attribuire “l’imbroglio” alla vecchia nomenclatura, ovviamente titina, mi sembra estremamente riduttivo. Accusare la Serbia, la “malvagia Serbia”, di tutto quanto é accaduto mi ricorda Benedetto Croce: “Quella sorte di mitizzamento storico che pone sempre una testa di turco su cui battere, designandola autrice di tutti i mali”.
La tragedia jugoslava fu una tragedia in cui i politici di ogni estrazione, di ogni nazionalità, spinti da ambizioni personali, facendo leva su popoli profondamente divisi, precipitarono un povero paese in un modo che ricorda Platone: “Parecchi stati, di tempo in tempo,come vascelli che affondano, periscono, perirono e periranno, per colpa dei loro miserabili piloti e marinai, colpevoli della più grave ignoranza nelle materie più gravi: poiché senza nulla conoscere della politica, si immaginarono di possedere questa scienza in tutti i suoi particolarim meglio di tutti gli altri”.
Egr. Emilio
quanto scrive solleva in me dubbi sull’approccio, certamente semplicistico, con cui ho affrontato la questione. Eppure credo che siamo d’accordo su molte cose se, come lei conclude, quella jugoslava fu una tragedia in cui “politici di ogni estrazione, di ogni nazionalità, spinti da ambizioni personali, facendo leva su popoli profondamente divisi” precipitarono il paese nel conflitto. Quello che cerco di sostenere, in questo articolo come in altri, è che “l’imbroglio etnico” sia stata la maschera con cui quei politici di cui lei parla hanno giustificato ai loro popoli la guerra. Popoli “divisi”, certo, ma non così tanto da spararsi addosso senza una buona dose di propaganda, revisionismo storico, nazionalismo, etc. Sappiamo che serbi combatterono con i croati in Krajna, che musulmani combatterono con i croati in Bosnia, e che serbi combatterono con i musulmani a Sarajevo. l’identità etnica e l’odio non erano così marcatamente segnati come lo sono (forse) oggi. Sulle vicende precedenti, ha perfettamente ragione su tutto, ma l’unico conflitto precedente è quello risalente alla seconda guerra mondiale (ustascia e cetnici) e non lo ascriverei a motivazioni “etniche” quanto politiche, ideologiche o sociali. Inoltre, prima della Seconda guerra mondiale, non si registrano casi di “guerra etnica”. E la volontà di supremazia serba in seno al Regno SHS (che condivido, fu un’aberrazione politica nata da Versailles) non la vedo come originata dall’odio etnico. Venivano da percorsi storici differenti, erano in evidente antagonismo, ma anche i piemontesi cercarono di mantenere la supremazia sul sud Italia dopo l’Unità.
Insomma, quel che voglio dire è che quella etnica è una componente del conflitto, in buona misura una manipolazione, ma non ne è la causa. La causa è la sete di potere della classe politica, come lei dice. Quello che io e credo tutta la redazione di East Journl condivide e cerca di dire è che quella etnica è una “balla” nata per coprire altri interessi. Una “balla” replicabile ovunque (e lo vediamo nei leghismi di mezza Europa). E soprattutto contestiamo l’idea di “polveriera” d’Europa. E’ vero che le guerre sono scoppiate spesso lì, ma gli interessi stavano altrove. Anche nel 1991. Su questo possiamo discutere a lungo, qui o altrove, e ascolterò sempre con piacere e rispetto.
