Il 1° settembre migliaia di ungheresi hanno manifestato a Sfȃntu Gheorghe/Sepsiszentgyörgy (città della Romania abitata prevalentemente da ungheresi) in difesa di una scuola calvinista. Una manifestazione massiccia, fra le più imponenti degli ultimi anni anche se le cifre fornite dagli organizzatori, 25.000 presenze, paiono esagerate. Alla “Giornata della giustizia”, come è stata ribattezzata, hanno partecipato tutte le associazioni culturali, politiche e religiose della minoranza.
La manifestazione si è svolta intorno al collegio Székely Mikó, negli ultimi mesi oggetto di un contestato provvedimento giudiziario. Il collegio è un’istituzione storica della rete scolastica ungherese di Transilvania. Fondato nell’ottocento, è stato gestito dalla Chiesa calvinista fino al 1948, quando il partito comunista avviò una lunga serie di nazionalizzazioni contro i possedimenti ecclesiastici. Con il crollo del socialismo e il processo di restituzione dei beni confiscati, la scuola riaquisì l’antica proprietà nel 2002. Quest’estate però un giudice di Buzău ha messo in discussione la restituzione alla vecchia proprietà. Secondo il Tribunale la “Commissione governativa per la restituzione dei beni confiscati” ha agito contro l’interesse pubblico. Il procedimento giudiziario è stato avviato da alcune famiglie ungheresi che avevano prima affittato e poi acquistato alcuni locali della scuola durante il comunismo, poi persi con la restituzione del 2002.
La questione puramente giuridica rimane però di seconda importanza rispetto alle conseguenze politiche e sociali che il provvedimento può portare. Nella comunità ungherese aleggia inquietitudine per le centinaia di scuole che oggi sono ospitate in edifici restituiti dalla fine degli anni ’90. Il provvedimento è visto con apprensione non solo perchè può fermare il processo di restituzione, non ancora totalmente concluso, ma anche perchè può creare un precedente per possibili contestazioni sulle restituzioni già effettuate. All’interno del provvedimento ha destato preoccupazione anche la durezza della condanna inflitta ai tre membri della Commissione governativa incaricata di sovraintenedere la restituzione: Attila Markó, Tamás Marosán e Silviu Clim. In particolare Markó è stato condannato a tre anni di prigione con l’accusa di abuso d’ufficio contro l’interesse pubblico. Una pena spropositata che ha fatto parlare le associazioni ungheresi di vendetta politica e attacco contro i propri diritti.
Il provvedimento del Tribunale di Buzău ha aperto, o meglio riaperto, due grandi problemi dello Stato: le contraddizioni della transizione al post-comunismo con i tardivi e incompleti provvedimenti di restituzione delle proprieta’ confiscate, e le gravi carenze della decentralizzazione, scolastica, economica e amministrativa della Romania.
Una soluzione semplice e sensata della controversia sul collegio Mikó sarebbe stato il suo trasferimento alle dipendenze dell’amministrazione cittadina, saldamente in mano ai partiti ungheresi. Il sindaco ungherese di Sfántu Gheorghe ha però respinto categoricamente questa ipotesi. Il rifiuto nasce dalla consapevolezza dell’impossibilità di poter gestire autonomamente la scuola, che resterebbe in balia del centralismo economico e politico di Bucarest. Questa situazione fa si che le amministrazioni locali ungheresi favoriscano e parteggino affinchè le Chiese mantengano il possesso di importanti settori sociali, in primis l’educazione, perchè questo garantisce un’indipendenza di gestione rispetto allo stato romeno.
La conseguenza di tutto ciò è che le differenti congregazioni religiose hanno aumentato la loro influenza e sono diventate il baluardo della difesa identitaria della minoranza; molto più dei partiti politici visti con sospetto perchè omologati al contesto statale.