di Matteo Zola
Sono passati due anni dal conflitto che oppose Tblisi a Mosca, e certo non sono stati due anni tranquilli nel Caucaso meridionale. Oggi però la tensione sale nuovamente a livelli di allarme. Alexander Zelin, comandante delle forze russe stanziate nelle due ex-repubbliche separatiste -oggi riconosciute indipendenti dal Cremlino, ma solo dal Cremlino- ha dichiarato che la Russia ha dispiegato sistemi missilistici S-300 in Abkhazia e si appresta a farlo anche in Ossezia. Si tratta di missili terra-aria, come quelli che a inizio agosto la Russia vendette alla Bielorussia, e la Bielorussia all’Iran, in modo che Teheran potesse difendere i suoi impianti nucleari. Ma questa è un‘altra storia.
Per Tbilisi la scelta russa è “preoccupante” non solo per la Georgia ma anche per la Nato. “L’iniziativa di Mosca – ha ha commentato il vicepremier georgiano Temur Iakobashvili – cambia i rapporti di forza nella regione. E’ evidente che la Russia utilizza questi territori occupati come piattaforma militare per progetti più ampi di quelli che puntano alla Georgia”. Sì, è evidente che la Georgia -lasciata sola dagli americani- è un ghiotto boccone per Mosca.
Ma è davvero così sola? Nel giugno scorso il segretario di stato americano Hillary Clinton, nel suo viaggio nell’Europa centro-orientale, non mancò di far tappa in Georgia. Qui confermò il suo appoggio al presidente Saakashvili, ma gli accordi inerenti alla difesa del Paese caucasico restano materia oscura. Si sa soltanto che, dopo la visita della Clinton in Georgia, il presidente russo Dmitri Medvedev si recò in visita in Abkhazia. A buon intenditor, poche parole.
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