di Jasmina Tešanović (trad. Daniela Piazzalunga)
Ero solita dire “Questa non sarà la mia guerra ad ogni modo” a mia figlia, alle mie colleghe più giovani, ad amiche femministe o no: alle ragazze.
Abbiamo combattuto negli anni settanta, ottanta, novanta per la libertà di scelta, per il divorzio, per la contraccezione, per i diritti umani delle donne, contro la violenza domestica, per la pace nel mondo. Abbiamo combattuto incessantemente, brutalmente, rischiando le nostre carriere, le nostre vite private, la nostra sicurezza e normalità. E abbiamo raggiunto molto, in tutto il mondo; in Italia, in Serbia, negli Stati Uniti, e così via.
La seconda ondata di femminismo si reggeva sulle spalle delle suffragette dell’inizio del diciannovesimo secolo, che spesso diedero le loro vite per i diritti delle donne. Poi mi sono stancata, e non solo io. Il mondo aveva preso una brutta piega, non solo in Serbia durante gli anni novanta, ma dovunque dopo l’11 settembre!
La globalizzazione della balcanizzazione ha messo in gioco tutte le conquiste delle donne e non solo delle donne: il terrorismo, e la brutale guerra al terrorismo, ci hanno portato distopici stati tecnocratici e polizieschi di destra dove i diritti umani divennero solo un’altra parola per “più niente da perdere”. Allora ho detto alle mie giovani ragazze: dovete combattere adesso, questo è il vostro mondo, quello che vi abbiamo involontariamente lasciato. Imparate quanto avete ereditato dalle vostre nonne, non datelo per scontato perché potete benissimo perderlo, pezzo a pezzo, morso a morso. Verso la chiesa, lo stato, la finanza.
Prova di questo nuovo mondo in cui stiamo vivendo è la condanna della banda punk russa Pussy Riot, accusata di blasfemia contro la chiesa russa e lo stato, condannata a due anni di prigione per una performance artistica in una chiesa. Ovviamente, se le donne avessero osato protestare in una moschea musulmana, una repressione severa sarebbe stata “normale”, ma poiché è avvenuto in una chiesa ortodossa russa, ci sono ancora voci in tutto il mondo che collegano questa nuova repressione con le passate violazioni dei diritti civili. Facile collegare Putin a Stalin, ma cosa dire a proposito dei lunghi secoli di guerre cristiane, culturali e vere e proprie, bruciando eretici e streghe, torturando dissidenti e scienziati, e della guerra tra cattolici e protestanti che ha sconvolto l’Europa per cent’anni? E per quanto importi, cosa sarebbe accaduto ad artisti punk americani se avessero invaso un tabernacolo mormone per insultare Mitt Romney? Sarebbero scappati incolumi?
Due delle tre attiviste delle Pussy Riot condannate alla prigione sono madri di bambini piccoli. Star mondiali come Madonna, Yoko Ono e Paul McCartney hanno scritto lettere aperte e petizioni per la loro liberazione. Persino Putin, il vecchio-nuovo leader russo, obiettivo principale delle loro performance di protesta, ha espresso la sua speranza che non ottenessero la massima condanna di tre anni. Così, ne hanno avuti solo due da scontare.
Sono già state in galera per sei mesi; ma hanno raggiunto la fama mondiale per la loro azione e per il loro coraggio. Ci si chiede se saranno costrette all’esilio, come Taslima Nasreen negli anni Novanta, o come artisti e scienziati dissidenti russi negli anni settanta. Il solito metodo sempre di moda di estirpare chi protesta, così da renderlo inoffensivo in un altro paese, in un’altra lingua, funziona ancora nel mondo globalizzato di oggi? Al giorno d’oggi essere mandati in esilio può rendere il malcontento interno persino più incendiario.
Grazie ad internet, alla globalizzazione di attivismo, musica, cultura e politica, c’è speranza per le ragazze delle Pussy Riot, se non per il loro paese, la Russia, e per il loro enfatico sultano, Putin. Putin è uno dei migliori amici di Berlusconi, e il terzo membro della gang era Gheddafi, ora morto e sepolto con tutto il suo harem. Solo un paio di anni fa, questi tre leader mondiali notoriamente macho si sarebbero incontrati nelle loro stravaganti ville per macchinare in modo congeniale un altro ordine mondiale, insieme con i loro harem di accompagnamento di showgirls italiane, di donne libiche come guardie del corpo, di ragazze russe astronaute e spie silovik, e così via. Le loro donne erano schiave, sebbene spesso in uniforme invece che con il burqa. Le Pussy Riot indossano passamontagna rossi quando si esibiscono come punk, come ribelli – come coloro che semplicemente non avranno nessuno di quei modi di dire vecchi-nuovi “prima le donne e i bambini”: significa che le donne saranno le prime ad essere mandate in carcere.
Il loro nome non è volgare, è provocatorio, il rosso delle loro maschere non è comunismo, è il colore del sangue, la loro storia personale non è privata, è politica e ormai non si battono solo per la Russia, ma per una generazione di giovani donne, visibili o invisibili, legate dalle catene di questa nuova epoca che vuole distruggere le “cattive ragazze”.
Qualsiasi cosa facciano, lo fanno anche nel mio nome!
Pubblicato originariamente in lingua inglese in Virtual Vita Nova il 18 agosto 2012.
Scusi ma dall’articolo non si capisce quali sarebbero le catene che opprimono le donne, nè tantomeno quale sarebbe l’obiettivo di queste “Pussy Riot”.
Secondo me invece è proprio il machismo ad opprimere l’uomo e a subordinarlo alla donna.
Poi, che Putin,Berlusconi e Gheddafi stessero progettando un nuovo ordine mondiale mi sembra un’ipotesi ridicola.
Saluti.