KOSOVO: Tutti gli affari degli americani. Una colonia a stelle e strisce

E gli americani tornano in Kosovo, se mai se ne sono andati, per fare affari. Madeleine Albright, già Segretario di Stato americano, è in procinto di accaparrarsi la Ptk (Pošta i Telekomunikacije Kosova), principale compagnia kosovara di telecomunicazioni, finora a maggioranza pubblica. Questo è senz’altro il caso più eclatante ma la Albright è in buona compagnia. Wesley Clark, già comandante delle forze Nato in Europa, alla testa della società canadese Envidity, ha presentato alle autorità kosovare una licenza per sfruttare le risorse di carbone e lignite del paese per ottenerne carburante. Clark fu l’uomo che diede l’ordine di bombardare Belgrado, il 24 marzo 1999, al fine di abbattere il regime di Milosevic all’epoca impegnato nella guerra in Kosovo, con un’operazione militare che non ricevette l’avallo Onu e che vide l’Italia in prima linea. La Bechtel Group sta intanto costruendo l’autostrada che collegherà Pristina a Skopje. Il gruppo Bechtel è il quinto gruppo americano per importanza nel settore delle costruzioni e dell’ingegneria. E’ quello – per intenderci – che ha costruito il tunnel sotto la Manica. Bechtel sta lavorando al progetto insieme alla Enco, società turca alla cui poltrona di amministratore delegato siede Jock Covey, già esponente dell’Unmik.

Quello della privatizzazione della Ptk è stato presentato dal quotidiano croato Jutarnji List come “l’affare del secolo”, e frutterà circa 400 milioni di dollari al giovane Stato. Sotto la pressione di Bruxelles, il governo kosovaro ha lanciato un’offerta d’acquisto pubblica ma fonti ufficiose riportate dal quotidiano zagrebese suggeriscono come tutto sia stato organizzato in modo che la Albright Capital Management vincesse la gara. Come si è detto, si tratta della società dell’ex Segretario di Stato americano, Madalaine Albright, responsabile della diplomazia durante l’amministrazione Clinton, che ha giocato un ruolo chiave nel processo di indipendenza del Kosovo ed oggi ne raccoglie i frutti.

Che il Kosovo fosse terra di conquista per gli Stati Uniti era un sospetto che si covava già da qualche anno, quando si apprese del progetto Ambo, un oleodotto transabalcanico, in fase di ultimazione, il cui consorzio, con sede negli Stati Uniti, è direttamente collegato alla società dell’ex vice-presidente Dick Cheney, Halliburton Energy. Secondo Michel Chossudovsky, importante economista canadese, la politica Usa di “proteggere le rotte degli oleodotti” provenienti dal bacino del Mar Caspio (e che attraversano i Balcani) era stata espressa dal Segretario all’Energia di Clinton, Bill Richardson, appena pochi mesi prima dei bombardamenti sulla Jugoslavia del 1999. Le dichiarazioni di Richardson furono riprese dal Guardian (A Discreet Deal in the Pipeline, 15 febbraio 2001): “Qui si tratta della sicurezza energetica dell’America. Si tratta anche di prevenire incursioni strategiche da parte di coloro che non condividono i nostri valori. Stiamo cercando di spostare questi Paesi, da poco indipendenti, verso l’occidente. Vorremmo vederli fare affidamento sugli interessi commerciali e politici occidentali, piuttosto che prendere un’altra strada. Nella regione del Mar Caspio abbiamo fatto un investimento politico consistente, ed è molto importante per noi che la mappa degli oleodotti e la politica abbiano esito positivo”.

Per quanto riguarda l’oleodotto Ambo, apparirebbe che l’Ue sia stata ampiamente esclusa dalla programmazione e dalle negoziazioni. Con i governi di Albania, Bulgaria e Macedonia furono firmati “memorandum d’intesa” che spogliano quei paesi della sovranità nazionale sui corridoi dell’oleodotto e dei trasporti fornendo “diritti esclusivi” al consorzio anglo-americano.

La Halliburton Energy avrebbe ottenuto anche importanti commesse per le forniture militari americane in Kosovo, dove ha sede la base militare a stelle e strisce più grande d’Europa, quel camp Blondsteel costruito proprio dalla Hulliburton tramite la sua sussidiaria Kellogg, Brown and Root.

Insomma, dalle telecomunicazioni alle risorse minerarie, dall’oleodotto a camp Blondsteel, quella kosovara sembra sempre più una colonia americana data in gestione a una banda di criminali di guerra prima osteggiati (l’Uck era tra le organizzazioni terroristiche osteggiate da Washington fino al 1998 e alcuni suoi leader sono sotto processo all’Aja) e poi asserviti al nobile scopo della sicurezza a stelle strisce. Una sicurezza che per molti, europei compresi, è sinonimo di sopruso e violenza. Alla luce di questi elementi, l’indipendenza tanto voluta e sbandierata dai kosovari, è un’illusione quando non una truffa. Una truffa cui l’esercito italiano, impegnato in Kosovo per operazioni peacekeeping, partecipa volente o nolente. Cosa ne viene alle tasche del Belpaese, però, è un’altra storia.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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5 commenti

  1. Buon articolo. Voglio sperare per gli americani che i loro affari non si impantanino nelle pieghe corrotte della burocrazia kosovara. Altrimenti bye bye big business. La seconda è che sarebbe interessante capire se ci sono anche grossi investimenti di paesi europei. Finora non mi sembra se ne sia sentita l’eco. Quasi che sono più attivi i turchi…

  2. claudio vito buttazzo

    I Kossovo, come in Iraq, Afghanistan, Libia, ecc., siamo solo a fare i servi sciocchi di interessi altrui. Come sempre nella nostra storia. Il problema è che, oltre ai politici, neppure i media sanno dare prova di un minimo di autonomia e spirito critico. Ciò sta a significare che anche la stragrande maggioranza di direttori di giornali e giornalisti (ma si possono ancora chiamare tali?) sono al servizio del miglior offrente.

  3. c’è dell’altro, l’articolo è ottimo, fondato su valutazioni e analisi pienamente condivisibili, vorrei aggiungere una mia riflessione. Non è vero che l’europa non stia cercando il proprio tornaconto dalla missione in Kosovo, se guardate i paesi più “svegli” e meglio guidati da politici che, a differenza dei nostri, sono dotati anche di un senso dello Stato vi accorgerete dell’equa sudduvisione bancaria del Kosovo.
    In quel paese sembrano esserci 2 sole banche la tedesca Procredit e l’austriaca Raiffeisen, come mai? va detto che Austria e Germania ospitano più emigrati kosovari de resto d’Europa, ovvio lì li “sfruttano” come forza lavoro, da noi delinquono, ma poi quando il kosovaro emigrato deve “rimettere” i suoi soldi in patria come farà?
    Semplice, attraevrso le banche presenti sul territorio di dove labora e di dove risiede la sua famiglia, e se un giorno decidesse di costruire una casa in kosovo a chi andrà a chiedere i soldi? alla stessa banca, e, vi assicuro che tuti gli emigranti kosovari si stanno costruendo delle splendide case in Kosovo.
    quante filiali di banche italiane ci sono in Kosovo? non ne ho mai viste, non credo che ci siano, le nostre banche rubano direttamente agli italiani, vedasi MPS, che bisogno c’è di andare a LAVORARE all’estero?
    questa è una mia personale valutazione e non è dovuta ad altro se non alla rasegnata osservazione della realtà, ovvero: siamo amministrati da una banda di coglioni e per questo non contiamo un cazzo.
    scusate i vari francesismi, un saluto a tutti voi

  4. contare per te e rubare ai altri

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