Solo una cosa contesto: non è mia intenzione, non lo penso, non l’ho mai creduto, che i serbi siano “i responsabili”, i “cattivi”. Anche quella è una “balla” utile, a suo tempo, a motivarci il bombardamento su Belgrado…
Un saluto, con stima
Matteo
emilio,
mi pare evidente che non hai colto per bene quello che volevamo dire: che nella popolazione non c’era un odio etnico, si è trattato di un’orchestrazione politica. se i serbi hanno fatto di vukovar quello che hanno fatto, è perchè il governo croato li ha lasciati fare per avere una vittima. qui l’unica vittima è la popolazione, in cui è stato inculcato l’odio, mentre la classe politica faceva affari con coloro che formalmente erano loro nemici, e si arricchivano alle spalle di tutti.
inoltre specifichiamo che la storia presa da così dietro, da re alessandro, è inutile. ci insegna solo che nei balcani c’è sempre stata una classe dirigente che spacciava i propri interessi per gli interessi della nazione. volontà slovena di separarsi dalla jugoslavija? questo lo voleva la classe dirigente, ma tra il popolo, le persone comuni, il 99% della popolazione non c’era alcuna volontà di separarsi. ma hanno lasciato correre. forse tu hai letto molti libri, ma io ti parlo di quello che si può sapere soltanto andando nel posto, parlando con la gente comune, sentendo la verità che circola nelle strade, quella che non arriva ai grossi mezzi di comunicazione. confrontare questa verità con i libri è l’unico metodo per capire cosa sia successo veramente.
Non sono d’accordo.Se ai vari referendum sloveni croati musulmani montenegrini e macedoni hanno votato per l’ indipendenza significa che volevano staccarsi e mi pare evidente.Adesso rimpiangono il passato,li trovo alquanto ridicoli.
”Poi, all’alba del 4 agosto 1995, la città veniva “riconquistata” dai croati che, a loro volta, si abbandoneranno alla pulizia etnica nei confronti della popolazione serba. Una doppia pulizia etnica…” Questo NON è vero. Vukovar non è stata riconquistata dai Croati nel ’95 ma è stata reintregata pacificamente ( tutta la est slavonia) qualche anno dopo, nel 1998. Quindi non c’è nessuna pulizia etnica a Vukovar dopo il ’91. Come non c’è stata da nessun altra parte, rassegnatevi.
Ciao a tutti! Sono un ragazzo italiano e ho letto l’articolo e l’ho trovato molto interessante compresi i commenti sottostanti.
Questa estate io e i miei amici faremo un viaggio nei Balcani e, dal momento che è un argomento sul quale siamo tutti molto ignoranti, vorremmo vedere qualcosa che testimoni la guerra passata per potere imparare qualcosa riguardo ad essa.
Già abbiamo programmato di passare per Sarajevo e ci chiedevamo se Vukonovar merita una visita oppure in questi ultimi anni è stata completamente ristrutturata.
Siamo consapevoli che non si tratti di un luogo turistico, ma il turismo non è la nostra intenzione.
Caro Giacomo,
Vukovar non offre molto dal punto di vista turistico, ne per quello convenzionale, ne per quello “di guerra”. La città è stata interamente ricostruita anche se i segni restano visibili, come il famoso acquedotto. Dal punto di vista storico è sempre stata una città “di confine” con una popolazione eterogenea e dove nel 1929 nacque il Partito Comunista Jugoslavo.
Trovandosi tra Zagabria e Belgrado, due città stupende che consiglio di visitare a chiunque, potreste effettuare una pausa-caffè e vedere Vukovar in poche ore.
Spero di essere stato d’aiuto
Giorgio
Grazie mille Giorgio sei stato utilissimo! Terremo in considerazione i tuoi consigli su Zagabria e Belgrado.
Giacomo
Sono appena tornato da un viaggio in moto attraverso i luoghi della guerra. Questo articolo mi spiega molte cose che da occidentale distratto non avevo proprio considerato. Grazie.
ciao matteo
mi chiedono : una ricostruzione che mi sembra buona. di due elementi non trovo traccia. 1. un progrom antiserbo da parte dei croati a ossiek, che sarebbe avvenuto prima dell’attacco serbo su vukovar. 2. il ruolo di milosevic nell’operazione krajna, qui solo accennato (lo scambio con tudjman). la popolazione serba della krajna viene a sapere dell’arrivo dei croati con poche ore di anticipo quando milosevic l’avrebbe saputo/concordato (?) molto tempo prima
hai qualche notizia ?
Lina