Ankara sul piede di guerra?
Il governo di Erdogan è letteralmente sul piede di guerra. Oggi l’esecutivo ha chiesto e ottenuto dal Parlamento l’autorizzazione a schierare truppe oltre il confine. Intanto continuano le operazioni di artiglieria turche dopo che ieri l’ennesimo attacco siriano a colpi di mortaio ha ucciso cinque persone (una donna e i suoi quattro bambini) nella città di confine di Akcakale. Era già successo la settimana scorsa. Ankara ha convocato un vertice d’emergenza della Nato. La rappresaglia turca ha ucciso, secondo fonti d’agenzia, cinque militari siriani. Intanto Aleppo esplode, con una serie di attentati presso le basi dell’esercito siriano e della borsa. Le notizie sono sempre frammentate e contraddittorie.
La televisione Al-Arabya ha dato notizia dell’intenzione turca di avviare un’operazione militare su larga scala contro la Siria. Si tratterà, forse, di bombardamenti aerei o di un’invasione via terra? E l’operazione, che avrà per forza l’avallo della Nato, come si inserirà nel già tormentato dibattito Onu sull’intervento in Siria?
L’ambiguità turca e il cuscinetto di Aleppo
La Turchia resta in una posizione ambigua nel conflitto siriano: dopo un primo appoggio ad al-Assad ha fatto un goffo dietrofront, mutando rapidamente strategia e lasciandosi dietro molte ambiguità. Il mantenimento dello status quo era per la Turchia utile agli interessi energetici ed economici. L’evolversi degli eventi e l’incapacità di Erdogan di fare da mediatore, ha messo Ankara in una posizione di subalternità rispetto alle decisioni della Nato e dell’Onu. Quello turco resta però uno degli eserciti più grandi del mondo, e la tendenza aggressiva della politica estera turca (già impegnata in un’offensiva militare nel Kurdistan iracheno) sta cercando sbocchi anche nello scenario siriano. L’impressione (di cui, da semplici osservatori, siamo piuttosto convinti) è che Ankara sia interessata a costituire una zona cuscinetto nella regione di Aleppo su cui esercitare un’influenza più o meno diretta.
La BBC, per bocca del suo corrispondente in Siria, scrive che l’intenzione di Damasco è quella di tagliare le linee dei rifornimenti dei ribelli. Linee che, evidentemente, partono dalla Turchia. E’ la Turchia, insomma, a finanziare o quantomeno favorire il transito di rifornimenti per i ribelli siriani.
Quel pasticciaccio brutto
Il quadro del conflitto siriano si va così delineando. Da un lato il governo pretoriano di al-Assad, appoggiato dall’Iran; dall’altro una massa informe di ribelli salafiti e wahhabiti, probabilmente finanziati dall’Arabia Saudita, già definiti come “criminali di guerra” da Hrw per conto dell’Onu. Intorno ci sono i becchini, Turchia e Israele in testa. Più in alto, e assai poco dimostrabili, sono le connessioni delle due parti con le “superpotenze” russa e americana. In mezzo c’è la popolazione civile, che da quanto sappiamo è solo vittima. Vittima dei ribelli, che occupano quartieri popolosi per nascondersi e, implicitamente, farsi scudo. E vittima dell’esercito, che bombarda indiscriminatamente quegli stessi quartieri.
E la Turchia che fa? Se da un lato appoggia i ribelli, dall’altro non fa molto contro il regime di Damasco. Già nel giugno scorso l’esercito siriano abbattè un caccia turco che, forse, aveva passato il confine aereo. La Turchia rispose facendo la voce grossa e gettando la spugna con gran dignità. Il fatto è che la Turchia può intervenire contro la Siria solo a costo di altissime perdite. Sarebbe una guerra vera, una guerra di quelle che non si fanno più. Meglio allora rifornire di armi gli insorti, lanciare il sasso e nascondere la mano. Questo sarà il secolo della guerra asimmetrica, del groviglio di interessi dietro cui celare nefandezze e negare responsabilità. Abituiamoci dunque, vinceranno sempre i cattivi. Ci sono solo i cattivi.
Personalmente non credo che un intervento militare turco in Siria porterebbe ad “altissime perdite” e per la situazione dell’esercito siriano che non é in grado di vincere la guerra contro gli insorti e perché gli insorti e la popolazione, ad esempio cito l’Italia già fascista nellla seconda guerra mondiale, accoglierebbero i turchi come liberatori. Il problema é che sul caso Siria nessuno ha idee chiare. Da una parte vi é un sanguinario dittatore che, erede del padre, ha tenuto il paese con il pugno di ferro, che per più di vent’anni ha esercitato un protettorato di fatto sul Libano nella distrazione internazionale, che ha foraggiato formazioni estremiste contro Israele, che é alleato dell’Iran e dall’altra una nebulosa sulla quale nessuno ha le idee chiare. Di volta in volta i ribelli sono stati etichettati come democratici, riportandosi alle varie “primavere arabe” o come salafiti o wahhabiti (perché non appartenenti a Al Qaeda?). Quanto al’ipotesi di una “guerra asimmetica” il paragone non mi sembra calzante in quanto per guerra asimmetica o “guerra fra la gente” come la definisce Rupert Smith, si intende una guerra tra una formazione statale con un esercito regolare e irregolari appartenenti a un altro paese, classici esempi gli americani in Irak e i russi in Cecenia, mentre quella siriana é una guerra civile. Trovo stiracchiata l’idea che “vinceranno sempre i cattivi”. La storia ci dimostra che vincono sempre i più forti e che i più forti, essendo più forti, sono accusati di essere i più cattivi. .